Corrente Alternata ha organizzato il laboratorio “Vite precarie: uno sguardo precario di genere sul lavoro, le pratiche di relazione e i beni comuni” presso lo spazio culturale Il Vivaio del Malcantone a Firenze.

L’obiettivo principale di questo laboratorio: continuare il percorso svolto nei mesi passati, riflettere insieme sulle dinamiche della precarietà, creare un “vocabolario” e delle definizioni collettive basate sulle esperienze di vita di ognun*. Tutto questo con lo scopo di apportare una prospettiva critica alle proposte attuali sulla precarietà e di condividere con altr* un percorso di riflessione.

Nella mattinata abbiamo iniziato con un breve gioco di movimento per presentarci al resto dei partecipanti. La finalità di questa dinamica è facilitare la creazione del gruppo. Inoltre, il gioco ha lo scopo di introdurre l’attività principale del mattino: la costruzione di una biografia di se stesse per identificare quali elementi fra: le reti sociali e relazionali, il lavoro, i luoghi, l’età, il sesso, la famiglia, l’origine (tutti temi individuati nei passati incontri) hanno un peso nella configurazione delle nostre esistenze precarie.

Abbiamo chiesto alle/ai partecipanti di scrivere una breve biografia. Poi l’abbiamo messa in comune identificando alcune “parole chiavi” delle nostre vite.

Abbiamo riscontrato che molte partecipanti hanno usato poco il tema del lavoro per definire la propria biografia. E´emersa spesso la parola nomadismo per sottolineare da una parte la mobilità delle persone sia per quanto riguarda luoghi e spazi di residenza, sia per descrivere un nomadismo di esperienze, percorsi, lavori che non portano a una identità stabile, determinata, bensì in continuo cambiamento.

Le altre parole  emerse sono state le reti e le relazioni, che hanno un ruolo fondamentale nella vita di ognun*, soprattutto rispetto alla precarietà lavorativa ed economica di oggi.

Per quanto riguarda il lavoro, ci siamo rese conto che la maggior parte delle partecipanti non ha definito il proprio lavoro come elemento biografico. Discutendo sono emerse varie motivazioni:

– si preferisce non parlare del proprio lavoro perché non ci si riconosce in quello che si fa;

– si percepisce un senso di incompiutezza, quando parlando del proprio lavoro  con altre persone ci troviamo rappresentante in un modo che non corrisponde alla realtà;

– alcune hanno detto che non si sono mai definite tramite il proprio lavoro: le relazioni sono quello che hanno influenzato di più il loro percorso di soggettivazione. Il lavoro è sempre stato qualcosa che è rimasto al margine;

– altre invece vivono con un grande disagio il fatto di non potersi “realizzare” attraverso il lavoro, ovvero vivrebbero la dimensione professionale come uno spazio privilegiato in cui esprimersi, ma se da una parte sono mutate le possibilità di mantenere il proprio lavoro, quelle di trovare spazi professionali corrispondenti alle proprie competenze e aspettative personali sono state ancora di più sacrificate alle logiche produttive;

– alcun* non hanno il tempo per pensare a come definirsi. La precarietà e la mancanza di welfare rende difficile incontrare spazi di discussione e riflessione su quale sia il peso del lavoro nella nostra vita. Soprattutto rispetto alla questione della maternità: alcune hanno affermato con forza quanto sia difficile essere madre in questo momento, senza alcuna rete di sostegno. Si è esplicitato quanto il welfare sia peggiorato negli ultimi anni, mettendo le donne di fronte a un bivio: o la professione o la maternità.

La seconda attività della giornata è stata quella della mappa del tempo. Con le partecipanti abbiamo commentato attraverso un cartellone le principali riforme del mercato del lavoro dal 1990 ad ora. Inoltre nel cartellone venivano rappresentati anche gli anni delle leggi che hanno caratterizzato le conquiste di diritti per le donne. In breve si è discusso dei seguenti punti:

  • Breve resoconto dei cambiamenti legislativi che hanno promosso la situazione attuale, dagli anni ‘90 in poi.
  • Confusione sul discorso precarietà – flessibilità: com’è funzionata la “ideologia della flessibilità”.
  • Cambiamenti nella condizione dei diritti delle donne nel mercato del lavoro.

Abbiamo poi chiesto alle partecipanti di inserire dei post-it sul cartellone per indicare quale situazione lavorativa avevano negli stessi anni in cui si sono svolte le maggiori riforme del lavoro. Si è visto come la maggior parte delle persone sono entrate nel mercato lavorando a nero senza contratto, in ambiti vari (bar, ristoranti, baby-sitter, educatrice, falegnameria). Poi dalla riforma Treu molte persone hanno iniziato a lavorare con contratti co.co.pro e contratti a prestazione occasionale. Negli ultimi anni sono aumentate le persone che hanno dovuto aprire una partita IVA perché le imprese “preferiscono” contrattare chi ha una partita IVA in modo da far ricadere i costi della previdenza sulla lavoratrice stessa. Si è evidenziato il fatto che solo due persone avevano un contratto a tempo indeterminato e entrambe lo avevano ottenuto negli anni prima del processo di liberalizzazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro.

In questo modo abbiamo potuto visualizzare il parallelismo tra la precarizzazione del mercato del lavoro e la situazione lavorativa di ognuna di noi, contestualizzando la nostra situazione personale all’interno di uno scenario più ampio. Nominando cosa e come aveva influenzato le nostre esistenze.

La terza e ultima attività è stata quella del gioco delle eroine. Abbiamo dato delle figure di eroine create dal collettivo di San Precario per la May Day 2005, chiedendo alle persone di immaginare come queste eroine potessero cambiare la nostra precarietà. Quali pratiche le eroine di San Precario potrebbero realizzare per trasformare le nostre relazioni di lavoro e economiche?

Il primo gruppo ha riflettuto sulla figura di Spider Mom, che veniva definita da San Precario come un’eroina che:

ha sperimentato ogni tipologia di contratto: co.co.co, co.co.pro, part time, full time, part time verticale, orizzontale, trasversale e obliquo, stagista, apprendista, formazione lavoro e targhe alterne. Da quando è rimasta incinta si è verificata una piacevole mutazione delle proprie molecole, sviluppando le capacita’ piu’ recondite del proprio cervello: riesce infatti a comunicare mentalmente con tutt* i/le super mom e i/le superflex, dando il via alla cospirazione precaria universale.”

Il secondo gruppo ha la figura di Charlie Coop & Social Angels, definite da San Precario come:

pronte a spendersisvendersi per quietare il disagio sociale. Caritatevoli e disponibili si piegano a salari da fame per la mission. Durante uno sciopero dei mezzi, GODAPHONE FLASH impedisce le comunicazioni. Le precarie si vedono, si conoscono PARLANO. Da quel giorno le conseguenzesimboli del loro sfruttamento diventano armi: PATTI e le molle dei riscatti, CATI e il pitale dei contratti, ENZA e il tempo scaduto della pazienza!”

Dal primo gruppo, quello capitanato da Spider Momé emerso che la maternità è vista come un tema privato di cui collettivamente e politicamente si parla pochissimo. Molto spesso le donne e i partners si sentono soli nell’affrontare la maternità e questo accade su  più livelli: come gestire la relazione, come pensare all’educazione, ai costi, alla suddivisione delle responsabilità.

Abbiamo dato vita a delle possibili soluzioni, queste sono emerse dalle riflessioni fatte in gruppo: Spider mom quindi dovrebbe intervenire per creare delle agorà di discussione e condivisione tra genitori per affrontare vari temi: come organizzare asili auto organizzati dai genitori stessi, o come delegare ad altre educatrici garantendo un giusto e degno salario, come trovare forme di cooperazione per facilitare processi di condivisione dei saperi sul tema della maternità ed educazione dei figli. Un tema specifico sviluppato da questo gruppo è stato quello della maternità vissuta all’interno dei movimenti sociali, ragionando su quanto ancora ci sia da fare per poter pensare alla maternità nei contesti di attivismo: per non sentirsi completamente escluse nel momento in cui si diventa madri, dovendo ancora una volta rinunciare a una parte della propria vita.

Nel secondo gruppo, quello capitanato da Charlie Coop & Social Angels, si è parlato di quali “soluzioni” ci immaginiamo per poter “risolvere” il problema del lavoro e dello sfruttamento. Lasciando andare l’immaginazione, si è pensato alla possibilità di eliminare il lavoro, pensare all’idea radicale di immaginarci una società in cui non ci sia bisogno di lavorare, in cui il lavoro non sia il centro delle nostre vite. L’importanza della terra e di “tornare” all’agricoltura è stato un altro tema trattato, anche se immaginandoci modi differenti di condividere la terra, lavorando sulla necessità di eliminare le gerarchie. Di fatto, le gerarchie e il potere sono stati altri temi toccati durante il dibattito: per andare davvero alla radice del problema dovremmo analizzare il profondità le dinamiche di potere su cui si struttura l’organizzazione del lavoro e le gerarchie negli uffici e le imprese.


In conclusione, le partecipanti hanno enfatizzato la mancanza di spazi e momenti per condividere le proprie esperienze sul mondo del lavoro e la precarietà quotidiana. La maternità come una delle potenzialità femminili risulta essere “limitata” nei tempi e modi imposti dal lavoro. La mancanza di sostegno alla scelta e ai desideri delle persone, si impone sul resto, rendendo il personale in eccedenza rispetto al mercato. Nel laboratorio è stato dichiarato il desiderio di incontrarsi e il bisogno di creare più momenti di condivisione quale risposta alla frammentazione dei tempi e delle scelte delle persone. La precarietà intreccia molti ambiti la sussistenza economica, la maternità e le relazioni fra le persone.

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