Non se ne può più di ingerenze e sproloqui in tema di famiglia naturale. Sull’onda delle iniziative raccapriccianti degli ultimi tempi, mi vengono in mente pensieri sparsi di vario tipo, ma il binomio che con maggior frequenza si affaccia alla mia mente non è famiglia (pseudo) naturale/famiglia “altra”, ma piuttosto equità/iniquità.Vorrei riflettere ad alta voce per un attimo sulla funzione che dovrebbero avere delle politiche familiari serie.

Di funzioni principali ce ne sono essenzialmente due: la prima si riallaccia al discorso sulle pari opportunità dei cittadini e delle cittadine di questo paese di fronte alle loro scelte esistenziali e alla qualità complessiva della vita di uomini e donne di tutte le età in questo paese.

Politiche familiari che aiutino le famiglie italiane (non entro qui nel merito della “certificazione” dello status di famiglia perchè se ne parla diffusamente in altri articoli su questo sito) a distribuire meglio il lavoro di cura all’interno della famiglia stessa, con maggiore equità e soddisfazione dei componenti la famiglia stessa, e possibilmente con maggiore efficienza e qualità nel servizio reso all’oggetto del lavoro di cura, bimbo, malato, anziano che sia, dovrebbero aumentare la serenità all’interno della famiglia, il benessere globale dei suoi componenti, e di conseguenza la serenità e il benessere complessivi della popolazione tutta.

Ma la seconda funzione di serie politiche di sostegno alla famiglia dovrebbe attenere a mio avviso alle pari opportunità che i bambini italiani, in qualunque situazione di famiglia, censo e ambiente culturale, debbono avere di crescere e formarsi in un ambiente decoroso e sereno tale da consentire loro un avvio del loro percorso di vita il più positivo possibile.
Se nasce un bambino e questo abita in un tugurio, in condizioni igieniche insoddisfacenti, cosa mi importa di sapere se i genitori sono un famiglia “regolare” o no? Se ho una politica famigliare che, per ipotesi, agevola l’accesso all’alloggio alle famiglie con figli piccoli, l’unico requisito che mi interessa è la presenza dei figli piccoli, quale rilevanza può avere se i genitori siano o meno sposati, se si tratti di una famiglia allargata, o formata da genitori dello stesso sesso? Quello che mi interessa è il benessere del soggetto minore, e questo deve valere per tutto: casa, assistenza sanitaria, sostegno al reddito, qualunque altra misura ci possa venire in mente.

Se per garantire un qualsivoglia sostegno a garanzia di un inizio di vita dignitoso devo chiedere un certificato di (non saprei nemmeno più come chiamarla) regolarità/normalità/naturalità(???) faccio rientrare dalla finestra, e peggio ancora, nella vita vera del XXI secolo in uno stato teoricamente aconfessionale quello scandalo – solo da pochissimo eliminato da madre chiesa – costituito dal limbo, un luogo assurdo in cui far pagare ai figli le “colpe” dei padri, il massimo dell’iniquità.

Ma lo vogliamo davvero un limbo in terra, e per di più vogliamo che sia la Chiesa a decidere dei destini dei cittadini italiani più piccoli e quindi più indifesi? Non ci voglio e non ci posso stare.