“{Non voto donna in quanto donna}” Titola così, in barba, com’è giusto che sia, all’anatomia, l’intervista fatta da Laura Eduati (“gli ALTRI”) alla filosofa della politica Maria Luisa Boccia.
La ripresa di alcuni passaggi chiave contenuti in questa [intervista->http://www.zeroviolenzadonne.it/index.php?option=com_content&view=article&id=22354:int-a-mboccia-qnon-voto-donna-in-quanto-donnaq-laura-eduati-gli-altri] è essenziale per riflettere, una volta di più, sul vecchio tema della{{ rappresentanza}}, sulle ragioni della centralità che essa va via via assumendo, al di là delle prossime scadenze elettorali, nel dibattito politico attuale, e sui nodi insoluti che, proprio perché tali, rispuntano con prepotenza a segnalare, ora come 25 anni fa – si veda, a questo proposto l’intervento di Cigarini nel {Sottosopra} del giugno del 1987 {La separazione femminile} – la ricerca di-sperata di una soluzione impossibile all’interno di un ordine/disordine simbolico in cui non è contemplabile.

C’è una prima domanda, posta da Boccia, in via preliminare: un interrogativo sul “senso” delle parole che si vanno moltiplicando e attocigliando, e sui contenuti delle eventuali azioni future che le donne potrebbero intraprendere all’interno delle istituzioni:

In questo svilente panorama istituzionale ha senso parlare della rappresentanza delle donne nella politica? O piuttosto dovremmo prima discutere della crisi di democrazia che investe non soltanto l’Italia ma l’intera governance mondiale? Io credo che dobbiamo chiederci {cosa andranno a fare le donne} in luoghi che oggi risentono anche della fortissima crisi di credibilità maschile”. (corsivo mio).

Ma ad avere un posto di prim’ordine in quest’intervista e ad essere posta con insistenza, è anche l’importante questione riguardante il peso valoriale – personale e politico – che, in relazione alla doppia “valenza” della rappresentanza, deve essere riconosciuto a quella specificità soggettiva che viene definita “soggettività sessuata”, “soggettività femminile”:

la prima (valenza) è quella che pone la questione del numero e dunque le cosiddette quote rosa. La seconda è l’autorappresentanza, ovvero donne che non rappresentano le altre donne ma fanno politica partendo dalla propria soggettività sessuata.

Il distinguo qui operato illumina una differenza decisiva fra due diversi “posizionamenti” che le donne, per le più svariate motivazioni personali, possono, di fatto, occupare in ambito politico: la prima, la {rappresentanza} numerica, non fornirebbe, secondo Boccia, alcuna garanzia: donne come Marcecaglia, Camusso, Fornero non sarebbero in grado, infatti, di esprimere, in quanto tali, “una soggettività sessuata”.
Cercheremo di capire meglio da {dove} abbia origine l’impossibilità delle donne di esprimere, all’interno dei Luoghi istituzionali del maschile, una “soggettività sessuata” e quali possano essere le conseguenze di tale impossibilità sul piano di un’azione politica efficace e trasformativa di un assetto istituzionale androcentrico e monosessuato.

Basterà rilevare, per ora, che una soggettività neutra non sessuata è precisamente ciò che caratterizza e definisce il Soggetto(neutro)-maschile-universale.
Ma non è tutto: ci sono donne in parlamento – rileva Boccia – che pur non smentendo l’anatomia, non sono affatto interessate e desiderose di aprire ”conflitti sulla questione di genere” limitandosi a intervenire, piuttosto, su questioni secondarie, mentre “la volontà di rompere la gerarchia maschile”, dovrebbe essere, per una donna che decide di far parte delle istituzioni, “l’aspetto più importante”.
Sic stantibus rebus, si tratta allora di chiedersi se sia ragionevolmente possibile pensare che chi ha accettato, per libera scelta, – donna o uomo che sia – di far parte di istituzioni funzionanti sul primato assoluto di una gerarchia maschile, possa essere davvero interessato/a rompere radicalmente quell’ordine simbolico che sul primato di detta gerarchia ha fondato e costruito se stesso.

Se poi si indugia, con la dovuta attenzione, sulla giusta insistenza posta da Maria Luisa Boccia su termini come “{{soggettività femminile}}” e “{{soggettività sessuata}}” – utilizzati in diversi passaggi dell’intervista – a colpirci è un dato che solleva il seguente quesito: per quale ragione nel caso della rappresentanza la nozione di “{soggettività}” risulta priva di ogni specificazione di genere (né di Marcecaglia, né di Camusso, né di Fornero che vengono indicate come donne della rappresentanza e che pure appartengono al sesso femminile, si può dire infatti, secondo Boccia, che esprimono una “soggettività sessuata”, una soggettività femminile”) mentre nel caso dell’{ {{autorappresentanza}} } tale specificazione sessuata assume un peso e un valore decisivi?

La risposta è semplice e riguarda l’ordine simbolico e il suo {{dis-funzionamento}}: mentre il Soggetto della {rappresentanza} previsto e contemplato in un ordine fallocentrico è sempre, uomo o donna che sia, un Soggetto neutro-maschile (ed è solo in quanto Soggettività neutra-maschile, senz’altra specificazione, che la donna può avere accesso a tale ordine), il Soggetto-donna dell’{{autorappresentanza}}, collocandosi all’esterno di tale ordine e risultando ad esso estraneo può, proprio in virtù di questa estraneità, specificarsi come “{{soggetto femminile}}”, come “{{soggetto sessuato}}”.
Sarebbe dunque in forza di tale {{estraneità}} che la “soggettività femminile” potrebbe avere, in un contesto istituzionale, la chance di fare qualcosa d’altro, qualcosa di diverso dall’esprimere semplicemente il parere del partito d’appartenenza, dal promuovere leggi come le quote rosa o dall’organizzare seminari sulla condizione femminile. (Cfr.Boccia).

Spetterebbe dunque a questo “Soggetto femminile” dell’autorappresentazione – e non a dei Soggetti neutro-maschili della rappresentanza – l’arduo compito di “aprire conflitti sulla questione di genere” e di “rompere la gerarchia maschile” invece che conformare la propria azione politica alla programmazione di progetti puramente emendativi.
Dovrebbe essere questa – così almeno pare in linea teorica – la sfera d’azione Etica e Politica delle donne che si ispirano al pensiero della Differenza, l’orizzonte d’azione di quei “{{Soggetti-femminili}}” che operano attraverso la propria autorappresentazione mentre le donne della rappresentanza si collocano, di fatto, consapevolmente o no, come soggetti neutri inclusi nell’Uno patriarcale cui restano omologate attraverso un inevitabile processo di {{addomesticamento}}.

Ebbene, ciò che possiamo ricavare dall’analisi e dalla presa di coscienza di questi due diversi “posizionamenti” delle donne in relazione al simbolico, è che la guerra fra i sessi, indotta dalla contrapposizione duale del sistema patriarcale riguarda e inquina pesantemente non solo la relazione {{uomo-donna}} ma anche la relazione {{donna-donna}} nella misura in cui la contrapposizione attivata ad opera del Simbolico in seno allo stesso genere, non è altro, a ben vedere, che la riedizione – in chiave femminile solo anatomicamente parlando – della contrapposizione originaria uomo-donna. Si tratta dunque non già di una doppia contrapposizione ma della medesima contrapposizione che opera e incide a due diversi livelli: {{uomo-donna, donna-donna}}.

In altre parole, la contrapposizione che di fatto si produce fra donne della rappresentanza e donne dell’autorappresentazione e la difficoltà delle donne, in generale, a formare un {Insieme Differenziato}, è l’esito prevedibile di una {grande Beffa}: è la Beffa perpetrata dal simbolico a danno delle donne e della loro reale possibilità di crescita e di impiego delle loro energie nel diventare una Forza in grado di contare e di incidere politicamente.

Considerare le cose da questo punto di vista, può essere utile per capire se fra le donne della {rappresentanza} – impossibilitate a rompere, per le ragioni già dette, con la gerarchia maschile – e le donne dell’{autorappresentanza} – che invece intendono farlo – sia ragionevolmente possibile stabilire un patto politico in grado di cambiare i rapporti di forza e di “portare la Differenza” all’interno di luoghi creati da uomini per uomini e per quelle donne figlie – come Athena – “di solo Padre”.

Se è un errore pensare, secondo Boccia, “che soltanto un maggior numero di esponenti femminili garantisca una politica migliore”, si tratta di vedere se non sia un errore, se non sia fuorviante e soggettivamente e politicamente dispendioso, pensare che le donne animate dal desiderio di {{autorappresentanza}} siano davvero in grado, in qualità di “{{soggetti femminili}}” – della cui formazione soggettiva sarebbe quantomeno opportuno tornare a parlare – “rompere con la gerarchia maschile”.