Dalla newsletter n.31 Articolo3, Osservatorio contro le discriminazioni di Mantova, un invito a firma l’appello di FISH (Federazione Italiana Superamento Handiicap) e FAND (Federazione fra le Associazioni Nazionali delle persone con Disabilità): No al taglio dell’assistenza! Fermiamoli con una firma! “Lunedì inizia la scuola e non sappiamo cosa accadrà”, mi diceva nei giorni scorsi la mamma di Giovanni. Giovanni frequenta le superiori ed è portatore della sindrome di Down (promosso con la media del sette).

Ogni anno la stessa storia: i{{niziano le lezioni e non si conosce in maniera ben definita quale sia la disponibilità di insegnanti di sostegno ed educatori }} (due figure professionali differenti, ma non entro qui nel dettaglio). I giornali riferiscono delle denunce fatte dalle associazioni e delle dichiarazioni degli Enti locali, che si rimpallano le responsabilità, che in ‘amministrese’ significa costi, quelli soltanto.

C’è un dato dello scorso anno scolastico che ha destato in me una piacevole sorpresa: {{in Lombardia, nelle scuole, sono raddoppiati i ragazzi e le ragazze con disabilità grave}}. Significa che sempre più anche le persone con maggiori difficoltà accedono all’istruzione e questo mi pare molto positivo. Non corrisponde, però, il numero degli insegnanti e degli educatori, che non sale in proporzione.

Al pranzo di finanziamento dell’Associazione italiana Persone con sindrome di Down (sezione di Mantova) si è parlato del progetto di autonomia abitativa. Pensate: per tutte queste donne e questi uomini è possibile ipotizzare un obiettivo come quello del {{vivere autonomamente}}, almeno per buona parte del tempo. Ma questi progetti non godono di sovvenzioni pubbliche, anzi.

Ma qui stiamo già parlando dell’età adulta. Solo i ragazzi e le ragazze che riescono a sviluppare certe abilità possono accedere ai passaggi successivi, fino all’autonomia. {{E’ quindi nella scuola dell’infanzia e nella primaria che è indispensabile affiancarli,}} dopo rischia di essere troppo tardi, che le capacità siano compromesse. Invece di portare il rapporto 1:1 – un insegnante per ogni allievo –, {{la situazione è in netto peggioramento.}} Forse non ci stiamo rendendo conto che, così facendo, stiamo rovinando tutta la vita a queste persone e non ‘solo’ la loro esperienza nella scuola.

Una rapida ricerca nel nostro database, che raccoglie tutte le notizie di discriminazione apparse sulla stampa dell’intera regione Lombardia, ci ha permesso di verificare i dati del rapporto tra insegnanti e alunni, che oscillano attorno al 1:2,5 (un insegnante ogni due alunni e mezzo). Da tre anni la dirigenza dell’ufficio scolastico regionale insiste sulle deroghe concesse, ma questo non fa sì che neppure ci si avvicini alla parità, anche perché – per stessa ammissione degli uffici scolastici – gli insegnanti in deroga non sono specializzati.{{ Le dichiarazioni del direttore regionale Colosio}} del gennaio 2010 furono imbarazzanti: “Per il sostegno abbiamo aggiunto 600 posti in deroga. E la finanziaria vale per tutti, nessuna discriminazione, anzi questa è parità” («Ripristinate gli aiuti ai disabili», Corriere Milano, 11/1/2010). Come è possibile che un dirigente sia così digiuno di nozioni in materia di diritto? Giuseppe Colosio doveva digerire la sentenza del Tribunale di Milano, che riconosceva discriminatoria la decisione di tagliare anche l’assistenza a studentesse e studenti con disabilità, con conseguente ordine di cessare immediatamente la condotta discriminatoria. Sentenza confermata in secondo grado. Ma i tagli restarono, anzi, quest’anno si confermano, nonostante queste famose “deroghe”.

Il punto, mi pare, non è chiaro. {{Tagliare a tutti e tutte non è egualitario. Si chiama ‘discriminazione indiretta’}}, ossia si tratta di una operazione apparentemente neutra che in realtà, nella pratica, danneggia maggiormente o esclusivamente un determinato gruppo di persone, in questo caso ragazze e ragazzi disabili. Conosciamo la situazione della scuola italiana, sappiamo del sistematico abbassamento delle risorse, ma dobbiamo oggettivamente comprendere che chi parte da un gradino più sotto non può sostenere le privazioni al pari degli altri. Togliere l’insegnante di sostegno non è come togliere la carta per le fotocopie; inserire un’alunna disabile in una classe di 28 persone non è impattante come per una alunna senza alcuna disabilità; se la scuola non può permettersi un tappeto mobile, per il 98% dei presenti non cambierà nulla, per il restante 2% significherà la quotidiana umiliazione di farsi mettere le mani addosso da altri (pensate se si è una ragazza adolescente), per fare anche solo un gradino.

Insegnanti di sostegno, educatrici ed educatori, ausili meccanici ed elettronici sono quel gradino che manca per poter dire che sì, a partire da quel punto siamo tutti uguali e allora si può anche sopportare insieme un momento di crisi. Fino a quel momento ogni diminuzione di risorse alla scuola – oltre a colpire uno dei settori, con quello della salute, primari per ogni cittadino e cittadina – avrà un esito discriminatorio, perché porterà svantaggio maggiore agli studenti e alle studentesse disabili.

Lo stato di incertezza si aggiunge a questa situazione già difficile. A scuole iniziate non tutti ancora sanno quante di ore di sostegno saranno destinate e Comuni e Province non trovano un accordo su come sostenere economicamente i deficit, col risultato che tutto diviene più complicato e amplifica il senso di smarrimento, di abbandono.

Come si può agire? Il Tribunale civile di Milano ha confermato in secondo grado la discriminazione, ma purtroppo anche il Ministero si è appellato e ancora una volta il direttore Giuseppe Colosio non ha centrato il problema: “Il giudice non ha tenuto conto delle risorse. E poi di insegnanti specializzati non ce ne sono […]. La decisione del tribunale è sorprendente”. Il giudice ha tenuto conto delle risorse, valutando correttamente che queste esulano dalla sua valutazione, nel senso che non c’entrano proprio nulla. Se non ci sono insegnanti specializzati – da verificare – allora è come ammettere la presenza di un altro, ulteriore, problema nella scuola. Sorprendente, infine, è la reazione dell’ufficio scolastico e del Ministero che, realizzata la gravità della situazione, avrebbero dovuto correre a sanare il taglio, invece di ricorrere di nuovo in appello, perché è soprattutto dagli Enti preposti che ci aspettiamo venga rispettato il diritto all’istruzione.

Con pochi soldi (l’Italia è uno dei Paesi europei che meno investono nell’istruzione) la scuola diventa per moltissimi giovani più una scommessa che un diritto fondamentale, ma {{senza sostegno la scuola dei bambini e delle bambine disabili muore}}.

[No al taglio all’assistenza! Fermiamoli con una firma->http://www.ledha.it/page.asp?menu1=12&notizia=3053]

immagine da www.ledha.it