“Gridatelo dai tetti” scriveva Bartolomeo Vanzetti in una lettera al padre il 1° ottobre 1920.

“Non tenete celato il mio arresto. No, non tacete, io sono innocente e voi non dovete vergognarvi. Non tacete ma gridatelo dai tetti, del delitto che si trama al mio danno… No, non tacete che il silenzio sarebbe vergogna”.

La verità venne riconosciuta cinquantasette anni dopo nel 1977. Il paragone potrebbe essere azzardato ma quel forte richiamo è di chi sente che qualche cosa di veramente pesante sta accadendo. E allora sui tetti non ci devono salire solo i fotografi per rubare l’intimità in una foto, è tempo per tutt* di farsi sentire. Come dice Gianfranco Schiavone (giurista dell’Asgi e studioso delle migrazioni internazionali) a proposito della risposta del ministero: “Le irregolarità sono modeste e formali e procedurali non riguardano la qualità del progetto. È come dire: esiste una piccola irregolarità amministrativa e diamo l’ergastolo”. È bene ricordare che Schiavone è uno degli ideatori del primo modello Sprar nato nel 1999, diventata legge nel 2002. Dunque forse ne capisce.

La parola “deportazione” domenica 14 ottobre ha tenuto banco, anticipando di due giorni (16 ottobre) la ricorrenza di una vera deportazione (1943) conosciuto come il sabato nero del ghetto di Roma, quando alle 5 del mattino le SS rastrellarono 1.024 persone, quasi tutti appartenenti alla comunità ebraica. Due giorni dopo, alle 14 diciotto vagoni piombati partirono per il campo di concentramento Auschwitz.

 

A Riace non avverrà nessuna deportazione, i fotografi che da stamani assediano di nuovo Riace pronti a scattare (speriamo) improbabili foto di poliziotti che caricano a forza i migranti resteranno delusi. Se i migranti non vorranno allontanarsi e restare a Riace potranno farlo. Verranno considerati fuori dallo Sprar, senza più i “benefici” del progetto (benefici che grazie alla mancanza dei contributi diventava difficile definire così). Dovranno autogestirsi e autosostenersi. Partirà un nuovo progetto al quale una grande comunità nazionale e internazionale è già pronta a rispondere, almeno per i primi tempi. Tutta questa storia, questo attacco al progetto di accoglienza di Riace, al sindaco e agli operatori inquisiti ha già di suo dell’incredibile, basta attenersi ai fatti e leggere le carte, senza per forza volerci aggiungere note di colore.

Ma c’è una storia nella storia che riguarda una giovane donna che paga un prezzo altissimo vogliamo dirlo? Soprattutto perché donna. Su di lei si sono scatenati pregiudizi vecchi come il mondo e grazie al fatto che non ha mai abbassato la testa, che anzi, sottolinea la sua autonomia, alza la testa e si dimostra bella e orgogliosa viene presa di mira dall’ignoranza. Capro espiatorio. Pare sia colpa sua di tutto quanto è accaduto e accade. Del bel tempo e cattivo tempo. È venuta da lontano a portare la malanova. Viene segnalata come “compagna del sindaco” e tanto basta per far aumentare la diffidenza, l’antipatia, le critiche.

Sbarcata a Lampedusa con un viaggio drammatico – che nessuno di quelli che blaterano riesce ad immaginare -, con due figli e una sorella vista morire durante il viaggio, ha saputo rimboccarsi le maniche e lavorare come operatrice nel progetto Città Futura. Maneggia soldi prelevati all’ufficio postale per conto dell’associazione ed è immediatamente segnalata come sospetta di strane manovre. A lei viene contestato il tentativo di un matrimonio con un presunto fratello in eritrea per avere un ricongiungimento familiare, cosa poi non effettuata. È l’unica alla quale viene disposto il divieto di dimora a casa sua e nei giorni dei fulmini abbattutisi su Riace, cerca un albergo, poi una casa. Ma il clamore delle notizie sui Tg e sulla stampa ha prodotto un effetto deflagrante. Una dopo l’altra le porte si chiudono. Si attivano i progetti di accoglienza della zona, ma non possono inserirla, perché non risulta nella famosa “banca dati”. Con due giorni di ritardo finalmente si mette a fuoco il problema e sono molte le persone che si muovono per trovarle finalmente un alloggio a lei e ai due figli sballottati, impauriti, increduli. A noi rimane la tristezza.