Recensione di Liviana Gazzetta su AlfaBeta2

— Sulla questione della violenza sulle donne, che sempre più si manifesta come un’emergenza delle società contemporanee –e della società italiana in particolare-, c’è una precisa responsabilità storico-culturale delle religioni che non può più essere taciuta. Che anzi va tematizzata esplicitamente nelle chiese, nei luoghi di culto, nelle assemblee dei credenti di tutte le fedi: fedi che spesso, preoccupate di fare i conti con gli effetti della secolarizzazione, tendono a pensarsi o a presentarsi come innocenti rispetto ai drammi del nostro tempo.

È esattamente ciò che cerca di fare il volume collettaneo Non solo reato, anche peccato. Religioni e violenza sulle donne, curato da Paola Cavallari, che esce nella collana Sui generis del Coordinamento Teologhe Italiane presso la casa editrice Effatà di Torino. I testi raccolti sono frutto di alcuni incontri ecumenici avvenuti tra il 2016 e il 2018 a Bologna, dopo la firma dell’Appello alle chiese cristiane in Italia contro la violenza sulle donne. Anche se pochi di noi se ne sono accorti, infatti, il 9 marzo 2015, durante una cerimonia solenne svoltasi al Senato, è stato siglato un importante documento ecumenico su questo tema. Firmato da anglicani, metodisti, battisti, cattolici di rito latino e bizantino, cristiani apostolici armeni e ortodossi, esso ufficialmente definisce il genocidio come <un’emergenza (…) che interroga anche le chiese e pone un problema alla coscienza cristiana> e soprattutto dichiara l’urgenza di impegnarsi <per un’azione educativa e pastorale profonda e rinnovata che da un lato aiuti la parte maschile dell’umanità dalla spinta a commettere violenza sulle donne e dall’altro sostenga la dignità della donna, i suoi diritti> tanto nella società, quanto nelle relazioni affettive, quanto –va sottolineato- nelle stesse comunità cristiane.

Un testo di grande interesse e per molti versi innovativo, come si può capire. Ma la difficoltà del tema è tale che neppure in questo appello, come nota la stessa curatrice Cavallari, si nomina esplicitamente la corresponsabilità storica delle istituzioni religiose, proprio quelle nate dalla tradizione giudaico-cristiana, nell’aver condiviso, trasmesso, legittimato, a volte sostenuto una visione antropologica del femminile (e del maschile) che è di fatto tra le matrici della cultura che produce l’abominio della violenza sulle donne. Bisogna cioè avere il coraggio di riconoscere che la situazione attuale è parte di tutta una serie di processi plurisecolari; che le interpretazioni della Parola ancora oggi presenti nei vari ambienti ecclesiali sono impregnate di una cultura androcentrica e sessista; che i codici simbolici adottati nel tempo dalle chiese inducono o pretendono atteggiamenti di passività e di assoggettamento femminile facilitando la prevaricazione e l’offesa nei confronti delle donne; che le istituzioni monosessuate hanno rappresentato una sorta di furto ai danni della spiritualità femminile, sottraendo loro lo spazio della predicazione e dell’amministrazione dei sacramenti: non a caso nell’introduzione si cita un passaggio illuminante di santa Teresa d’Avila, che così recriminava in pieno XVI secolo: <Io rimprovero al nostro tempo di respingere gli spiriti forti e dotati di ogni bene solo perché sono donne>.

Le analisi ospitate nel libro sono tutte variamente stimolanti, basate su un assunto completamente diverso da quello che, per esempio, ha ispirato il noto Dio odia le donne di Giuliana Sgrena (Il Saggiatore 2016): in quest’ultimo saggio, si ricorderà, i testi sacri delle tre tradizioni monoteistiche sono considerati né più né meno che come «gli strumenti di un’aggressione» fondamentale alle donne. E proprio perché oppresse in misura esponenziale dall’integralismo monoteista, secondo questa lettura, le donne continuerebbero a essere anche più credenti e praticanti degli uomini, le prosecutrici di quelle tradizioni che dalla loro fede traggono la forza per limitare (quando non cancellare) i loro diritti.

Il libro curato da Cavallari per il “Coordinamento Teologhe Italiane” si spende, invece, in una scommessa di tutt’altro segno: l’ipotesi cioè che oggi sia possibile un’alleanza tra ecumenismo religioso e femminismo, e che su questo debbano essere aperti tanti ‘cantieri’ di elaborazione e di prassi innovativa. Resta, tuttavia, il dato clamoroso, se vogliamo, della mancanza di risonanza data all’Appello. A parte la Federazione delle Donne delle Chiese Evangeliche, si può dire che in Italia nella Chiesa cattolica il testo sia pressoché sconosciuto e che neppure il mondo ecumenico abbia mobilitato le sue energie, se si esclude la fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII e alcuni gruppi del SAE, Segretariato per le Attività Ecumeniche. Se a tutto ciò si aggiunge che la cultura secolarizzata delle nostre società –come Sgrena- dà per scontato che le chiese, anzi le stesse religioni, siano strutturalmente nemiche delle donne, si può facilmente capire come questa riflessione cruciale rischi di diventare un’occasione persa, l’ennesima in questa battaglia di civiltà.

Non solo reato, anche peccato. Religioni e violenza sulle donne (2019)  a cura di Paola Cavallari  Effatà, Torino 2019