Bologna, 4 maggio 2009. Su giornali e
telegiornali degli ultimi giorni impazza la notizia della richiesta di divorzio
pubblicamente esplicitata da Veronica Lario a Silvio Berlusconi. Una storia
che, inutile negarlo, appassiona l’opinione pubblica e si presume anche il
pubblico italiano, che da sempre ha un debole per i drammoni popolari.Ecco cosa abbiamo: un uomo ricco e potente, una moglie
infelice e offesa, uno stuolo di giovani donne e ragazze che godono i favori
dell’uomo ricco e potente.

Ma in realtà la storia è un po’ più complessa: l’uomo ricco
e potente è un capo di stato; la moglie una ex attrice che rende pubbliche, tra
l’altro, alcune dolenti riflessioni sulla società dell’immagine in cui viviamo;
le giovani donne hanno quasi tutte un passato televisivo da aspiranti showgirl
e un presente politico da aspiranti candidate alle elezioni europee nelle file
del partito del loro patrono/protettore/papi e chi più ne ha (di epiteti
patriarcali) più ne metta.

A essere precisi a rendere la storia tanto ricca e succulenta
per i media sono alcuni precedenti (la lettera della Lario a Repubblica di due
anni fa, tanto per dirne una) e alcuni stati di fatto (Berlusconi ha fatto del
fattore “bella presenza” un attributo fondamentale del curriculum
dell’aspirante politico, soprattutto se di sesso femminile).
_ Per non parlare
della consuetudine del premier a lasciarsi andare a giudizi e esternazioni
sulle donne, e sull’universo femminile in generale, che lasciano trasparire
vecchi pregiudizi (il consiglio di sposare un milionario dato alla giovane
precaria), trasudano machismo (“ci vorrebbe un militare per ogni bella donna
italiana”), offendono inequivocabilmente la dignità delle donne (l’infelice
frase sul ciclo mestruale di Eluana Englaro ne è un triste esempio).

{{Noi donne italiane dovremmo quindi gioire sentendo gli
affondi di Veronica Lario?}}

Eleggere la
Lario, come già in tanti (troppi) hanno fatto, a paladina
delle donne, esempio e simbolo da imitare, nostra insospettabile, e proprio per
questo potente, portavoce? Per essere portavoce di qualcosa – un gruppo, un
genere, un’idea, un sentimento, una critica – è necessario che la massa che
dovrebbe eleggerci tale possa identificarsi con noi.

Veniamo al caso in questione: possono le donne italiane
sentirsi solidali e partecipi della vicenda della signora Berlusconi? E qual è,
di preciso, la storia che ci viene raccontata, che dovrebbe appassionarci e
dividerci?

È una storia sul potere e sulla visibilità del potere – e le
giovani e vecchie donne italiane col potere hanno poco a che fare.
_ È la storia
di un nonno che viene rimproverato di correre dietro alle ragazzine – ma il
problema della maggior parte dei nonni italiani è di poterlo diventare, dei
nonni, vedere finalmente i loro giovani figli precari potersi permettere di
diventare adulti, autonomi, genitori.
_ È una storia che parla di madri che
svendono le figlie pur di farle diventare veline, di ragazze piacenti usate dal
potere e utenti loro stesse del potere, di pretese uguaglianze perché viene
reclamato come un diritto essere usate e utenti del potere se belle e piacenti – un diritto che alla maggior parte delle donne non interessa: essere trattate
come persone, non essere oggetto di discriminazioni e di violenze, poter vivere
dignitosamente del proprio lavoro, guadagnare quanto i propri colleghi maschi,
poter essere padrone del proprio corpo, avere voce in politica, queste sarebbero
le urgenze.

È, infine, una storia che parla di un’eredità (quella, smisurata,
del Berlusconi padre da dividere tra i cinque figli) – e cosa ha a che vedere questa
con l’eredità che dovremo fronteggiare tutte e tutti noi? Una generazione,
quella dei perenni “giovani”, destinata a vedere ridimensionata ogni ambizione,
ogni speranza.

Un’esistenza da precari in cui tocca rinunciare anche ai sogni,
per non rischiare di cadere in una delle forme di depressione da precarietà che si
stanno diffondendo. Un’eredità di
passi indietro, in tema di diritti civili, di libertà, di acquisizioni, di
sviluppo economico …che toccherà riconquistare in futuro. Un’eredità davvero
troppo difficile da gestire, anche se si è in tantissimi a condividerla.

Perciò, al grido di battaglia di Veronica Lario, già offesa
nel 2007 nella sua “dignità di donna”, e impegnata oggi in quanto donna a non
vedersi offesa, può andare la nostra (di donne) comprensione, anche
solidarietà, ma non la nostra partecipazione.
_ Non è la nostra battaglia, non è
la nostra storia.

L’augurio è che la vicenda personale della signora Lario si
concluda presto e senza drammi. Anche perché ci sarebbero altre storie che
vorremmo poter leggere sulle pagine dei giornali nei tempi a venire, reality che per
lo meno avessero per
oggetto la realtà, quella vera, urgente, comune.
_ Storie che magari parlassero
di noi tutte e tutti, insomma, di noi massa incolore e anonima. Qualcosa di
meno personale-altrui e di più personale-nostro.
_ Non sempre il personale è politico.