Pubblichiamo il contributo dell’Osservatorio alla manifestazione “La dignità non ammette silenzio” organizzata sabato 7 novembre da Arcigay La Salamandra di Mantova.
“Indaghiamo sulla vita privata dei grandi uomini: la vicinanza di un essere umano considerato inferiore a mente fredda, ha colmato i gesti più comuni di una aberrazione a cui nessuno si è sottratto”.
{{Carla Lonzi}},{ Sputiamo su Hegel,} 1970

La citazione non dia luogo a fraintendimenti.
I “grandi uomini” che Carla Lonzi aveva in mente – ne sono certa – non sono quegli esempi di rettitudine e saggezza cui a buon diritto spetterebbe questa etichetta, ma coloro che amano ritenersi tali, quei figuranti senza qualità che la vulgata popolare, il sistema mediatico, la cultura mainstream definiscono come tali, in virtù di qualche loro potere: politico, finanziario, televisivo…

Ecco perché {{il personaggio, contro la cui vigliaccheria siamo qui oggi ad esprimere la nostra esasperazione, rientra a pieno titolo nella categoria dei “grandi uomini” di Carla Lonzi}}.

L’ultima esternazione, che ha splendidamente coronato l’esplosione del Ruby-gate, non è più indecente di tante altre precedenti e dello stile di vita e di pensiero di cui è simbolo; un sistema culturale e valoriale che ruota intorno alla “vicinanza di esseri umani considerati inferiori a mente fredda”.

Quando si accendono le luci nel privé, quando gli ospiti all’alba lasciano la villa, quando sul palco della lap-dance non ci sono più le ballerine ma qualcuno che fa le pulizie, quando le bottiglie sono ormai vuote, i regali distribuiti e la musica terminata – quando, cioè, il teatrino si smonta – i “grandi uomini”, “a mente fredda”, guardano le starlette di turno, che fino a quel momento si sono illusi di corteggiare e di vincere, le danzatrici da harem, le Lolita… e non vedono persone come loro, ma quelle che secondo loro sono “le donne”: escort, “carne fresca” da comprare – ossia quegli “esseri inferiori” che permettono loro, ogni giorno, di immaginarsi “superiori” e di costruire il loro potere.

E proprio in questo sta – mi sembra – {{il nodo profondo del berlusconi-pensiero e dell’appeal che esso riscuote presso tanta italianità}}.
È il fascino della “grandezza” a portata di mano, del potere da outlet: quello che non richiede preparazione, intelligenza, studio, saggezza, rettitudine e qualità superiori alla media, ma si fonda unicamente sull’arroganza – basta circondarsi di un serraglio di “esseri inferiori”, perché ci si possa percepire “grandi”, e si possa indurre altri a considerarci tali.
Che cosa sono, infatti, machismo e maschilismo, se non {{strutture che il maschio eterosessuale ha inventato a suo uso e consumo,}} al fine di definirsi come “superiore”, e dunque in diritto di detenere il potere?

Allora, le smargiassate di un maschio sono gravi e preoccupanti non solo nel loro eventuale violare la legge e offendere ogni umano buon senso, ma anche – e forse più – perché egli, per il ruolo istituzionale che ricopre e per la visibilità di cui gode, strizza l’occhio alla parte peggiore di {{certa Italia da commedia anni ’60,}} solletica nostalgie di patriarcato evidentemente mai sopite, sdogana sentimenti, immaginari, termini e retoriche la cui indegnità credevamo assodata.
Sono preoccupanti, cioè, perché non sono i segnali della malattia di un uomo solo, ma di quella di una bella fetta di Italia.
Quella fetta di Italia che, alla sua uscita soddisfatta da vero conquistador, ridacchia e applaude, evidentemente riconoscendo parte di sé e del proprio credo in quelle parole.

Che questo {{mix di arroganza e violenza}} – di cui machismo e maschilismo sono alcune declinazioni – trovi un terreno fertile in cui radicarsi è sintomatico di un processo di regressione pericoloso.
Non solo quello che, ovviamente, investe il campo dei diritti civili e umani in Italia, che ad ogni uscita di questo tipo fanno un passo indietro di qualche anno; e non solo quello dell’autorevolezza dei nostri rappresentanti – nella quale già da tempo abbiamo smesso di sperare.
La recessione più pericolosa, forse, è quella dello{{ stato di salute mentale del nostro Paese,}} che in troppi casi pare aver perso la capacità di discernere e quella di indignarsi, e che – impaurito, impoverito, inetto – sembra aver barattato la propria dignità con la scorciatoia dell’arroganza verso i più deboli, dell’umiliazione dei possibili avversari, della furbizia truffaldina e dell’ignoranza smargiassa.

È così che{{ al dialogo viene sostituita l’offesa}}, che la barzelletta da osteria prende il posto dell’approfondimento, e la sopraffazione quello della collaborazione.
Non mi meraviglia che le donne, così come gli omosessuali, siano le prime categorie di persone ad essere prese di mira da questo sistema distorto di pensiero: perché esso è maschio – maschio eterosessuale – e non ha i mezzi per instaurare un confronto alla pari, non ha l’intelligenza e la consapevolezza necessarie a misurarsi su un piano di civiltà, dunque ricorre alla barbarie, consentitagli dal suo essere “maggioranza” o dal ritenersi tale.
La sottomissione – fisica o simbolica che sia – è l’unico strumento che conosce, quello che lo definisce e garantisce il suo equilibrio.

Quello che dovremmo tenere a mente ed insegnare alle altre, e la risposta più ironica che possiamo dare all’arroganza machista e maschilista – la risposta che colpirà più a fondo, perché mette a nudo il sentimento di paura e l’inadeguatezza che la originano – è, ancora, una frase di {{Carla Lonzi}}, tratta dal {Manifesto di Rivolta Femminile}, datata 1970 eppure (ahinoi) {{tremendamente attuale}}:

“Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione”.