Alla Casa internazionale delle donne di Roma, le maggiori associazioni che da molti anni hanno messo al centro della loro azione la lotta al femminicidio hanno presentato la piattaforma politica alla base del coordinamento “No more” per azioni politiche nei confronti delle istituzioni e per la mobilitazione sul territorio in vista del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza di genere.Promotrici della [Convenzione->http://convenzioneantiviolenzanomore.blogspot.it/p/blog-page.html] sono UDI Nazionale (Unione donne in Italia), Casa Internazionale delle Donne, GiULiA (Giornaliste unite, autonome, libere), Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa onlus, D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), Piattaforma CEDAW “30 anni lavori in corsa CEDAW”: Fondazione Pangea onlus, Giuristi Democratici, Be Free, Differenza Donna, Le Nove, Arcs-Arci, ActionAid, Fratelli dell’Uomo. Da oggi fanno appello alle realtà nazionali e locali delle donne, e alle singole persone, affinché aderiscano o sottoscrivano la loro proposta politica della convenzione.

La richiesta alle istituzioni nazionali e locali è quella di “assumersi le proprie responsabilità, a porre in essere politiche adeguate e rispettose della dignità e dei diritti umani delle donne” ed in particolare al Presidente del Consiglio Mario Monti e ai suoi Ministri di “incontrare le promotrici della Convenzione per discutere sulle proposte in materia di prevenzione, contrasto e protezione della violenza maschile sulle donne–femminicidio, ritenendo fondamentale l’attuazione di politiche immediate come indicato nella Convenzione proposta”.

Si tratta innazitutto di verificare l’efficacia del Piano Nazionale contro la violenza varato dal governo nel 2011 ma mai attuato: il Piano presenta lacune e quindi si chiede di predisporne una immediata ed efficace revisione con il contributo dei soggetti promotori della presente Convenzione.

“Quante sono le donne uccise in Italia?” Vittoria Tola (Udi nazionale), nella conferenza stampa, dichiara che questo interrogativo è senza risposta certa, nessuno pò dare dati reali all’oggi; già questo è un primo segno dell’inefficienza delle politiche finora attuate (meglio inesistenti). La convenzione prevede che sia stabilita una rilevazione dei dati sistematica, integrata e omogenea in materia di violenza sulle donne su tutto il territorio nazionale, da parte dei diversi servizi coinvolti con la loro rielaborazione e la pubblicazione da parte dell’ISTAT; vengano rese comunicanti le banche dati delle forze dell’ordine.

Non è una richiesta marginale, piuttosto significativa della marginalità con cui le istituzioni affrontano la questione tanto da non ottemperare alle raccomandazioni conclusive rivolte all’Italia dal Comitato CEDAW del 2011 e dalla Relatrice Speciale ONU contro la violenza sulle donne del 2012. La convenzione richiede che vi siano “interventi tempestivi a difesa dell’incolumità delle donne che denunciano violenze in conformità agli obblighi derivanti allo Stato dagli accordi internazionali ed in attuazione dei principi stabiliti dalla Corte Europea dei Diritti Umani in materia di violenza sulle donne”.

Teresa Manente, che parla a nome della rete dei Centri antiviolenza, aferma con molta decisione che la lotta alla violenza di genere deve essere equiparata alla lotta contro le mafie. La crsi non può servire da alibi alla continua diminuzione di finanziamenti ai Centri antiviolenza, a partire dai quali va “costruito e rafforzato il sistema di servizi pubblici e convenzionati sul territorio”.

La presentazione della convenzione avviene mentre gli organi d’informazione ci rinviano immagini allucinanti sul caso del bambino di Padova prelevato a forza dalla scuola; la convenzione richiede – come sottolineato anche da Paola Lattes di Telefono rosa – che “sia garantita la formazione di tutti i soggetti che lavorano, nei vari settori, con le vittime di violenza e i minori in un’ottica di genere; sia vietato, in caso di separazione e affido dei minori, nei casi di violenza domestica e assistita o subita dai figli chiediamo, l’affido condiviso e che venga applicato come prassi l’affido esclusivo al genitore non violento; sia vietato l’utilizzo della sindrome di alienazione parentale (PAS) in ambito processuale ed extraprocessuale; e non sia consentito l’utilizzo di tecniche di mediazione familiare in ambito processuale e da assistenti sociali”.

GiULiA (giornaliste unite libere autonome) sottolinea da parte sua {{il nodo dell’informazione}}, invitando a giornaliste/i di “sapere di cosa si parla”, di non manipolare la notizia; chi dirige il giornale ha il dovere di controllare non solo la veridicità dei fatti ma anche la non distorsione del loro senso.

Tutto richiama{{ il capitolo della formazione}} nel senso più ampio del termine, presente con precise richieste nella convenzione: ” si adottino corsi di formazione su violenza di genere – femminicidio per i giornalisti che già svolgono la professione nelle redazioni e per chi si appresta a svolgerla (scuole di giornalismo e master); vengano rivolte campagne di sensibilizzazione nazionali e locali a contrasto della violenza maschile sulle donne rivolte a tutta la popolazione e in particolare agli uomini; nella scuole e nelle università, la didattica contenga anche gli argomenti della discriminazione e la violenza di genere, e che in particolare sia fatta attenzione all’adozione di libri di testo che non veicolino pregiudizi di genere nel linguaggio e nei contenuti”.

“Chiediamo un soprassalto di questo paese” sintetizza Francesca Koch, presidente della Casa internazionale delle donne che aderisce alla convenzione, oltre ad ospitarne la presentazione alla stampa.

E da questo momento il coordinamento apre il conflitto: se non si vedranno segni significativi di cambiamento delle politiche governative si potranno anche avviare procedure internazionali nei confronti dello Stato

Per info e adesioni: convenzioneantiviolenza@gmail.com

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