Riceviamo da Roberta Agostini, consigliera alla Provincia di Roma, il testo del suo intervento in sede di riunione speciale del Consiglio della Provincia (5 marzo 2009) durante il quale è stata proposta ed approvata all’unanimità la deibera di costituzione di parte civile della Provincia nei processi di stupro. Sono passati più di 30 anni da quando per la prima volta una telecamera entrò in un’aula giudiziaria nella quale si svolgeva un processo per stupro.

{{Era il 1978}}, l’anno dopo il documentario venne trasmesso in televisione, la donna si chiamava Fiorella, l’avvocata era Tina Lagostena Bassi. Il documentario mostra uno spaccato della società dell’epoca, fa vedere come sul banco degli imputati in realtà sieda soprattutto la donna che, spiegano gli avvocati, con il suo comportamento ha istigato i violentatori, è uscita la sera, si è messa i pantaloni oppure la minigonna.
Nei 30 anni trascorsi da allora, molte cose sono cambiate: nel 1981 è stato abolito il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, la riforma del diritto di famiglia che abolisce l’autorità maritale era stata approvata nel 1975, la legge contro la violenza sessuale che trasforma il reato da delitto contro la morale a delitto contro la persone è del 1996; ci sono volute le battaglie delle donne, nelle istituzioni e fuori a cambiare ciò che un tempo era dato per scontato e trasformarlo, nominarlo come violenza e prevaricazione.

{{Ultimamente}}, alcuni episodi hanno suscitato movimenti di indignazione collettiva nell’opinione pubblica. La morte della signora Reggiani è stata al centro della battaglia politica nelle elezioni per il comune di Roma. In un recente articolo Lucia Annunziata si è domandata: forse le donne hanno vinto? La nostra risposta è no. E per diverse ragioni.

{{Nel 2007 l’ISTAT}} ha intervistato 25 mila donne tra i 16 e i 70 anni e ci ha restituito {{una radiografia impressionante}}: 14 milioni di donne vittime di violenza, 7 milioni oggetto di stupri e abusi, di queste un milione e 400 ragazze, nel solo 2006 un milione e 150.000. Chi sono gli autori di queste violenze? Nella maggior parte dei casi le vittime conoscono i loro aggressori perché sono mariti, fidanzati, parenti, amici.

La maggior parte delle violenze – l’ISTAT dice il 70% – avviene dentro le mura domestiche. Un libro collettivo, “[{Amorosi assassini”}->http://www.laterza.it/schedalibro.asp?isbn=9788842085140] descrive bene di quali nefandezze e atrocità si può rendere responsabile un congiunto.

A fare notizia e a suscitare l’indignazione, però, sono le violenze per strada che si caricano di una valenza simbolica: il degrado, gli stranieri, l’immigrazione, l’altro da noi… Si tratta certamente di fatti gravi e terribili, nei quali il corpo delle donne è ancora una volta terreno di battaglia politica. Io però penso che ci possano essere diverse risposte, {{diverse letture per affrontare la questione.}}

In primo luogo, {{le donne non vogliono leggi tribali, la vendetta o il linciaggio}}, ma una giustizia giusta, pene certe e processi rapidi In secondo luogo, a noi donne spetta il compito di dire che la violenza non è semplicemente un’eccezione, una devianza, una patologia accidentale, ma è qualcosa di più: è la manifestazione estrema ed inaccettabile di una cultura maschile di sopraffazione, di una discriminazione profonda delle donne, di incapacità di accettare libertà e autonomia, di considerarle ancora come oggetti. Su questo dobbiamo interrogare gli uomini e chiedere loro di interrogarsi con noi, perché è ora che il problema della violenza diventi anche un problema degli uomini, interrogando la loro coscienza individuale, sociale e antropologica. Se non facciamo questo, anche come istituzioni, attraverso una operazione di prevenzione dei fenomeni della violenza a partire dalle scuole, se non attiviamo l’intera comunità su questa idea noi non saremo efficaci. A poco serve militarizzare il territorio, per non parlare delle ronde che vestono casacche politiche; serve costruire il giusto sistema di relazioni, intervenire prontamente sul degrado, dare risposte sul piano sociale. Sennò cresce da un lato l’esasperazione dei cittadini, dall’altro la marginalità e l’abbandono. La sicurezza non solo è una questione di ordine pubblico, ma è una componente fondamentale dello spirito di una comunità.

Con la delibera di costituzione di parte civile abbiamo voluto dare alcuni messaggi politici chiari. Ricordo che si tratta di [una proposta che abbiamo elaborato con la Commissione delle elette del Comune e con le associazioni.->https://www.womenews.net/spip3/ecrire/?exec=articles&id_article=3354]

Il primo: {{noi vogliamo che le istituzioni si schierino}}, rappresentando un punto di riferimento per chi subisce violenza. Non siamo disponibili a tollerare nessuna forma di impunità. A luglio scorso una sentenza della Corte di cassazione ha riconosciuto nella violenza sessuale la lesione di un diritto soggettivo dell’ente, il suo interesse a preservare il territorio e a garantire la libertà e l’incolumità dei cittadini. Quindi noi diciamo che chi stupra una donna colpisce tutta la comunità.

Il secondo: {{vogliamo sempre di più che il fenomeno emerga}}. Dai dati sappiamo che il 90% delle violenze non viene denunciato, per tanti motivi. {{Solidea}}, l’istituzione della provincia di Roma che si occupa del contrasto alla violenza sulle donne, ha registrato che l’aumento dell’utenza nei centri antiviolenza della Provincia dal 2004 ad oggi è stato del 51%. Segno che si è rafforzato sul territorio un punto di aiuto e di ascolto che ha favorito la consapevolezza delle donne e l’emersione del disagio. Questo naturalmente ci suggerisce anche la necessità di implementare l’apertura dei centri.

Il terzo: con la delibera vorremmo sottolineare come {{istituzioni giudiziarie, enti locali, associazioni possano e debbano collaborare per sanzionare chi viola il diritto delle donne alla propria integrità}}.

La Provincia sta facendo la sua parte. Attraverso {{Solidea}} stiamo svolgendo un lavoro importante di coordinamento e gestione dei {{3 centri antiviolenza, di accoglienza delle donne}} che subiscono violenza, di formazione degli operatori, di prevenzione soprattutto nelle scuole.
Però è un fatto che dagli anni ’80, cioè da quando le associazioni alleate con le istituzioni più sensibili, diedero vita ai primi centri antiviolenza, sono gli enti locali ad essere in prima linea.

Il PD ha presentato una proposta di legge di sostegno nazionale alla rete dei centri antiviolenza e crediamo che proprio per la complessità del fenomeno ci sarebbe bisogno di misure articolate di contrasto – conoscenza, sensibilizzazione, formazione, prevenzione, sostegno, repressione – che avrebbero bisogno di un osservatorio, di un piano d’azione e di risorse da parte del governo. E invece la logica del governo, così come quella della giunta Alemanno, è tutta schiacciata su una risposta emergenziale, repressiva e securitaria che non solo non affronta il problema ma fa crescere una spirale di insicurezza e paura. Ma una cosa è soffiare sul fuoco ed alimentare i conflitti durante la campagna elettorale, un’altra è governare la complessità dei problemi. Non sono possibili scorciatoie e semplificazioni, che alimentano disagio ed intolleranza, ma servono politiche di investimento sociale e culturale.