Le malamate- ScenaNel suo prologo a Vite sbobinate di Alfredo Gianolio, Ugo Cornia dice che le vite delle persone sono come dei lenzuoli stesi sulla terra: dentro ci può finire di tutto, “un po’ di prati, pioppeti, lavori, hobby, nuvole, carriole del nonno, automobili, mamme”, lavatrici anche, poi a un certo punto quei lenzuoli vengono annodati in fagotti, che sono appunto le vite di ognuno. Con dentro tutta quella roba, ogni fagotto, si capisce, sta in bilico come può, certe volte “diventa uno sfacelo” e si può anche rompere, ma ci son dei momenti, invece, che ci sembra che quel nostro fagotto “abbia una sua armonia incredibile”.
E armonia è relazione sincronica: il nostro fagotto ha dentro anche suoni e parole che non sono stati creati direttamente da noi ma che abbiamo sentito combaciare a tal punto con il nostro stare al mondo da farli nostri, attualizzandoli – agendoli quasi – dentro di noi. La nostra qualunquità si fa così insieme unica e transitiva, perché dialogante. È confidando in questo che portiamo in scena Le Malamate, che afferma la convinzione che quell’ingorgo emotivo che tante volte ci siamo sentite non è necessariamente vicolo cieco ma può farsi espressione condivisa, a partire da un palcoscenico che diventa così teatro di quelle emozioni che bisogna imparare a non occultare e a trasformare in gesto comunicativo. Senza vergogna siamo partite dal nostro vissuto più intimo, da quel nostro sentirci esposte e in balia degli eventi e abbiamo assecondato la nostra predilezione per poesie e voci che ci sembravano narrare proprio il nostro senso di sconforto, che plasmavano il magma confuso dell’abbandono da parte di chi pensavamo avrebbe dovuto amarci e non ne era stato capace, cominciando finalmente a fargli prendere una forma e una direzione. Le Malamate potrei chiamarle allora una specie di autodiscografia e di autobibliografia collettiva, perché a volte ho come l’impressione che siamo una trama e nel cercarci troviamo molto di più che noi stesse: certe parole, certe voci ci risuonano dentro con particolare persuasione. Troppa per essere totalmente altro da noi. E allora capiamo che fanno parte del nostro “fagotto di vita”: l’innocenza tragica di Violeta Parra, la sottile contraddittoria filosofia della rinascita femminile cantata da Lhasa de Sela, l’autoironia di Sofía Viola, la visceralità tellurica delle poesie di Goliarda Sapienza, l’asincronia crudele degli incontri sfiorati e perduti raccontata da Wisława Szymborska e da Edith Piaf. Nell’ascoltare loro, noi stesse ci siamo ritrovate e allora abbiamo scritto anche noi: canzoni, pensieri e poesie. Il risultato è una lettura-concerto drammatizzata, in cui non c’è vera soluzione di continuità fra un testo e l’altro perché attraverso parole e suoni di altre donne abbiamo scoperto le nostre voci più autentiche: i nostri testi originali e le nostre interpretazioni si intrecciano in un unico paesaggio sonoro, sottolineato dai nostri gesti e dagli oggetti evocativi che mettiamo in scena.

Fra-LE MalamateDa una volta all’altra c’è sempre qualcosa che cambia: non portiamo mai sul palco esattamente gli stessi brani né i nostri gesti sono identici ogni volta, a sottolineare la natura intrinsecamente rapsodica – rapsodia etimologicamente è un cucire insieme canti diversi – di ogni processo di costruzione del sé, sempre frammentario e in trasformazione.
Siamo consce che questo prendere parola in quanto creature emozionali è un gesto politico: la passione che cantiamo e recitiamo non è in fondo che un pretesto per sottrarci all’omologazione e per contrastare ogni tentativo di indocilimento. Il sistema patriarcale preferisce espungere l’imprevedibilità di questa schiettezza: non a caso tradizionalmente il femminile è stato relegato all’intimità domestica. Un gesto politico che libera energia contagiosa, Le Malamate è anche
un invito ad accompagnarci nel viaggio, ognuna e ognuno a partire dalle sue ferite e dal suo desiderio, ma anche dalla volontà di ridere insieme e di cercare forme convincenti per dirle, queste ferite e questo desiderio. La lacerazione rammendata con la bellezza, come scrive Carol Gilligan nella sua prefazione a Io sono emozione di Eve Ensler, rinnovando proprio questa immagine del rammendo, che ritrovo in una bellissima poesia di una nativa americana regalatami da una ragazza l’8 marzo, dopo la nostra lettura musicata dai Monologhi della vagina:

Cammino fra i cocci
e ho paura di lacerarmi
devo avere il coraggio di sanguinare
devo avere il coraggio di tagliarmi
per amputare la mia ferita purulenta.

La Donna Antica sta guardando
veglia su di voi
nel buio della tempesta
sta guardando
veglia su di voi
tessete e rammendate
tessete e rammendate
la Donna Antica sta guardando
veglia su di voi
con le sue ossa fatevi telaio
lei sta tessendo
veglia su di voi
tessete e rammendate,
sacre sorelle,
tessete e rammendate. 

Sono andata alla ricerca
perduta
sola
Sono andata alla ricerca
per molti anni

Sono andata alla ricerca
della Donna Antica

e l’ho trovata dentro di me.

Con Le Malamate saremo domenica 13 aprile, ore 21, alla Scuola Popolare di Musica “Ivan Illich”, in via Giuriolo 7, Bologna

Bianca e Ulduz

Questa volta saremo

Silvia Cavalieri     voce e testi

Francesca Colli    voce, testi e chitarra

Hugo Venturelli   chitarra

Bianca Ferricelli    attrice

Amelia Bagalà attrice

Le fotografie sono tutte di Regazzi Photograpghy. Altre le trovate qui