Le donne avevano capito in tempo e le preoccupazioni del Punto G di dieci anni fa erano, profetiche: la politica economica diventava iniqua, si stava distruggendo lo stato sociale, si riducevano gli spazi pubblici, proliferavano sessismo, razzismo e fondamentalismi religiosi…. Dieci anni dopo. Possiamo dire ‘sempre peggio’? Forse qualcuna lo diceva anche allora, che era dieci anni dopo Pechino (e su Pechino era già rimozione).
_ Allora, prepariamoci a un passo indietro che sia necessariamente un passo neutro. Analizzando, infatti, il degrado sistemico, si può comprendere come avere cancellato dalle agende politiche gli interventi “profetici” delle donne abbia danneggiato tutte le società, a partire dagli uomini. Tuttavia, siamo tutti (e tutte) condizionati da quello che chiamiamo – pur contestando – “il sistema”.

Solo che noi donne ne diventiamo complici senza esserne state autrici responsabili.
_ E’ l’antica storia: anche in politica le donne, se intendono farsi sentire, sono condannate al doppio lavoro, a leggere la realtà con il loro sguardo esperienziale e la loro intelligenza critica e ad accettare l’interpretazione della visione del mondo dominante, neutra nel senso che noi vi siamo comprese a prescindere da nostre idee e volontà.

Quindi penso interessante fare un po’ di conti ‘neutri’. All’inizio degli anni ’80 del secolo scorso si discuteva ancora di “imperialismo delle multinazionali”, espressione caduta in disuso senza che le discussioni approdassero a progetti.
_ Qualcuno pensò che valeva la pena di ‘lavorare meno e lavorare tutti’ in un mondo così, ma la proposta si rivelò impossibile perché fu respinta l’ipotesi di non retribuire le ore cedute alla razionalizzazione. Per la verità in Germania, in anticipo sui tempi, erano state le lavoratrici di alcune imprese a proporre di ‘comperarsi’ ore di libertà per sé, ma erano state ritenute pazze dai sindacati. In Francia, invece, la battaglia per le 35 ore con il tempo riuscì a passare, anche se ora si constata che non risolve i problemi.

La realtà era che le multinazionali avevano vinto: era incominciata la globalizzazione. Quando tutti, anche la sinistra radicale, se ne resero conto, la reazione prevalente fu la demonizzazione del fatto e del nome. Ancora una volta la ricerca di alternative naufragò, nonostante qualcun altro abbia, poi, escogitato un rimedio parziale, ma interessante: la tassa di Attac sulle transazioni commerciali per risarcire i popoli poveri, naufragata perché la minoranza che l’aveva ideata si trovò a remare contro non solo i governi, ma anche l’impreparazione del mondo del lavoro e della sinistra.

Infatti, che il mondo sia interconnesso è un dato di realtà e, perfino, una grande opportunità. Solo che il versante per un approccio giusto è la conoscenza. Le nuove tecnologie dimostrano che, anche se non volessimo, siamo costretti a vivere tutti insieme nello stesso spazio. Ancora una volta siamo in ritardo rispetto ai poteri forti e al mercato, che si impadroniscono di tutto, anche dei media e delle tecnologie avanzate.

Eppure la manifestazione in tutte le capitali del mondo per impedire a guerra contro l’Iraq fu il primo esperimento politico a mezzo internet, a dimostrazione delle potenzialità politiche dei nuovi mezzi. Positivo ma non più perseguito (e anche Obama che ci fece le elezioni, non ha saputo tenerlo sulla corda).

Schematizzando, quelli che un tempo si chiamavano ‘i padroni’ sono diventati ‘i poteri forti’, si sono da un lato uniti, dall’altro moltiplicati, e hanno modificato l’economia deprimendola a finanza. La merce principale è diventata il denaro, le banche ormai ricattano i governi, mentre, omologate le classi, la gente che lavora aspira al consumo e perde solidarietà. In Italia i cittadini ignorano di avere sulle spalle centomila euro di debito dello stato e di pagarne, sempre senza saperlo, altre decine ogni anno per il servizio del debito.
_ E, naturalmente, sono finiti per misurarsi con Marchionne. La sola ideologia comune è diventata il mercato che, senza regole, ignora i diritti. Quei diritti che l’Europa ha impiegato secoli per affermare.

C’era ai tempi del ’68 – sempre del secolo scorso – un libro americano sulla scuola intitolato { Su per la discesa}. Mi capita di citarlo perché mi sembra che non ci si accorga che tutti i piani sono inclinati e risalire (ma non ci eravamo accorti di precipitare?) sia sempre più una gran fatica.

Soprattutto per le teste pensanti che, anche volendo, non trovano ipotesi alternative su cui misurare mediazioni accettabili: il massimo che possono fare è negoziare per difendere, almeno sulla carta, i diritti.
_ Cosa non facile se oggi, nel gennaio 2011, a Bologna è morto di freddo in piazza Maggiore, nell’indifferenza generale un bimbo di tre mesi, figlio di italiani ormai randagi senza chiedere l’elemosina. Ce n’è per tutti, vero?
_ Ma c’era rimedio?

Le donne avevano capito in tempo e le preoccupazioni del Punto G di dieci anni fa erano, profetiche: la politica economica diventava iniqua, si stava distruggendo lo stato sociale, si riducevano gli spazi pubblici, proliferavano sessismo, razzismo e fondamentalismi religiosi….

Così riprendevano ipotesi, da tempo formulate in larghe aree del femminismo, per una globalizzazione opposta: un’economia basata non solo sulla produzione, ma sulla ri-produzione e la cura, che non significa pensare ai bambini, ma dare forma in politica alla necessità che la politica abbia come obiettivo non qualunque aggiustamento di mercato, ma un prendersi in braccio la società per farla vivere meglio. Il che significa legalità nel mercato, sacrifici accettati se finalizzati a minore disparità fra i paesi e all’interno di ciascun paese, diritti umani rispettati, lotta alla violenza di genere che è già guerra e origina i conflitti armati, primato ovunque dell’educazione e della salute pubbliche, fine della cittadinanza basata sul sangue e non sulla residenza….

C’erano, dieci anni fa, parole di gioia, che oggi costano molta maggior fatica e trovano molte di noi stanche per i sacrifici e scoraggiate perché nessuno cerca di affrontare seriamente i problemi per risolverli e torna a pensare che noi siamo un ammortizzatore sociale, mentre il lavoro femminile è già un guadagno sociale.
_ Eppure noi siamo testarde: dobbiamo riprendere le cose scritte dalle economiste femministe, riformularle senza aspettarci che siano accolte oggi proposte accantonate ieri e ieri l’altro.

I maschi stanno cercando di mettere qualche pezza perfino al tessuto prezioso dei diritti: noi vorremmo che sapessero distinguere tra le pezze al culo e i ricami sul tessuto prezioso dei diritti. Non siamo più quelle che fanno la calzetta, ma come Lisistrata siamo, almeno per ora, più brave a filare la lana sociale, dopo averla ripulita dalle brutture, per tessere un abito bello per la città.