Per entrare dentro la modalità di scrittura e lo spirito di ricerca che anima questo testo è necessario avere qualche informazione riguardo alla sua autrice. Paola Zaretti è psicanalista e consulente filosofica fondatrice del Centro Filosofico di Psicanalisi di genere antiviolenza Oikos-Bios, con sede a Padova.Paola Zaretti si forma all’interno del Centro di Studi di Clinica Psicanalitica ma, dopo anni di collaborazione e numerosi lavori pubblicati al suo interno, decide di uscire dall’istituzione psicanalitica per “dissenso sul genere di formazione impartita e sui suoi esiti poco edificanti”.
Questo avviene nell’autunno del 1988, 12 anni dopo l’espulsione di Irigaray dall’Associazione psicoanalitica francese per ‘{mancata fedeltà ad un discorso unico}’. Nonostante la diversa modalità di allontanamento dall’istituzione psicanalitica le due donne sembrano essere accomunate da un’impossibilità di stare all’interno dell’istituzione. Quella di Paola però è una scelta, dettata da un’avvertita e sofferta limitazione della propria libertà di espressione alla quale si accompagna la capacità e possibilità di incidere sul reale, che altro non è che quella di produrre un cambiamento politico.

“Il periodo che intercorre tra il 1988 e 2001 è tempo di riflessione critica sull’etica delle Istituzioni psicanalitiche, sulla violenza insita in talune loro modalità di funzionamento, sulle pratiche di dominio maschile esercitate al loro interno, sui rischi di dipendenze insolubili da esse attivate, sulle patologie indotte da parte di coloro che si assumono compiti di “cura”.
L’esito di queste riflessioni è una scelta di allontanamento e di presa di distanza da qualsiasi “{comunità” psicanalitica tradizionalmente impostata}.”

I testi che Luce Irigaray pubblicherà a seguito della sua uscita ‘forzata’ dalla società psicanalitica francese, tra i quali spicca {Speculum}, diverranno testi chiave del femminismo francese e italiano unendo, per la prima volta e ufficialmente, due pensieri che, come analizza Paola nel suo libro, non possono essere considerati autonomamente: psicanalisi e femminismo è infatti il sottotitolo del suo libro a ricordarci che la psicanalisi senza la donne non sarebbe mai esistita e che il femminismo senza la psicanalisi non potrebbe parlare di ‘autocoscienza’ e di ‘inconscio’.

Ecco che, quindi, i temi trattati durante le numerose iniziative, tra convegni, presentazioni di libri e pubblicazioni di atti di seminari, che vedono Paola impegnata in un lavoro intenso che dura dal 2006, anno di fondazione di Oikos-Bios, a oggi, sono incentrati su temi cari anche al femminismo italiano: {Scenari dell’Orrore,} {Infanticidio} – {Culto del Materno e maternità impossibili} – {Schizofrenie}, {Essere padri cos’è?} {Il “continente nero” del mondo maschile}, {Lui/Lei} – {Coppie in rivolta}, {Corpi venduti, corpi comprati } – {Prostituzione e violenza} –, {La chimica del suicidio – psicofarmaci e storie di dipendenze} –, sono solo alcuni dei titoli dello spettacolo itinerante scritto e proposto da Paola Zaretti e intitolato {Donne in Strada – a scuola di non violenza} – attraverso il quale propone il suo messaggio ad un pubblico non specialistico, perché è li che trova incisività, nelle nostre vite quotidiane.

Ne consegue anche il forte desiderio di collaborare alle attività proposte dalle associazioni femministe padovane e non solo, consapevole già allora del nesso imprescindibile tra una presa di coscienza femminile e il lavoro segnato dal femminismo in un ambito che, seppur estraneo a quello psicanalitico, ne rivela una somiglianza stupefacente.

Sarà proprio in questo tentativo che Paola Zaretti potrà riscontrare una forte resistenza (la resistenza dell’inconscio?) proprio da parte di quelle associazioni femministe che si impegnavano sugli stessi temi, una resistenza che incrociava un vuoto dal sapore di rimosso, proprio sull’importanza e l’incisione della psicanalisi sul femminismo.
Queste due discipline, se così si possono definire, sembrano essere state divise a forza, quasi come una figlia dalla propria madre, chi sia poi la figlia e la madre è ancora tutto da vedere, sta di fatto che a questa separazione forzata non è conseguita una divaricazione totale dei due saperi, bensì una costante commistione a forza taciuta, mai discussa e elaborata, che ha portato, secondo Paola, proprio alla situazione in cui il femminismo italiano verte oggi, ovvero, una paralisi totale.

Questo libro riporta alla luce una ‘verità di fatto’ mai elaborata da cui non si può prescindere se l’intento è quello di restituire al femminismo italiano la sua componente ‘originaria’ e ‘radicale’.
Sono costretta a dichiarare la difficoltà di realizzare un riassunto del libro perché la sua strutturazione interna non é conforme alla modalità di pensiero comunemente applicata, e che si può definire impianto deterministico dove causa e effetto sono i perni su cui il pensiero si struttura.

Il lavoro si basa su delle intuizioni che tutto il materiale (vastissimo) che Paola ha preso in esame ha provato essere essenziali per capire il processo che dall’autocoscienza ha portato ai gruppi analisi e alla pratica del fare. Ne consegue che i dettagli, proprio i dettagli (o Freud forse li chiamerebbe indizi), risultano essere fondamentali per cogliere il senso di questo processo.

Si tratta dell’analisi di un processo sociale sulla falsariga di uno individuale che parte dalla consapevolezza che l’operazione che è stata compiuta dal femminismo italiano, ovvero la teorizzazione di un Ordine simbolico della Madre si tratta di, niente popò di meno, che la teorizzazione di un sistema a partire da un sintomo, quello dell’isterica!

Paola Zaretti non è la prima a sostenere questa posizione, a lei si affiancano infatti gli scritti, di qualche decennio antecedenti, di Angela Putino, Carla Lonzi e, più recentemente, di Daniela Pellegrini, figure di donne estromesse se non proprio ‘fatte fuori’ dal femminismo italiano. Questo libro contiene quindi anche l’invito a recuperare questi testi e attraverso di essi queste donne importanti per ridare loro finalmente ‘ciò che loro spetta’.

Il libro si articola in un confronto tra i testi di queste donne (Angela, Daniela e Carla) e quelli su cui si fonda la teoria della {Madre simbolica}, principalmente scritti da Luisa Muraro. Grazie alla messa a fuoco di elementi che prima apparivano solo frammentati, si intuiscono le motivazioni inconsce che hanno portato allo sviluppo-abbandono della pratica dell’autocoscienza a favore della formazione dei “gruppi analisi” e della”pratica del fare”

Questo libro è una presenza parlante, parla a voce alta, di quell’altezza necessaria a portare luce nella fitta nebbia in cui è incappato il femminismo italiano, una luce che vuole aprire degli squarci vitali. Come fare quindi a riassumere un lavoro che non si basa essenzialmente sulla disposizione lineare di elementi, ma che invece costruisce a partire da questi elementi una panoramica in cui tutti trovano il loro collocamento?

La soluzione sta forse proprio nel non riassumerlo ma nel consigliarne una lettura attenta e pronta all’occasione anche a ritornare su se stessa. Si tratta infatti di un libro ma, soprattutto, vista anche la confessione dell’autrice del suo essere restia alla scrittura di un ‘libro’ (che appare a lei quasi come un corpo feticcio), di una proposta di lavoro a tutte coloro che vorranno addentrarsi nell’analisi della storia dei femminismi italiani non per pura curiosità, come ci ricorda Paola tramite un ritornello che intercala i temi da lei trattati – {Guardarsi indietro, dicono, per curiosità.
Ma potevo avere, curiosità a parte, altri motivi} – , ma per ridare al femminismo quella componente radicale senza la quale il femminismo non può dichiararsi tale.