E’ troppo voler bene ad Ozpetek? Direi invece che è proprio per l’affetto che circola nei suoi film, per l’empatia nei confronti di certi personaggi e per la memoria condivisae partecipe delle nostre vicende storiche che si corre a vedere l’ultima sua creatura.In “Magnifica presenza”, girato prevalentemente a Monteverde Vecchio, quartiere di Roma, la cifra più cospicua sembra il {“divertissement”} piuttosto che il{ pathos} delle altre pellicole: i fantasmi di una compagnia teatrale anni ’40, sparita forse in seguito al tradimento di uno dei componenti, si materializzano nella vita di pietro, giovane aspirante attore giunto a Roma dalla Sicilia, che ha trovato in un vecchio villino cadente la sua abitazione.

Lo spavento iniziale è forte ma presto l’adattamento del protagonista a quelle presenze si configura come modalità esistenziale reciprocamente vantaggiosa: compresenza = lezioni di recitazione.

malgrado però l’espediente del ruolo “magistrale” che la vecchia compagnia teatrale svolge a vantaggio del giovane, a compensarlo della loro ingombrante partecipazione quotidiana, le loro vite scorrono parallele ma non convergono: in scena c’è uno spazio invisibile ma concreto che separa l’agire dell’uno e degli altri che si chiama {{“tempo”}} cosicché – di necessità – i percorsi esistenziali – come pure i livelli narrativi – procedono incoerenti.

L’incontro che permette di {{sospendere la barriera temporale}}, attraverso una trovata narrativa efficace, si realizza quando si palesa la figura della {{prima attrice della vecchia compagnia}} qui impersonata da {{Anna Proclemer}}, viva e vera, unica sopravvissuta alla sparizione della vecchia compagnia teatrale, {{bellissima nella sua vecchiaia }} e bravissima nel suo ruolo di consumata attrice: diffidente del presente e rancorosa, fragile per età ma imperiosa nella caparbia rivendicazione dell’essere prima donna sempre, foss’anche come presunta artefice della soffiata che portò all’attentatoe ancora determinata nell’eliminare intralci di qualsiasi genere, sia pure un insetto, senza remore.

Questo personaggio entra in gioco anche per confermare {{la tenerezza o addirittura l’anore di Ozpetek per la vecchiaia,}} età indefinibile in realtà (ricordate Massimo Girotti ne “La finestra di fronte”?) qui vissuta dalla Proclemer come intessuta di acciacchi e mancamenti, lì da obbli e smarrimenti sopravvivendo però nei due vitalitàaffettive ed esperienze professionali. Forse è un messaggio incoraggiante a non desistere comunque.

Le altre figure femminili – a voler escludere le componenti della copagnia teatrale – appaiono {{di contorno al protagonista}} Elio Germano (un po’ sbiadito rispetto ad altre sue convincenti interpretazioni) e non sfuggono a certi ritratti di maniera: un po’ ammiccanti, un po’ pettegole, professionali sì per necessità di mestiere ma ambiziose di altro: quello di donna sposata essendo quello della donna in carriera un ripiego.

Restano tuttavia assai godibili e suggestive tutte le fascinazioni dei film del nostro: certe tavole imbandite di succulente pietanze, certi scorci di Roma ma soprattutto l{{o scorrere fantasmagorico del tram n. 8,}} divenuto in virtù di una magia il tram dei desideri finalmente appagati da dove gli attori vedono scorrere tra le due sponde del Tevere il volto ormai cambiato della loro città recuperando così il tempo che non hanno vissuto. Magnifica presenza!