Si legge come un racconto questo libro di Francesca Panini, giovane ricercatrice nell’ambito dell’antropologia, che ha voluto dedicare all’abito delle Clarisse tempo e spazio di riflessione.Con il passo leggero della narrazione apre la porta di un mondo in ombra, sempre meno visibile con il passare degli anni perché poche sono le monache e ancora meno le monache di clausura.
Tre monasteri si dispongono, in silenzio, non senza cautele, all’incontro con lei e, in differita, con noi.

Il tema è quello dell’abito, la veste che segnala l’appartenenza ad un Ordine, il rispetto di una Regola e il rimando ad una figura di Fondatrice, santa Chiara, così speciale nella storia della chiesa, degli ordini monastici e… delle donne.
Affiora subito l’idea di habitus a cui Pierre Bourdieu ci ha “abituati” a partire dagli anni Ottanta: una categoria in cui entrano tutti gli elementi condivisi da una porzione di società, sia che si tratti di una classe sociale, sia che si tratti di genere, cultura, famiglia, religione, statuto giuridico, fino al gruppo di suore che abita un monastero e condivide la scelta di un indirizzo di pratica religiosa.

Diventa un comune modo di pensare, una disposizione ad agire e sentire condivisa, una sorta di memoria inconscia che, nel caso delle suore, viene acquisita nel momento in cui ciascuna sceglie di entrare in un monastero. Questa disposizione è fortemente presente nei dialoghi che Francesca Panini intrattiene con diverse di esse e stabilisce una potenzialità che guida le scelte a partire dalla vocazione originaria. “Ti senti contenta di avere questo segno esterno perché senti che questo valore esterno esprime quei valori che hai dentro, in cui tu credi veramente”, dice suor Antonia.

Le intervistate dei tre monasteri non trascurano di declinare al femminile emozioni e piaceri di quel rito che ha segnato il loro ingresso in una vita apparentemente fuori dal tempo e dal mondo, il loro cambiamento di vita. La “vestizione”, lo spogliarsi del vestito normale, comune, per assumerne uno diverso, ben visibile nella “diversità”, è segno della volontà di trasformare le consuetudini e di intraprendere un cammino di adesione totale ad un modello prescelto.

Chiara è richiamata di continuo come modello, come ispiratrice della clausura: l’abito voluto da Chiara a san Damiano, per sé e per le sorelle, era il più povero possibile, l’abito dei poveri, senza cura della forma e della qualità. E’ noto che nella scelta di Chiara, di nobile lignaggio ed abituata ad osservare una cura dell’abbigliamento e dell’eleganza femminile proprie del suo rango, con le preziose stoffe tessute nel Levante e i ricchi ornamenti che costituivano il segno di una classe sociale superiore, si opera un rovesciamento radicale.
Non è un caso che la sua definitiva uscita dalla casa paterna sia dalla porta secondaria, la “porta dei morti”, dalla quale non si rientra. Non si tratta soltanto della scelta di povertà “vivendo in obbedienza e senza nulla di proprio”, come dice nella Regola, ma anche di un preciso orientamento nella scrittura della Regola stessa che, anziché essere, come sarebbe stato facile, un adattamento di Regole maschili, è invece frutto di una libertà mentale che sostituisce la consolazione alla prescrizione.

L’abito d’origine, il più povero pensabile appunto, si trasforma nel tempo, come il libro racconta e, nei secoli, passa dalla severità dell’epoca della Controriforma tridentina allo sfarzo del periodo barocco, fino alla trasformazione del Concilio Vaticano II che, rimarcando l’importanza dell’abito, elabora tuttavia dettagli che lo rendono più confortevole, lo allontanano dall’essere strumento di penitenza per farne invece un segno dello stare nel mondo più aperto e complesso.

E’ in questa luce che si leggono i pareri delle monache su abito e corpo, corpo femminile ovviamente. Suor Irene, racconta Francesca Panini, non ha idee negative sul corpo e giudica l’intenzione originaria, di contenerlo o negarlo, superata oggi a favore di una scelta che va oltre l’esteriorità e che rivaluta piuttosto la testimonianza dell’attenzione alla trascendenza.
C’è materia con cui confrontarsi in questo libro: la presenza di donne che, chiuse nel loro monastero, votate alla clausura, mostrano una competenza del mondo sottile e partecipata; la vicinanza, nel pensiero e persino nelle pratiche di osservazione e di ascolto, alla realtà vissuta da tutte le donne, alla loro consapevolezza di una differenza che qualifica i gesti e gli incontri; la riflessione su una diversità avvertita attraverso l’abito monastico e trasformata in un tramite di comunicazione.

C’è infine l’idea che a consolidare le scelte serva il conforto di chi ci ha preceduto, come dice suor Irene, “sorelle che prima hanno fatto questo tipo di scelta” che aiutano a motivare e a rendere più interessante e problematica “tutta una storia che si è creata fino ad adesso”.

{ {{Nei panni di una monaca. Abito narrato e valori intessuti}} }
di Francesca Panini
EncycloMedia publishers 2012
Euro 12