La comunicazione scritta, la pubblicità distribuita, le reti giornalistiche, i social media e il web giornalistico raggiungono un numero di utenti crescente in tutte le fasce orarie. Conformano il/la cittadin*, ne influenzano il giudizio e lo stile di vita: quanto più ricevuti inconsapevolmente e in numero indefinito raggiungono lo scopo e a causa dell’esiguità del tempo in cui vengono ricevuti escludono automaticamente la possibilità di essere vagliati e sottoposti a critica. I protocolli internazionali già dagli anni novanta prevedono forme di controllo della legalità dei messaggi e della lesività di genere.

È un vero e proprio condizionamento di massa, voluto dalla politica e favorito da media che nel loro complesso non rispondono alla richiesta di cambiamento culturale che in modo falso, anche per loro voce, viene invocata per superare l’oppressione femminile. Non possiamo affidarci agli appelli perché nella sostanza, però, quale potrebbe essere il cambiamento culturale affidato al giudizio e alla discrezione dei singoli? In Italia questo terreno è dominato da un dibattito pubblico che vede alternativamente contrapposte posizioni. Da una parte quelli che dicono che se non cambia la cultura è inutile cambiare le regole, e dall’altra quelli che affidano il cambiamento ad una sterminata produzione di leggi e leggine.

Le enormi rigidità culturali del paese finiscono per essere favorite da entrambe le posizioni, che in sostanza sono portatrici di una visione parziale dei problemi rappresentati dalle donne.

La politica e il linguaggio diffuso dai media

La Convenzione di Istanbul fornisce una visione chiara ed inequivocabile del ruolo della comunicazione in tutte le sue forme (capo III art. 17): indica cioè le regole e il supporto culturale. Già le risoluzioni del luglio 1997, 1557 del 2007, il patto di parità del 2006 anticipavano la risoluzione del 2008 n. 2038 sul marketing e la pubblicità, muovendo dall’impatto delle immagini violente sui comportamenti violenti e discriminatori. Per la gran parte poco osservate, ancora non hanno prodotto leggi applicative in Italia. Nel resto dei media lo stato dell’arte, nonostante la Convenzione sia stata ratificata dal Parlamento, non è migliore tanto che redazioni e centrali dell’informazione ritengono legittimo un adeguamento parziale, e formale, unicamente in prossimità della ricorrenza del 25 Novembre.

Sono gli stessi uomini al potere a trasgredire anche norme già approvate, col linguaggio e con i media a loro disposizione, il che ha un effetto immediato di emulazione. Laddove fossero materialmente perseguibili tali comportamenti, per i membri del governo va prevista la decadenza dalla carica in attesa dell’accertamento delle responsabilità dirette. L’abitudine ad usare liberamente gli stereotipi sessisti, si nota, si è diffusa in modo esponenziale in corrispondenza delle lotte sempre più pressanti contro la violenza di genere.

È stata più volte additata la diffusione di messaggi violenti nei social media. Con una trattativa si è ottenuto una sorta di codice di autodisciplina, evidentemente inefficace, perché la sua applicazione è affidata allo stesso amministratore dell’host. Il controllo, su denuncia, di questo tipo di messaggi deve ricadere sotto la responsabilità pubblica, che possa ordinare l’immediata sospensione degli account e interdizione dell’uso da parte dell’utente per almeno due anni. Nel caso dell’apertura di altro account sotto altro nickname deve essere prevista una sanzione per truffa.

La prostituzione, la politica e i media

I messaggi mediatici che incitano allo stupro e alle violenze degli uomini sulle donne in generale, fanno riferimento alla presunta naturalità di quote di violenza nelle relazioni uomo donna. Tra queste violenze la prostituzione viene indicata come aspetto atavico ed inestirpabile, connaturato alla natura del desiderio maschile e alla convenienza femminile di compiacerlo. Questa rappresentazione è costantemente associata all’apologia dei diversi reati corrispondenti. Oltre ai meccanismi di ordinaria perseguibilità dei reati violenti, non è prevista alcuna sanzione per coloro che attraverso i media “anticipano” le attenuanti per i reati di femminicidio e stupro e che suggeriscono che le posizioni di potere degli uomini rendano prevedibili e lecite le richieste di prestazioni sessuali in cambio di lavoro e del mantenimento coniugale.

Nel caso della prostituzione si suggerisce lo sfruttamento organizzato delle prestazioni sessuali, vietato dalla legge Merlin, e sistematicamente vengono pubblicizzati bordelli e agenzie di escort “al confine Italiano”.

L’allentamento del codice etico dei giornalisti e degli addetti all’organizzazione e diffusione dell’informazione e della cultura, coincide con il nuovo corso “della liberazione del linguaggio politico”, ed invoca regole più stringenti, non più affidate agli ordini professionali, ma ad un’Autority per l’applicazione della Convenzione di Istanbul, in materia di prevenzione culturale, e delle risoluzioni Europee sulla comunicazione lesiva e violenta.

L’Autority deve essere formata da una rappresentanza delle maggiori associazioni femministe Italiane.

Esistono precedenti: lo IAP, nel settore pubblicitario, è un organismo autonominato di settore, le cui deliberazioni sono riconosciute dallo Stato. Il modello può essere usato sul complesso della comunicazione pubblica, sulla base delle segnalazioni delle cittadine.

Mentre ci impegniamo nelle dovute sedi della politica delle donne a studiare e sviluppare una normativa ad hoc, che parta dall’esistente e che raggiunga l’obiettivo di una comunicazione consona al contrasto di ogni violenza sulle donne, da subito denunciamo l’incitamento alla violenza e allo sfruttamento della prostituzione nelle sedi proprie con esposti alle autorità preposte.

UDI di Napoli (Stefania Cantatore e Maria Luisa Nolli), Associazione Salute Donna (Elvira Reale e Annamaria Raimondi), Resistenza Femminista (Ilaria Baldini), Iroko (Esohe Agathise), Terra di lei (Rossana Ciambelli), Arcidonna (Rosa di Matteo e Clara Pappalardo)

Speriamo che  questo appello venga condiviso e sottoscritto

Napoli 18/12/18