“Poter andare dove si vuole è il gesto originario dell’essere liberi, mentre la limitazione di tale libertà è stata da tempi immemorabili il preludio della schiavitù”.
“Non possiamo scegliere con chi coabitare il mondo”.

(Hannah Arendt)

Insieme a molte altre realtà e reti di donne, pensiamo necessario mettere in campo un altro genere di politica sull’immigrazione, un altro genere di accoglienza.

Queste sono le nostre proposte

  1. La comunità internazionale ha il dovere di garantire corridoi umanitari e percorsi di viaggio sicuri per tutti i richiedenti asilo. In particolare, con il monitoraggio di associazioni umanitarie occorre fare luce sulla situazione delle donne nei campi in Libia e altrove, dove subiscono violenza.
  1. L’accoglienza è dovuta a tutti i migranti, anche a quelli cosiddetti “economici” che rischiano la vita fuggendo da condizioni rese insostenibili dai cambiamenti climatici e da responsabilità delle potenze occidentali e neocoloniali (desertificazione, siccità, landgrabbing, accaparramento delle risorse, aumento incontrollato dei prezzi delle materie prime…).
  1. Non esistono “clandestini” ma solo persone che fuggono dalla fame e dalle guerre senza nessuna intenzione di nascondersi. Questa mistificazione lessicale è inaccettabile.
  1. Prendendo esempio dall’iniziativa delle “Città-rifugio” promossa in Catalogna da Ada Colau, alle persone rifugiate occorre assicurare un’accoglienza degna, inserendole a pieno titolo nelle nostre comunità senza relegarle in campi separati dove rimarrebbero per sempre “stranieri”.

In Europa si stanno moltiplicando i fili spinati, i muri, le recinzioni. L’esodo dei migranti si trasforma in un vero e proprio percorso di guerra, disseminato di mine non più solo metaforiche ma concrete e reali ed anche di particolari simbolici che danno i brividi, come i numeri disegnati sulle braccia, o l’accoglienza in campi nei pressi di Buchenwald.

Le rotte della fuga stanno cambiando, ora sotto i riflettori ci sono quelle balcaniche, via terra, ma i viaggi e le stragi via mare continuano a verificarsi. E ci sono profughi che muoiono fulminati a Calais cercando di scavalcare la rete che impedisce l’accesso al Regno Unito. Quelle donne e quegli uomini in fuga entrano nella realtà del nostro stare al mondo, i loro corpi potrebbero essere i nostri, i loro figli potrebbero essere i nostri figli, potremmo sentire lo stesso freddo, la stessa paura, la stessa fame.

Che cosa significa allora per noi essere cittadine europee? Che cosa rappresentano, per noi, confini e frontiere rispetto al diritto alla vita? “Primum vivere”, è la sfida lanciata da moltissime donne dei movimenti fin dall’incontro di Paestum. Un’Europa percorsa da logiche carcerarie e di confinamento non è un luogo in cui possiamo accettare di vivere.

Sappiamo bene che dietro il rifiuto dei migranti sta l’eterno rifiuto del diverso, base dell’ideologia patriarcale che ha creato gerarchie fra gli esseri umani, decretando la superiorità dell’uno sull’altro: bianco-nero, nord-sud, e prima di tutto maschile-femminile… Nel mondo politico neutro pochi sembrano comprendere che cosa sia davvero in gioco, la metamorfosi profonda e inarrestabile che le popolazioni migranti stanno producendo, un cambio epocale che muterà tutti i nostri modi di pensare, le nostre pratiche e le nostre regole di convivenza. Si tratta di andare finalmente oltre la paura e il rifiuto del diverso. Le donne ne sanno qualcosa. Per noi è impossibile, oltre che inaccettabile, mantenere barriere e confini che di fatto dividono l’umanità tra chi ha il diritto di vivere e chi no.

Vecchi e nuovi poteri cercano di tenere in vita questo sistema di dominio rafforzando gli strumenti del patriarcato – armi, guerre, frontiere – contro l’avanzare di un “continente” in fuga (quasi 60 milioni di persone nel mondo), mentre al contrario si fa sempre più chiara la necessità di costruire un concetto di cittadinanza inclusiva, a partire dalle concrete e materiali condizioni di vita che accomunano le persone su questo pianeta, e dal riconoscimento delle differenze individuali e collettive come ricchezza e relazione. Non è un cammino facile, si tratta di un grande lavoro, ma occorre iniziare. Il pensiero e le pratiche delle donne potrebbero contribuirvi efficacemente grazie a una storia che ha visto il nostro genere confrontarsi per millenni con l’esclusione e il non-riconoscimento.

Pensiamo necessario sviluppare una profonda riflessione per oltrepassare i confini delle regole prodotte dal sistema patriarcale che ancor oggi stanno alla base di un concetto di cittadinanza “escludente” legata ad appartenenze identitarie e nazionalistiche, i cui disastrosi effetti stiamo vedendo all’opera tutti i giorni nello sgretolarsi dell’idea stessa di Europa.

Incontro

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