“Mostri di bellezza e corpi fuori mercato. Estetica femminile e corpo lesbico nell’Italia berlusconiana”, il titolo dell’appuntamento di ieri proposto da Arcilesbica presso il Caffè Letterario di via Ostiense. Un incontro organizzato, insieme a molti altri eventi in occasione dell’Europride che Roma ospita dal 1 al 12 giugnoIl convegno voleva tematizzare la percezione del corpo erotico della donna nell’era del berlusconismo con uno sguardo particolare sulla ricaduta che la proposizione continua e costante di una determinata estetica femminile ha avuto sulla comunità lesbica.

Ad aprire l’incontro la proiezione del documentario “Diversamente etero” in prima visione a Roma: un bellissimo lavoro basato sulla storia di Sarah Nile e Veronica Ciardi, protagoniste nel programma televisivo Grande Fratello nel 2010 di un bacio in diretta tv e di una storia che, data l’assenza totale di lesbiche nella cultura popolare italiana, le ha rese icone dell’amore tra donne.
_ Seguitissime da fans provenienti da tutto il mondo, non solo appartenenti alla realtà lesbica, che hanno, attraverso la loro storia, intrecciato amicizie, relazioni, cambiato in qualche modo, chi più chi meno, la propria vita, Sarah e Veronica hanno rotto lo schema conosciuto per cui il lesbismo nella televisione e nel cinema italiano è rappresentato molto di rado e secondo due stereotipi definiti: la donna promiscua che fa sesso con un’altra donna per stuzzicare la fantasia sessuale dell’uomo o la camionista psicopatica.

Il problema della rappresentazione mediatica coinvolge le donne tutte in Italia e non solo, se ne è tanto parlato negli ultimi mesi, ma nel caso delle lesbiche si fa più complesso, sino a giungere ad un vuoto rappresentativo tale da generare fenomeni di fanatismo e ossessione come quello presentato nel documentario.

“Per le lesbiche nella televisione commerciale, luogo emblema della rappresentazione dell’estetica berlusconiana, non c’è posto, se non con limiti ben definiti”, ha spiegato al termine della proiezione Elena Tebano, giornalista che ne è coautrice. “Sarah e Veronica sono state un caso particolare, che per questo ci è sembrato interessante raccontare, per varie ragioni: esteticamente rappresentano corpi esposti al desiderio maschile, affini alla femminilità codificata dall’odierno mercato dei corpi, lontane quindi dal binomio identità lesbica e estetica maschile, e, forse soprattutto, hanno trasmesso a livello mediatico una dimensione di serenità, gioco, spensieratezza lontanissima dalla sofferenza con cui è solitamente descritto il desiderio per un’altra donna. ”

Secondo Michela Marzano, filosofa e docente presso l’Università di Parigi, a emergere dal documentario, ricchissimo di interviste sul tema a fans e persone incontrate per strada, sono tre espressioni chiave: “l’amore non ha sesso”, “il sogno” e “dentro/fuori dal mercato del desiderio”.
_ “Forse l’origine di tanti equivoci è proprio il fatto che l’amore ha sesso in realtà”, ha sostenuto la filosofa, “e soprattutto è sempre imperfetto.
_ La nostra società è bloccata dalla ricerca della perfezione: è diversità che dovrebbe diventare la parola chiave.” Rispetto poi al “sogno” bisogna stare in guardia dal rischio che la realtà, cosa da esso ben diversa, non ne importi l’aspetto totalitario, così come bisognerebbe tornare a distinguere tra desiderio e pulsione/bisogno: è dei bisogno che si fa mercato, non dei desideri.

Cristina Gramolini, vicepresidente Arcilesbica e moderatrice della discussione, è invece rimasta colpita dalla potenzialità, che emerge dal documentario, enorme e imprevista che può scatenare l’amore tra donne. “E’ chiaro che vive nella società italiana un desiderio di relazioni tra donne molto più profonde di quelle cui ci si è adagiate, tale da attaccarsi morbosamente anche ad una storia improbabile e confezionata come quella del Grande Fratello”.

Di diverso, seppur affine, argomento l’intervento della studiosa Elisa Manici, che si è incentrato sul Fat Queer Activism, un’attivismo che non fa un’apologia dell’obesità o del disfacimento fisico, ma pone l’attenzione su idee che mettano in discussione i diktat sul corpo a cui la nostra società si è adattata e che impongono modelli di magrezza e bellezza tali da ridurre spesso le donne a veri e propri “mostri di bellezza”.

Bellezza e grassezza sono concetti relativi, costrutti sociali su cui non si riflette mai abbastanza. “Grasso nella nostra società non è solo un aggettivo, ma un epiteto profondamente stigmatizzante”.
_ Il parallelismo tra la condizione di grassezza e la condizione di queerness è subito chiaro, innescando simili meccanismi di discriminazione: è problematico pronunciare la parola lesbica, così come grassa, identità difficili da abitare e quasi mai parole di orgoglio, così come simile è l’effetto dirompentemente positivo del coming out, sia per l’una che per l’altra condizione.

Artiste e scrittrici come Charlotte Cooper, Allyson Mitchell e Beth Ditto hanno fatto della loro arte una forma di rivendicazione di orgoglio identitario fat e queer, che mina il mercato capitalistico che ha creato sulla base di modelli corporei precostruiti la macchina della diet industry, che vive di centri estetici, pillole, trattamenti etc…

L’Italia non vive certamente un momento felice rispetto al tema della rappresentazione femminile. Non solo i corpi si oggettivizzano, ma li si rende contenitori vuoti.
_ Riflettere, problematizzare, creare coscienze critiche rispetto a quanto il mercato propone è fondamentale se si pensa alle conseguenze che il fenomeno può avere sulla costruzione identitaria di ciascuna, ancor più se lesbica e grassa, creando il mancato riconoscimento nella cultura popolare cui si appartiene insicurezza, senso di estraneità, sofferenza e di qui infinite altre problematiche.
_ L’Italia ha molto da imparare, già semplicemente guardando agli altri paesi europei.