Il riferimento più recente è quello all’enorme scalpore (e successo) che hanno avuto le dichiarazioni della giovane attrice americana Zedaya, una stella della Disney, premiata al concorso di bellezza Beauty.Con a New York: “sono una versione accettabile di ragazza nera per Hollywood”, riferendosi alle origini africane ed europee della sua famiglia di provenienza.

Nel mondo della moda e del politicamente corretto le donne meticce con la pelle chiara hanno certamente più opportunità di altre. E’ il fenomeno del “colorismo”: migliaia di donne (e di uomini) in Europa, Asia e USA sono toccati da quello che possiamo definire come una specie di classificazione/discriminazione relativa alle carnagioni di colore, che favorisce la epidermidi più chiare. Si tratta, all’origine, di una svalorizzazione delle pelli scure legata alla colonizzazione, prende piede infatti nella Francia coloniale, negli anni venti del Novecento: come sappiamo l’imposizione della lingua, delle abitudini e di tradizioni francesi ha influenzato e modificato profondamente culture, modelli economici e comportamenti sociali, ma ha avuto anche un impatto sul modo di ‘sentirsi’ e ‘vedersi’delle popolazioni. Spesso i ‘colonizzati’ hanno cercato di imitare il colore della pelle e le caratteristiche fisiche dei colonizzatori.

Questa idea del colorismo è incentivata oggi da un fiorente mercato mondiale dei prodotti “schiarenti” per la cura della pelle e dei capelli. La pelle nera concentra una grande quantità di melanina che interviene colora pelle, occhi e capelli. Negli anni delle colonizzazioni, con l’ideologia razzista veicolata all’epoca, il colore scuro è diventato un indicatore identitario negativo, peggiorativo, assegnato alle classi sfavorite sul piano economico e questo stereotipo è stato interiorizzato da varie popolazioni africane, per secoli, un vero e proprio processo di alienazione che si può esprimere anche nel contrasto con gli altri Neri, che fa sognare l’assimilazione colorata coi Bianchi: Franz Fanon ha descritto compiutamente il fenomeno nel 1952 nel saggio “Pelli nere, maschere bianche”.

Il colorismo è oggi una realtà soprattutto in USA e riguarda tutta la popolazione, con riferimento all’immagine e alla considerazione di sé. I Bianchi hanno fatto emergere come predominante l’immagine archetipo della donna americana; capelli chiari e lunghi, occhi chiari, pelle d’alabastro – il modello si è imposto per decenni. Intorno a questo ‘ideale’ da perseguire ha proliferato una fiorente industria dei cosmetici e prodotti per la cura del corpo, alimentata da donne e uomini che vogliono schiarire la pelle, lisciare i capelli, sfoltire le ciglia, depilarsi. Si calcola che al 2024 i profitti di questo settore arriveranno a 25 miliardi di euro nel mondo, il solo mercato asiatico arriverà a 5 miliardi di euro nei prossimi quattro anni. In Francia i francesi di discendenza africana sono tra i due e i cinque milioni, oltre alla presenza della consistente diaspora africana più recente: moltissimi i negozi che offrono servizi dedicati (parrucchieri, estetisti ecc.) e vendono cosmetici “africani”, soprattutto schiarenti.

Proprio la Francia occupa il primo posto per numero di produttori e distributori di questa gamma di prodotti, con marchi prestigiosi come Clarins (linea White Plus), Shiseido oltre all’americana Procter Gamble. Interessante notare che per evitare contestazioni contro marchi individuabili come ‘razzisti’, Clarins promuove i suoi prodotti come creme da notte e prodotti coloranti, non esplicitamente schiarenti. Recentemente Clarins ha registrato un nuovo boom di vendite in Africa a seguito della campagna pubblicitaria affidata ad una famosa cantante camerunense che mostrava le sue foto prima (scura) e dopo (più chiara) l’uso della crema White Nicious. Sempre più numerose le voci che denunciano la pericolosità di questi prodotti, il cui uso è ancorato a condizionamenti psicologici che hanno le radici nella storia coloniale. E’ ormai noto che le creme e le lozioni di “de-pigmentazione” contengono mercurio e suoi derivati, cortisonici, vitamina A, reagenti pericolosi per l’integrità della pelle.

Pensiamo anche che a fianco dei grandi produttori migliaia di pericolosissimi ‘imitatori’ smerciano senza controllo prodotti altamente tossici nei mercati di ogni dimensione nelle concentrazioni urbane fino nei villaggi in Africa e in Asia. Si tratta di contrastare una potentissima lobby di produttori a livello internazionale, detentori di grandi risorse e capacità mediatiche per vendite a tappeto, soprattutto in Africa. Alcuni paesi hanno imposto qualche prima restrizione (Ghana e India) e in Francia il movimento NAPPY (Natural and Happy) ha avviato campagne contro l’uso di questi prodotti.

L’avvio di campagne di informazione per iniziativa di associazioni di donne (in vari Paesi africani, in India e in Pakistan) è un segnale di speranza. Certo non sarà semplice contrastare, in nome della protezione della salute, la potenza del business e il peso ingombrante di retaggi coloniali nei comportamenti di milioni di donne e uomini.

(Lo spunto per questa nota viene dagli studi del prof.Roland Hall, docente di Sociologia dell’Università del Michigan). MEDITERRANEA a cura carlapecis@tiscali.it