recensione-minniti-cavaliereNapoli. Giovanna Borrello, nella sede della sua Metis, scuola di counseling filosofico, ha presentato lo scorso 16 dicembre due libri di due donne, entrambi pubblicati nel 2016, dedicati a due donne: l’una è Barbara Minniti, giornalista ed ora scrittrice, che ha raccontato la vita di Eleonor Marx detta Tussy, l’ultima figlia di Karl Marx, il suo impegno politico, sindacale e culturale nell’Inghilterra vittoriana, e la sua sconfitta finale, un suicidio per problemi personali, si direbbe oggi; l’altra è Luisa Cavaliere, oggi animatrice culturale e turistica cilentana, dopo una vita di impegno sociale e politico, e nel femminismo, che parla del proprio rapporto con un’icona del comunismo italiano, e cioè Nilde Iotti.

Giovanna Borrello ha intuito che, pur nella diversità di metodo, stile e tono, entrambe le autrici fanno qualcosa che alle donne riesce tutto sommato facile, non così agli uomini: partono dal vissuto per parlare di storia, e parlano di storia parlando di se stesse. La storia in questione è quella del comunismo. E su questo si è snodata la discussione nel corso della presentazione alla quale Giovanna Borrello ha invitato due uomini, un giornalista, Ottavio Ragone, capo della redazione napoletana di Repubblica, e Berardo Impegno, filosofo e, soprattutto, politico della sinistra. Il conflitto tra la morale dell’epoca vittoriana e un modo di vivere improntato all’ateismo e alla libertà dei costumi, nel caso di Tussy, che non era sposata con il suo compagno; il conflitto tra vita e forma, dove la forma irrigidisce la vita, così come la pettinatura e l’aspetto della presidente comunista della Camera, sempre inappuntabile; l’ipocrisia dell’establishment comunista, che attrezzava l’attico della sede comunista per il segretario, sposato, e la sua compagna, pur di non mettere in discussione la morale e le forme – ma, poi, quale morale? quella comunista che non vuole, per scopi politici, rompere con i cattolici in un Paese cattolico, o quella cattolica, propria di Nilde, che tuttavia non le impedisce per amore di vivere fuori legge con un uomo più grande di quasi trent’anni? E poi lo schermo di silenzio che circondava e proteggeva i conflitti, che pure c’erano, nella dirigenza del partito a beneficio della base, alla quale necessitava una guida solida e compatta; gli interrogativi morali – non era giusto quel mondo che aspirava alla giustizia sociale! ha esclamato a un certo punto Ragone – che suscitano certi racconti, come quello del sospiro di sollievo che all’unisono fanno, al ritorno in Occidente, Togliatti e Nilde Iotti dopo la visita a Stalin, comunque indicato, per lungo tempo ancora, come un faro alle masse comuniste dell’Occidente; il liberalismo, non disgiungibile, come sistema filosofico politico, dall’aria di libertà che una ragazza ventenne e comunista, Minniti stessa, percepisce sbarcando a Londra nel suo primo viaggio; o la nostalgia, quella sensazione che un mondo sia perduto per sempre, che prende Luisa Cavaliere quando parla dei comunisti e delle comuniste, nonostante lei rifiuti il termine nostalgia, senza però proporre un diverso termine per quella sensazione che tutto, dopo il 1989, sia andato perduto; il nietzschiano “danno” che la storia può fare alla vita degli uomini, evocato da Impegno, il danno di impedire alla vita di andare oltre, di costruire il futuro, tirandola sempre giù nel gorgo del passato che, poi, è sempre storicamente ricostruito; lo spiazzamento che ancora oggi in noi può provocare la storia di una donna, una giovane, colta e impegnata donna di 43 anni, naturale erede del comunismo trasmessole dal padre Karl e dallo “zio” Engels, che si uccide per essere stata tradita dal compagno due anni prima che l’Ottocento finisca; o, infine, l’oscillazione tra il termine “madre” e il termine “amica” che Luisa riserva alla dirigente comunista Nilde, pur consapevole, e lo è, che l’uno e l’altro termine, dopo il femminismo e, soprattutto dopo la differenza sessuale, hanno acquisito tutt’altro significato e valenza.

Di tutto questo si è parlato, questi sono i nodi evocati nel corso del pomeriggio dedicato ai libri di Luisa Cavaliere e Barbara Minniti su Nilde Iotti e Miss Eleanor Marx.

Leggendoli, dopo la presentazione, una cosa mi è balzata agli occhi con evidenza, soprattutto leggendo il settimo capitolo del libro di Minniti, intitolato “La figlia del Capitale”che è, anche, il sottotitolo ironico del romanzo su Miss Marx. Si racconta, qui, del senso di sollievo che la moglie e le figlie più grandi di Karl Marx provano quando finalmente il primo libro de Il Capitale viene pubblicato:  si sentivano liberate dalla schiavitù di trascrizioni in bella copia degli illeggibili appunti e dalle ricerche alla biblioteca del British Museum, “nottate insonni al lume di candela”. E l’amico Engels si sentiva orgoglioso che l’elaborazione marxiana avesse superato la prima boa. Eleanor, no: “Per Tussy la cosa non aveva nulla di speciale. Lei con il Capitale c’era nata e cresciuta.”

Mi sono ricordata di una citazione dello storico francese Le Goff, scomparso due anni fa: “Il passato propone ma non dispone. Il presente è determinato tanto dal caso e dal libero arbitrio, quanto dall’eredità del passato.”  E’ la manipolazione a fini di potere della memoria collettiva, anche questa un’espressione di Le Goff, che costruisce apparati dai quali non ci si riesce a liberare se non con difficoltà e tormenti.

I due libri che Giovanna Borrello ha messo insieme sono molto diversi tra di loro, ma hanno una cosa in comune: guardano la storia mentre si fa, e la guardano farsi in una dimensione “privata” o “individuale”, non separata dalla vita quotidiana e dai sentimenti. Se si riuscisse a mantenere questo sguardo, che storicamente alle donne riesce più facile,  avremmo maggiori garanzie di non restare intrappolati in costruzioni ideologiche che, anche se in un senso un po’ più elevato rispetto all’oggi, non sono altro che post verità.

 

Luisa Cavaliere, Nilde Iotti, Maria Pacini Fazzi Editore, 2016

Barbara Minniti, Miss Marx, Oltre Edizioni, 2016