I giudici hanno dichiarato incostituzionale l’articolo della legge sul “Fondo sostegno affitti”, che prevedeva per i e le non comunitar* il requisito della residenza di 10 anni in Italia o di 5 in una stessa regione. È contro il principio di uguaglianza dell’articolo 3 della Costituzione e i requisiti richiesti sono “irragionevoli e arbitrari”

“Prima gli italiani” tanto in voga in questi tempi nei discorsi di politici e cittadini comuni è incostituzionale. Soprattutto quando si tratta di contributi per pagare l’affitto di casa. La Corte Costituzionale ha infatti bocciato l’articolo 11, comma 13, del decreto legge del 2008, in cui era previsto che per accedere al “Fondo sostegno affitti” gli immigrati extracomunitari dovessero essere residenti in Italia da almeno dieci anni o da almeno cinque in una stessa regione. Per i giudici tali requisiti violano l’articolo 3 della Costituzione in cui è sancito che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. In particolare la Corte Costituzionale ritiene che i requisiti della residenza previsti dalla legge del 2008 abbiano “una durata palesemente irragionevole e arbitraria, oltre che non rispettosa dei vincoli europei”. La sentenza della Corte Costituzionale avrà conseguenze non indifferenti, perché gli stranieri che non hanno potuto farne domanda in questi anni ora potranno presentarla e ottenere i contributi arretrati, se ovviamente avevano gli altri requisiti richiesti a tutti: ossia un reddito Isee inferiore a 7mila euro all’anno.

Il caso, che ha dato origine al procedimento di fronte alla Corte Costituzionale, nasce dal ricorso presentato al Tribunale di Milano da V.C.L., donna salvadoregna residente a Milano che si era vista negare il contributo dal Comune. Sostenuta dalle associazioni Asgi e Avvocati per niente, si era vista in primo grado respinto il ricorso, mentre in appello i giudici hanno deciso di sollevare l’eccezione di legittimità costituzionale dell’articolo 11 nel punto in cui prevede appunto i requisiti di residenza. Di fronte alla Corte Costituzionale tale legge è stata difesa sia dall’avvocatura dello Stato che dagli avvocati della Regione Lombardia. Per i giudici costituzionali però il fatto di aggiungere un requisito di questo genere solo per gli immigrati extracomunitari è contrario all’articolo 3 della nostra Carta.
“La sentenza riafferma non solo un principio fondamentale di uguaglianza tra italiani e stranieri -commenta Alberto Guariso, l’avvocato di Asgi che ha curato il ricorso della donna e che è intervenuto anche nell’udienza di fronte alla Corte Costituzionale-, ma mette per l’ennesima volta un freno alle scelte politiche di quanti, in una logica di localismo estremo, finiscono per premiare il ‘bisognoso immobile’ e punire quanti, affrontando sacrifici, si spostano tra una regione e l’altra alla ricerca di condizioni migliori: una scelta che purtroppo molte regioni, prima tra tutte la Lombardia, continua a praticare”.

La Corte Costituzionale nella sentenza evidenza anche l’assurdità di prevedere termini di residenza così lunghi. I dieci anni di presenza in Italia richiesti per avere il contributo per l’affitto sono “irragionevoli e arbitrari” per il semplice motivo che “tale termine coincide con quello necessario e sufficiente a richiedere la cittadinanza italiana”. Dunque è sproporzionato pretendere per un semplice contributo lo stesso requisito previsto per ottenere la ben più importante cittadinanza. E sono irragionevoli anche i cinque anni di residenza in una stessa regione, visto che la legge del 2008 sul fondo sostegno affitti era stata emanata proprio per “favorire la mobilità nel settore della locazione attraverso il reperimento di alloggi da concedere in locazione per periodi determinati”. Dunque una norma che voleva favorire la ricerca della casa, senza legarla a confini regionali. (dp)