Nicoletta Dosio
Nicoletta Dosio

Nel silenzio mediatico sta accadendo qualcosa che è bene sapere.

Nicoletta Dosio, classe 1946 è una delle tante donne No Tav, una delle prime a far vivere il movimento. Quando le si chiede come è cominciata la storia della protesta alla Torino – Lione, lei racconta di una porzione di terreno che un giorno venne recintata e che lei, insieme ad una decina di altre persone decisero di provare a oltrepassare con l’aiuto di un asino. Ebbene sì, proprio un asino, mandato in perlustrazione in quella zona off limits. Da quel giorno ad oggi ci separano circa trent’anni di storia.

Trent’anni di politica cittadina, di nuove amicizie, di relazioni che si intrecciano, di bambini che sono diventati adulti. Trent’anni di comunità vivente e soprattutto resistente.
Nicoletta è stata per tanti anni insegnante al liceo di Bussoleno: era una professoressa e continua ad essere un’indomita intellettuale mangiatrice di libri e narratrice di memorabili storie.
Oggi gestisce un’osteria – La Credenza – nel centro di Bussoleno insieme a suo marito Silvano. Da anni questo luogo è il punto di riferimento per tanti attivisti del movimento No Tav.
Se te lo raccontano non ci credi, ma se invece ci vai di persona ti accorgi che quando ti dicevano che l’aria che si respira tra quelle mura e nei paraggi è un’aria magica. Perché gli sguardi intorno a te, anche se non conosci le persone, sono sguardi complici e di fratellanza. Se arrivi alla Credenza è perché hai qualcosa in comune con chi invece è solito andarci.
Oggi La Credenza è il luogo di transito per Nicoletta, quello che la separa dal carcere.

I FATTI: LE MISURE CAUTELARI

Nicoletta è stata denunciata insieme ad altre ventotto persone per una manifestazione contro l’alta velocità svoltasi il 28 giugno 2015. L’accusano di concorso in violenza privata e a pubblico ufficiale a 70 anni. Incredibile!
Si tratta solo di accuse, visto che nessun processo non solo non è ancora terminato, ma proprio non è mai cominciato. Si chiamano misure cautelari. In buona sostanza quando per lo stato sei socialmente pericoloso, o per dirla in maniera ancora più semplice non sei controllabile o gestibile, ecco che piovono come per magia delle pene restrittive ancor prima che una sentenza ti sia caduta sulla testa.
Per comprendere ancora meglio questo sistema bisogna fare un leggero salto nel passato, quando nel 1930, con la firma di Vittorio Emanuele III, viene promulgato ilCodice Rocco, codice penale che prende il nome dal suo principale estensore: il guardasigilli del Governo Mussolini Alfredo Rocco.
Per carità c’è da dire che tale codice dal 1930 ad oggi ha subìto diverse modifiche, ma di certo nel 2016 il nostro codice penale si basa ancora su un modello dettato da un fascista durante gli anni d’oro del fascismo. Insomma in una Repubblica Democratica come l’Italia, che ha visto dare la vita di migliaia di persone durante la Resistenza per liberarsi dal fascismo, è comunque un’assurda contraddizione.
Ma torniamo alle misure cautelari che un tempo erano gli stati di fermo (ancora oggi esistenti comunque). Nicoletta si è vista recapitare, nel giugno scorso, una notifica che la obbligava ad andare quotidianamente a firmare dai Carabinieri. Questa è stata la prima misura cautelare che Nicoletta disattese.
In nessuna di quelle giornate perse mezzo minuto per recarsi in caserma a firmare; nulla le fece venire in mente di presentarsi davanti agli ufficiali, mostrare il documento di identità, impugnare la penna e scrivere in un corsivo d’altri tempiNicoletta Dosio. E se le chiedi di spiegarti le sue motivazioni ti risponde che si rifiuta di farsi umiliare compiendo quel gesto di redenzione quotidiana. 
Effettivamente recarsi tutti i giorni dai Carabinieri ed essere costretti a sorridere a chi sta ostacolando la tua libertà, ha un non so che di denigrante. Sembra quasi di domandare scusa per quanto uno viene accusato, quasi a dover ammettere che è vero.
Così dopo poco più di un mese le è stata notificata una nuova misura restrittiva. Come a dire che se le firme non andavano bene si poteva solo rincarare la dose. E così arrivò l’obbligo di dimora a Bussoleno con il rientro notturno.
E ancora una volta Nicoletta non si è trovata d’accordo con quest’assurda decisione,disobbedendo nuovamente agli ordini della Procura di Torino. 
Non solo non è mai rincasata a comando, bensì ha deciso che tutti dovevano conoscere quanto le stava accadendo perché – ahimè – ciò che sta avvenendo succede anche a tante altre persone.
Questo fenomeno ha un nome ben preciso: si chiama repressione, ma anche su questo ci torneremo più avanti.
Nicoletta aveva deciso che questo modo di reprime la libertà per reprimere il dissenso da parte dei Pm andava ostacolata e che il modo migliore era quello di costruire solidarietà per poter dire che insieme, oltre a darci sostegno a vicenda, possiamo davvero fare la differenza.
Così è nato il NoTav Tour #Iostoconchiresiste, un giro per l’Italia per raccontare la pesante repressione che ha colpito più di mille persone in Valsusa.

LA NUOVA MISURA: ARRESTI DOMICILIARI

Arriviamo a giovedì 22 settembre, alle 6 di mattina giorno in cui le sono stati notificati gli arresti domiciliari. 
Nicoletta, 70 anni, gli arresti domiciliari non li avrebbe mai fatti. Una donna che ha disatteso l’obbligo di firma, che ha dichiarato che nessuno avrebbe potuto toglierle la libertà di prendere parte a serate politiche o semplicemente di socialità, non avrebbe mai scelto di sottostare alla mancanza di libertà totale facendosi carceriera di se stessa, chiudendosi in casa e smettendo così di avere rapporti sociali con il mondo che la circonda, con la sua bellissima valle che ama e difende da sempre con tutta se stessa. Nicoletta che nel 2005 a Venaus le Forze dell’Ordine le ruppero il naso e nessuno la risarcì mai per quella manganellata infame e piena di crudeltà.
Così in tantissimi hanno cominciato a chiamarla al telefono per portarle solidarietà, chi è andato subito a trovarla a casa, chi ha cominciato a divulgare la notizia con ogni mezzo. La sera stessa tantissime persone si sono ritrovate sotto la sua casa per accompagnarla, rigorosamente in corteo, fino alla sua Credenza. Insieme a lei, perché siamo tutti complici di questa evasione. Perché non riguarda solo la libertà di Nicoletta, ma la necessità collettiva di vivere in un mondo davvero libero. Dove il dissenso non va punito, ma ascoltato e incoraggiato, dove il reato d’opinione non deve esistere.
Da giovedì, giorno e notte, diverse persone vanno a passare il proprio tempo alla Credenza, così da poter sostenere Nicoletta e la lotta che il movimento sta conducendo insieme a lei perché questa è una scelta collettiva. Non si tratta dell’esigenza di un singolo particolarmente protagonista, ma è un diritto che ognuno di noi deve pretendere: il diritto alla libertà. Del resto siamo nati liberi e in quanto tali vogliamo vivere.
Queste persone che arrivano in via Walter Fontan si siedono sotto il gazebo di fronte all’ingresso dell’osteria, prendono da bere e semplicemente stanno lì pronte ad allontanare le indesiderate forze dell’ordine – dovessero mai arrivare. Tant’è che nei giorni scorsi una macchina dei carabinieri, che era diretta proprio alla Credenza, dopo aver visto tutte quelle persone sotto il gazebo in mezzo alla via, ha deciso di fare inversione e tornare da dove era venuta.
Questa è la reazione delle forze dell’ordine.
Dal momento dell’evasione, la polizia ha il potere di andare a prelevare Nicoletta e di portarla dritta al carcere Le Vallette, perché uscendo da casa sua, non solo ha disobbedito agli arresti domiciliari, ma ha commesso anche il reato di evasione.

LA PROSSIMA MOSSA DELLA PROCURA DI TORINO?

Oggi a distanza di cinque giorni nulla è ancora avvenuto. Ci chiediamo: come mai?Com’è possibile che la polizia, i carabinieri, con i loro mezzi non siano ancora andati a prendere la furfante Nicoletta?
Pensiamo che le ragioni possano essere diverse, ma che ce ne sia una che la vince su tutte: l’esigenza di fare le cose senza che nessuno se ne accorga. Non si può rischiare che diventi un caso nazionale, in bocca all’opinione pubblica, in fondo la tremenda bandita ha l’età di una nonna e non fa neanche un discorso da persona con problemi psichici. Al contrario la sua lucidità è impressionante a tal punto che solo una decina di giorni fa, durante l’iniziativa svoltasi all’Ex-Opg Je So’ Pazzo di Napoli, le seicento persone presenti erano tutte a bocca aperta e attente mentre ascoltavano il suo discorso.
Le donne e gli uomini che sostengono e difendono la libertà di Nicoletta hanno la testa dura come il granito e sono disposte a mettere davanti i loro corpi per osteggiare le forze di polizia nel momento in cui decideranno che è giunta l’ora di portare Nicoletta al fresco.

IL MURO POPOLARE A BUSSOLENO

L’hanno chiamato Muro Popolare e lo mettono in atto con tanti escamotage differenti: dalla colazione alle 5.30 del mattino (orario tipico per gli sgomberi come per gli arresti), fino alla proiezione notturna di film, così tra una pellicola e l’altra le ore passano e gli uomini della Procura di Torino possono decidere se stare lontani o se venire e fare ulteriormente la figura degli invasori. Perché è questo quello che accade oggi in Valsusa, la repressione esiste ed è tangibile con mano. Un popolo, quello valsusino, che ha scelto di alzare la testa e dire NO ad un modello di distruzione sociale, economico e politico. Un popolo che a testa alta ha deciso di dimostrare che insieme è possibile cambiare l’andamento della storia.
Quello che in questi giorni sta accadendo qui alla Credenza, in via Walter Fontan, è un vero e proprio atto di Resistenza.
Anche diversi sindaci si sono schierati dalla parte di Nicoletta: dal primo cittadino di Napoli Luigi De Magistris agli amministratori locali come Nilo Durbiano e Loredana Bellone, rispettivamente sindaci di Venaus e San Didero.
Invitiamo tutti a recarsi a Bussoleno a La Credenza perché vale la pena guardare con i propri occhi la solidarietà espressa dalle persone che frequentano quei luoghi così intrisi di storie di vita e di lotta.
l’informazione ci arriva da Favio  –  sistematorino.blogspot.it – lunedì 26 settembre 2016