Il libro Luride, agitate, criminali. Un secolo di internamento femminile (1850 – 1950), Roma, Carocci Editore, 2018, di Candida Carrino sarà presentato alla Biblioteca Nazionale di Napoli, il 4 aprile, alle ore 16,30 in Sala Rari e rientra nel progetto  delle due  mostre dedicate agli ultimi cinquant’anni anni di storia del movimento delle donne e del femminismo:  Rivolta nella Rivolta a cura del gruppo Fondo Soggettività femminile e Fotografia di una storia a cura di Luisa Festa.

Ne discuteranno con l’autrice Elvira Reale, responsabile del centro Dafne, Ospedale Cardarelli e Rossana Di Poce, archeologa e giornalista. Si leggeranno dei passi tratti dalle memorie delle internate con Anita Paone, Cristina Liguori e Luigi D’Amato.
Ad apertura dell’incontro sarà testimoniata l’esperienza di lotta che il gruppo femminista Le Nemesiache  ha vissuto con le psichiatrizzate della sesta divisione donne del Frullone, documentata da Lina Magiacapre  nel  film Follia come poesia…riprendiamoci il corpo mare, del 1979 Per l’occasione sarà allestita una teca tematica con i libri del Fondo Soggettività femminile.

Luride, agitate, criminali di Candida Carrino analizza l’internamento femminile in ospedali psichiatrici italiani, tra il 1850 e il 1950. La principale fonte utilizzata – la cartella clinica – consente di far emergere la complessità di relazioni sociali e di genere, che entra in gioco nell’internamento psichiatrico femminile.
La ricerca si sviluppa intrecciando molteplici percorsi a partire da un’ampia saggistica sulla “follia” femminile nel periodo compreso tra metà Ottocento e metà Novecento, testi che rimandano alla cultura psichiatrica europea del periodo, nella quale va iscritto il caso italiano. Il lavoro di ricerca si basa sugli archivi di ex ospedali psichiatrici e in particolare su quello di Santa Maria Maddalena ad
Aversa, riuscendo a dimostrare la versatilità della cartella clinica come fonte storica. Dalle cartelle emerge la molteplicità dei ruoli mobilitati nel ricovero e in queste si conservano memorie delle pazienti, carteggi con le famiglie, suppliche, denunce. Le cartelle diventano preziose, perché svelano le connessioni tra teorie e pratiche psichiatriche, restituendo l’incompatibilità tra il linguaggio istituzionale e scientifico con le parole delle internate.
I casi singoli fanno emergere una pluralità di attori e attrici: esponenti della famiglia (non sempre concordi tra loro), medici di famiglia, psichiatri ospedalieri, donne in sospetto di “follia”. I motivi dei ricoveri, identificati sulla base delle statistiche ospedaliere, sono numerosi e vari. Le minorenni, ad esempio, vengono internate spesso per supplire alla carenza di istituti specifici per ragazze ribelli o affette da patologie discriminanti, come l’epilessia. Le “criminali” occupano una zona di confine e contaminazione tra “follia” e delinquenza comune. Uxoricide e infanticide costituiscono altre due macrocategorie di internate.
Un caso singolare, che si svolge nel corso degli anni Trenta – Quaranta, è quello di Camilla, una militante antifascista. La sua storia fa emergere il ruolo di repressione politica esercitato dal regime contro le donne avverse al regime attraverso il manicomio.
Il libro, proprio attraverso lo studio di un’ampia campionatura di cartelle cliniche, che custodiscono le relazioni dei medici, la corrispondenza fra la struttura sanitaria e le famiglie, i rapporti di istituzioni del territorio e di pubblica sicurezza, riesce a raccontare in maniera ampia e varia le storie di donne rinchiuse in manicomio lungo un secolo. Infatti il vasto materiale analizzato nella
sua complessità genera una galleria di protagoniste, dalle bambine alle prostitute, dalle idiote alle immorali, dalle lesbiche alle deflorate, dalle infanticide alle uxoricide e sono tutte vittime di un gioco crudele in cui le famiglie e la società si adoperavano per rinchiuderle con la complicità degli psichiatri che ne assicurava la permanenza a vita. Il libro svela con crudezza, attraverso memorie e
lettere delle  stesse donne ricoverate, il dramma di vaste proporzioni delle rinchiuse a vita nei nosocomi dalle famiglie e dalla società.  La narrazione si avvale di carteggi, relazioni mediche, di documenti rivelatori dei rapporti fra la struttura sanitaria e le famiglie, con le istituzioni del territorio e di pubblica sicurezza, un importante materiale scampato al deterioramento del tempo ed alla censura.