Si può dire che non c’è bisogno di essere credenti per essere contrari alla maternità surrogata? Posso dire che anch’io, atea, femminista e comunista libertaria,sono fieramente contraria al mercato di gameti ed embrioni delocalizzati in qualche utero affittato?
Il fatto che il linguaggio usato per indicare queste pratiche parli di amore insopprimibile per i bambini, di famiglie arcobaleno armoniose e prive di problemi, di donne altruiste che, per pura generosità, mettono a disposizione di chi lo voglia il loro corpo fecondo, non fa che confermare l’uso ideologico e strumentale del linguaggio.
Invece di dire il mondo e di rappresentarlo, lo lava, lo sbianca, lo nasconde nella sua cruda complessità per portare acqua al mulino del nuovo conformismo.
Non si deve parlare dei bombardamenti ormonali che devastano il corpo delle donatrici, costrette a donare fino a quaranta ovociti per volta, in anestesia generale; né tantomeno delle tariffe delle madri surrogate, ben differenziate fra paesi ricchi e paesi poveri: bastano 40.000 euro per un utero ucraino, ma se si desidera un utero americano il prezzo lievita fino a 120.000 dollari. Per chi vuole il low-cost c’è sempre l’ India o il Bangladesh, che si offrono a prezzi stracciati.
Per quanto mi riguarda diversi sono gli scogli insuperabili: uno è rappresentato da quella massima della morale kantiana che suona così: ‘agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre come fine e mai semplicemente come mezzo’. Credo che non ci sia bisogno di illustrare il significato e le implicazioni di questo principio nella questione di cui stiamo parlando. Trattare il proprio corpo–mente come capitale da sfruttare
raccontandosi la favola bella dell’amore che oggi ci illude, è il segno tangibile che il
pensiero e la capacità di riflessione sono diventati un lusso, che non ci si può più permettere: il tempo stringe, il bisogno di riprodursi incalza e quindi ben venga la tecnologia che ci consente di superare ogni ostacolo ….
E qui sta il secondo scoglio: la con-fusione tra desiderio, questo sì legittimo e
connaturato alla dimensione simbolica dell’essere umano, e bisogno, che attiene alla
sfera della necessità. Questo movimento regressivo dal desiderio al bisogno determina
l’aporia successiva: il passaggio dal registro dell’essere a quello dell’avere. Il
legittimo desiderio di essere madri o padri, che si può benissimo soddisfare senza
bisogno di generare, si trasforma nel bisogno di avere un bambino, ridotto
quest’ultimo alla stregua di un prodotto-merce di cui si rivendica il ‘diritto’. Si
pretende dallo Stato la cancellazione ufficiale nei documenti di identità dei soggetti
che hanno contribuito alla generazione. Si cancella dalla scena del concepimento
l’altro da sé, la differenza sessuale, rivendicando come diritto di uguaglianza
l’attestazione in un atto pubblico di un falso: non si nasce da due uomini come non si
nasce da due donne.
Duro da accettare ma è così.
Ma lo scoglio più arduo da superare è tuttavia un altro. Riguarda il nascituro.
Poiché la gravidanza non è solo un passaggio in un contenitore biologico
indifferentemente intercambiabile ma “è un momento di una storia complessa nella
quale la madre nel suo rapporto biologico e psichico con il feto, dialoga
fisiologicamente, emotivamente e razionalmente con il bambino, reale e ideale,
trasmettendogli, che lo voglia o no, il senso della propria elaborazione conscia e
inconscia, dei suoi rapporti con i suoi genitori (interni e reali), e con le aspettative
sul futuro’,1 che si ammetta o no quel nato di donna verrà comunque plasmato da
quella gravidanza. A quel bambino che chiederà da grande ‘da dove viene’ si potrà
raccontare una bugia o semplicemente omettere la verità ma lo si priverà di un diritto
fondamentale, quello di conoscere la sua radice storica, spezzando così il filo che lo
lega alle varie generazioni, dalle quali, magari, potrebbe prendere le distanze se ne
avesse conoscenza.
Questo prodotto, così ben confezionato per soddisfare il bisogno di consumo
degli acquirenti, realizza e invera la dichiarazione della dea Atena la quale, essendo
nata dalla testa del padre Zeus, può affermare, spavaldamente, che lei è la prova
vivente che non c’è bisogno alcuno della madre.
Sarà un caso che Atena è la dea della guerra, o una conseguenza della cancellazione del materno?

1 Sono debitrice all’amico neuropsichiatra infantile G. Giordo dell’inciso virgolettato.