Penso che, per affrontare il tema dell’economia […] valga la pena di chiarire e mettere in evidenza il suo storico e culturale legame col maschile e col suo gioco di potere, di cui il denaro è simbolo culturale di valore massimo ( economico).
L’emancipazione, e perciò la possibilità di possedere e gestire denaro, è stata vissuta dalle donne come possibilità di accedere a quel ‘valore’. E’ stata questa una forma rivendicatoria di avere ‘uguale’ valore sul mercato del ‘maschile’, come se il maschile fosse anche per le donne l’unico valore possibile, quello universale. Ma questo alle donne non è bastato, dato che ne hanno esperimentato, capito e indagato il disvalore per sé. Ci sono infatti cose, vissuti, gesti delle donne che il denaro non è sufficiente a ‘pagare’.
_ Il denaro si svuota di valore e le donne forse cominciano a saperlo e perciò a contestarlo nella sua presunzione di universalità. Esso è di segno maschile, e perciò esiste proprio per affermare l’esclusione delle donne, la loro dipendenza e la loro cancellazione sulla scena dei valori, anche sul mercato monetario.

Alle donne perciò non basta più che venga riconosciuto valore monetario al loro in più di lavoro, come per esempio il lavoro di cura, di relazioni umane, di volontariato assistenziale, di gratuità legata al proprio essere corpo e materia non inscritta nel gioco del mercato dei valori culturali, ma hanno in mente e in prospettiva qualcosa che possa darne segno e vita differente, così da mutare il valore stesso dell’esistenza. E non solo per loro, ma per tutta la specie.

Mi chiedo spesso quanto l’emancipazione, trampolino di lancio che si è dimostrato essenziale alla presa in carica di sé stesse, delle proprie azioni e pensieri per la maggior parte di noi, venga man mano elaborandosi in una omologazione ai dati esistenti, all’economia esistente e al suo discorso culturale.
_ Me lo chiedevo, e continuo, anche di fronte alla paura, all’oscura importanza o insignificanza che il denaro, il guadagnarlo, il richiederlo, il gestirlo, procura a molte. E davanti a una attuale soggettività femminile largamente incarnata in un anelito di autoriconoscibilità ed affermazione basata sul “lavoro”e la conseguente verifica in “moneta”.
_ Anche di fronte alla caparbia volontà di riuscire a possedere entrambi, e a goderne, che non si placa neppure nell’averlo di fatto o più spesso apparentemente conquistato, – obbiettivo oggi ancor più ambito grazie al precariato e ai cosiddetti “tetti di vetro” delle lobby maschili […].

Molte cose e molti pensieri hanno segnato i nostri sentieri di consapevolezza. Ma pochi i pensieri legati alla materialità, al denaro, al senso del suo valore, poiché a poca materia, se non antica e già codificata ed espulsa da ogni onore trascendentale, noi siamo state capaci di dare nome, vissuto e concretezza diversi.
_ […] A questa materia a noi assegnata culturalmente e socialmente che è rimasta anche per noi ed il nostro pensiero abbruttente, rozza ed oscura. Forse qualche dubbio l’abbiamo espresso, chiamandola amore, cura…abbiamo aperto spiragli …ma sul denaro c’è resistenza testarda.
_ E nella ricerca di accedere all’olimpo del Verbo, questa nostra materia, imposta ed ereditata da un simbolico maschile che ci definisce a priori (mater) ‘deve’ perciò essere, perché lo è la materia che l’origina, contrapposto a quel simbolico Altro (quello che dalla materia si è staccato).
_ Ma così facendo, quanto mimetica diventa questa ricerca di un simbolico con il quale dimostrare che nell’olimpo dei suoi valori trascendentali questa nostra materia ( e ancora “solo” nostra) ha diritto di cittadinanza. Abbiamo anche bisogno, e come sarà mai possibile, che vi sia riscontro di valore in moneta per una materia tradita? Mortificata.

Il problema, il conflitto di una alterità rigida e inalienabilmente differente tra i sessi viene assunta supinamente e riattualizza l’impossibilità di una coincidenza tra materia – pensiero – storia che invece accomuna tutta la specie e non la divide in categorie dualistiche e di ‘specializzazione’.
_ E non si può affiancare a mio avviso un simbolico di chi è, storicamente, e riconosce (ed è stata costretta a riconoscere) come solo propria questa materia, a un simbolico di chi non la riconosce e la espelle. Così che la coincidenza tra materia e pensiero, che noi avvertiamo nelle nostre vite e nei nostri desideri, viene totalmente cancellata in presenza del valore denaro, a scapito di ogni nostro sforzo. Dato che il denaro è lì a sostituire la materia, svilendola fuori dal suo valore.

Ma i piani del discorso sono terribilmente complessi e ancora in balia del Discorso patriarcale e il suo potere che questa nostra storia ci consegna. Discorso che implica una strettissima relazione e interrelazione tra una genealogia psichica/economica/storica-culturale che ha portato all’instaurarsi di valori fondamentali, ‘universali’ difficilmente valutabili fuori del Discorso stesso, e fuori perciò dalla affermata denegazione della materia che l’ha prodotto.
_ Sulla mia intuizione che vede accumunabili le basi materiali e simboliche dell’alienazione sia nella “riproduzione” che nella “produzione” (di “cose” come di “figli” che prendono valore solo in quanto oggetti prodotti a cui dare nomi/cognomi e “loghi”!di proprietà) poiché contengono solo apparenti differenze in cui si esprime un simbolico maschile che attribuisce disvalore alla riproduzione carnale dei corpi (e al femminile come e alla “natura”), perché toglie al materno ogni pensiero ed intenzionalità delle donne nel creare esseri umani (e la cura è “banale” espressione istintuale e perciò scontata e doverosamente “gratuita=senza prezzo”).
[…]

Molte conferme ho riscontrato in un saggio di J. Joseph Goux intitolato: ‘{L’oro, il padre, il fallo, il monarca e la lingua}’ (nella versione italiana edita da Feltrinelli nel 1976, in ‘Freud, Marx, economia e simbolico’). Questo saggio contiene l’espressione massima e lucidissima di un Potere simbolico maschile pervasivo. Goux infatti mette in piena luce e con cognizione di causa, dato il suo essere di genere maschile, la logica dell’interrelazione di questi simboli dentro tale Discorso, che egli non a caso convalida e dà per scontato, inevitabile nel processo storico della specie.
_ Egli usa delle categorie psicanalitiche e di quelle marxiste per leggere la sincronicità genealogica tra il processo di sviluppo psichico e quello economico nella costruzione dell’identità del soggetto e del valore di scambio tra soggetti e tra oggetti. Entrambi i processi, egli dice, prendono forma e senso in un lungo percorso ascendente e sempre più ‘differito’ da una uguaglianza/equivalenza e di equivalenze relative e intercambiabili (tra soggetti simili – tra oggetti di uguale o simile valore) fino all’invenzione (lui dice- e meno male : arbitraria) di ‘equivalenti generali’, interpreti e simulacri, sempre più differiti ed astratti, del valore di ogni esistente. Essi sono, come dice il titolo del saggio: l’oro, il padre, il fallo, il monarca e la lingua.

[…] Di due cose soprattutto mi sono servita per cercare conferma delle mie intuizioni.
La prima è legata al ‘differire’ come processo sostanziale della cultura umana (quella che si è costruita fin qui). Un differire dalla materia, dalla natura, un allontanarsi dal ‘reale’ per sostituirlo e cercare di rendersene padroni ed arbitri. Il reale ha poco prezzo e senso se non sono io a dargli valore, nomi, costi e prezzi (logos compresi).
_ La materia è ottusa se non sono io a darle pensiero, regole e forma (a cominciare dal lavoro nella produzione della specie). L’io maschile del mondo è su questo che ha costruito la sua onnipotenza, scordandosi che la massa cerebrale che gliel’ha reso possibile E’ già di per sé, ha già pensato per lui questa possibilità..
_ Scordandosi sostanzialmente della “fondante Relazione che esiste tra la materia dei corpi e i loro pensieri che si rendono reciprocamente ed indissolubilmente il dono dell’esistenza. Per tutti: donne E uomini…..
[…]
_ Processo del differire che mi consente di introdurre la questione della ‘differenza’.
“La differenza, concetto – non a caso – “economico” che designa la produzione del differire, nel doppio senso di questo termine” (Derida), e cioè allontanarsi e differenziarsi.
Essa rappresenta perciò una deviazione, un uso stornato di sé, e i mezzi di rappresentazione di questo sono gli strumenti di una deviazione… per differire. La differenza è perciò un’operazione e non una struttura data .

Se il processo riguardante l’instaurarsi del valore moneta è esemplare per Goux di ogni processo di normalizzazione sociale, di cui continuamente egli vede l’intreccio, è facile comprendere le implicazioni che il nostro genere si trova a dover contraddittoriamente subire, chiuso com’è nella forbice tra il sottrarsi a questa logica negando ogni valore al denaro, e l’appropriarsene invece a pieno titolo.
_ Per stare nella propria ‘differenza’, la donna deve sopportare la contraddittorietà di dover riconoscere e ricevere valore proprio a e da ciò che è nato per sottrarglielo. […]
Il tentativo di stabilire un contratto liberatorio tra la propria e l’altrui differenza anche sulla scena simbolica monetaria è ciò che anima molte. Tentativo interno alla dialettica del due anche in una dichiarazione di tensione alla conciliazione tra amore e denaro che a me parla di ennesime nozze simboliche irigariane, anche sulla scena monetaria.
_ Una conciliazione che qui oggi tra noi – auspico – dovrebbe cercare di mutare nome e senso.
_ Perché questo va fatto, secondo me, smascherando a noi stesse il fatto di aver feticizzato il valore dell’alienazione dell’esistente e dei corpi nel “maschile” e che è proprio in quella specifica Alterità (Padre, Fallo, Monarca) che gli abbiamo dato il Potere di dare (e di darci) valore e perciò di darlo anche alla materia che, in quella parte che è rimasta concretamente nostra, resiste, estranea e a-simbolica.

[…] Questo anche se, dall’elaborazione del simbolico materno, si è giunte ad affermarne finalmente e ‘ufficialmente’ (!) la carnalità. Una ‘scoperta’ teorica! recente sulla scena rappresentativa del mondo, che per me è sempre stata una ovvietà, ma che non ha prodotto consapevolezza sufficiente a ‘materializzare’ tutto l’esistente. E’ servito solo a riaffermare una differenza “non condivisibile” e a creare nuovamente lo steccato del differire. Ci siamo nuovamente specializzate in ‘materia’!e, incredibile, non vogliamo dividerla con nessuno!
_ La messa in discussione di questo tipo di alterità, per ‘differenza’ (e ‘differire’ dalla materia) con tutti i suoi corollari ai vari livelli di senso, mi appare sempre più essenziale e necessaria alla nostra politica, se vogliamo uscire da ogni complicità nell’instaurarsi e perseverare nella scissione, e alla possibilità quindi di una nuova scelta culturale per tutta la specie.
_ Dobbiamo usare la consapevolezza di ‘questa’ genealogia del simbolico (e non del simbolico in sé, e uno o due è qui davvero indifferente!) come materia concreta del che fare, nella prospettiva di riaccedere alla coincidenza sapiente di materia/pensiero che nel nostro corpo di donna avrebbe potuto avere testimonianza, ma che non siamo state ancora capaci di riconoscere con fierezza e perciò di attribuirle sufficiente valore in sé, così da consentire a tutta la specie di condividerla, come di fatto oggettivamente avviene ‘naturalmente’.
_ Nelle nostre vite e in un nuovo paradigma economico in cui i pensieri e i corpi siano indissolubili: e prenda voce nella presa a carico da parte di Tutte e di Tutti di pensieri ed azioni coincidenti come manifestazione di un simbolico di reale e amorevole civilizzazione della specie, dei suoi corpi e dei suoi pensieri.