Quando sono stata invitata, in quanto femminista, a partecipare alla stesura di un testo che proponesse la costruzione di un soggetto politico nuovo non mi sono tirata indietro.
_ Al di là del sottile piacere di essere stata contattata, che sarebbe sciocco nascondersi, le ragioni che mi hanno spinto ad accettare sono di natura differente.La prima è che non mi rassegno all’idea che la politica perda il suo originale significato di partecipazione consapevole alla vita e al governo della “cosa pubblica” per trasformarsi in calcolo, furbizia, interesse, ruberia.
_ Ci sono in Italia ed in Europa tantissime donne e tantissimi uomini che vivono e praticano la politica come luogo di crescita personale e collettiva , come strumento di promozione di benessere collettivo, come impegno gratuito nella dimensione della “cura del mondo”.

Nello stesso tempo credo che il riaffermarsi prepotente di poteri antichi, che aspirano ad una dominazione pressoché assoluta per ridisegnare in termini autoritari le relazioni fra persone e nella società, necessita di una risposta organizzata. Non tanto nella logica dello scontro quanto nella capacità di agire rotture per delineare un’alternativa condivisa in grado di offrire un nuovo senso nei quali riconoscersi ed indicare i “beni comuni” per i quali impegnarsi.

Ma soprattutto ho accettato perché nel momento stesso in cui affermo, da femminista, di voler modificare la natura e la funzione del potere per uscire dalla preistoria delle relazioni umane ancora fondate simbolicamente sulla subordinazione del genere femminile, devo agire coerentemente occupando lo spazio che mi spetta e che voglio contaminare con i miei pensieri, le mie idee e le mie pratiche.

Se dicessi che mi riconosco completamente nel testo che abbiamo prodotto, mentirei. E’ una buona sintesi delle differenze che l’ hanno prodotto e come tale è perfettibile, in certi punti anche discutibile.
_ Mi piace molto però il fatto che non è il solito “manifesto programmatico” ma si cimenta, con una certa dose di innovazione, sui principi che dovrebbero guidare il processo di costruzione di un nuovo soggetto politico e soprattutto affronta consapevolmente la questione del metodo che mai come oggi mi sembra sostanziale se si vuole davvero che il soggetto sia nuovo.

Proprio per queste interessanti allusioni ai principi e ai metodi mi è parso opportuno chiedere alle amiche de “Il Paese delle donne” se fossero interessate alla pubblicazione del testo e, sperabilmente, all’apertura di un confronto su questi temi fra donne, fra femministe, fra femminismi.
_ Mi è stato risposto che sì si poteva fare.
_ Per questo le ringrazio. Tutte e ciascuna. Con l’augurio che il confronto non solo si apra ma sappia appassionarci.