Serena Marchi mentre intervista una delle donne le cui storie saranno da lei riportate nel suo libro
Serena Marchi mentre intervista una delle donne le cui storie saranno da lei riportate nel suo libro “Mio tuo suo loro”

Alessandra Galetto scrive:  Lo dice lei stessa, come una sorta di necessaria premessa che mette in guardia il lettore: se il libro che leggiamo non è un pugno nello stomaco capace di scuoterci dal nostro torpore, che libro è? A cosa serve? Ecco, si può star certi che con questo Mio tuo suo loro (edito da Fandango)mio-tuo-suo-loro-serena-marchi-fandango_reference

Coraggiosamente la giornalista veronese che già due anni fa, nel 2015, con la pubblicazione sempre per Fandango del suo primo libro Madri comunque aveva iniziato ad occuparsi di tematiche femminili, si è avventurata con questo nuovo lavoro in un tema di stretta quanto scottante attualità. È infatti tra gli argomenti più controversi, in ambito di diritti individuali, il tema della gestazione per altri (Gpa) o utero in affitto. Il primo caso di maternità surrogata a fare scalpore risale al 1985, ma solo oggi la questione è esplosa riempiendo i titoli dei più importanti quotidiani, animando blog e riviste, scatenando un furioso dibattito all’interno dello stesso movimento femminista. E così Serena Marchi ha deciso di accettare la sfida lanciatale dalla casa editrice, scrivere appunto di gestazione per altri, ma con una prospettiva che, nel gran tam tam mediatico, resta spesso in ombra: quella, che al contrario è fondamentale, di dare voce alle donne che tale esperienza hanno accettato e vissuto.

«Poichè in Italia questa pratica è illegale, ho pensato che l’unico modo serio per scriverne era andare in quei Paesi in cui è consentita e ascoltare le donne che hanno vissuto tale esperienza», spiega la Marchi. «Dare insomma voce alle madri surrogate, le portatrici, quelle donne che decidevano liberamente di portare avanti una gravidanza per qualcun altro. Ho percorso in un anno 33.613 chilometri, per incontrarle. Dall’Ucraina al Canada, dal Texas al Regno Unito, passando per la California. Nessuna intervista via Skype, nessuna telefonata, nessuna domanda via email, nessuna risposta scritta. Volevo il faccia a faccia, pelle a pelle. Ho visto dove abitano, ho incontrato le loro famiglie: ho conosciuto 15 storie. Ho capito prima di tutto che in questi Paesi la nostra perplessità, le nostre remore sono davvero materia superata. “Secondo loro dovrei essere una schiava perché decido di portare in pancia per nove mesi il figlio di qualcun altro? Lo decido io, nessuno mi obbliga. Scegliere cosa fare del mio corpo credo spetti solo a me. Avete una strana idea, in Italia, della schiavitù“, mi sono sentita dire con fermezza».

Serena conviene sul fatto che le storie che ha raccolto offrono un quadro molto differente: «In Inghilterra, dove l’utero in affitto è legge dall’83, solo per coppie inglesi e fatto da donne inglesi, non esiste alcun compenso, solo un rimborso delle spese mediche. In Ucraina al contrario il parto vale alla portatrice 15mila euro, in un Paese in cui lo stipendio medio è di 150 euro. E dunque c’è chi lo fa per soldi, per interesse, chi per altruismo, per senso di responsabilità, per amicizia. Ma quello che ho capito è che comunque queste donne scelgono, nessuna subisce. Ho cercato di raccontare soprattutto il non detto, di dare voce a chi non l’ha avuta fino a oggi». Non c’è dubbio: Mio Tuo Suo Loro pone al centro, con coraggio, la scelta della donna, qualunque essa sia. Anche quando è molto diversa dalla scelta che avremmo fatto noi.(06/03/2017)