Articolo di Elena Monticelli

Si è concluso, con il via libera definitivo, dopo il secondo esame in Consiglio dei Ministri, l’iter di approvazione del REI reddito di Inclusione introdotto con la legge n. 33/2017. Dal primo gennaio la misura entrerà ufficialmente in vigore e sostituirà altre due forme di sostegno al reddito (il Sostegno all’inclusione attiva – Sia – e l’Asdi, l’Assegno di disoccupazione), ricalcando le caratteristiche del primo. Come abbiamo avuto modo di analizzare nei mesi precedenti in altri diversi articoli, in particolare quello sulla legge delega, questa misura presenta diverse criticità, a cominciare dalla scarsa platea dei beneficiari coperta: i nuclei familiari potenziali interessati dal REI, in sede di prima applicazione saranno circa 500 mila, a fronte di 1 milione e 619 mila nuclei in povertà assoluta e 2 milioni e 734 mila famiglie in povertà relativa. Si smentiscono, quindi, gli annunci del Governo rispetto al milione di persone coperte: Poletti fa riferimento non ai nuclei, ma alla somma dei componenti delle famiglie, a cui, però singolarmente, mensilmente, verrà erogata una cifra pari a poco più di 120 euro. Permane la questione dei possibili effetti della condizionalità della misura, che andrà monitorata: il REI potrebbe diventare l’ennesimo strumento usato in Italia per la produzione di lavoro povero, sostitutivo di posti occupazione stabile e tutelata, come avviene per altri strumenti (si pensi all’uso distorto di Garanzia Giovani o del Servizio civile o dei tirocini)?…..

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Perché non è un Reddito Minimo Garantito RMG?

Lo ribadiamo subito: non stiamo parlando del Reddito Minimo Garantito RMG (si badi che anche la proposta di legge del M5S, pur chiamandosi “reddito di cittadinanza”, di fatto è una misura di reddito minimo). Forse dirlo chiaramente aiuterebbe a sgombrare il campo da confusioni e sovrapposizioni. Innanzitutto perché un RMG dovrebbe essere erogato su base individuale e non familiare, proprio per promuovere l’autodeterminazione dell’individuo e la sua possibilità di decidere autonomamente, rispetto al nucleo familiare. In secondo luogo perché l’importo dovrebbe essere almeno tra i 500 ed i 700 euro al mese a persona, in modo da garantire al beneficiario di poter rinunciare al ricatto del lavoro povero, mal pagato o gratuito (per approfondimento si legga qui). Un RMG non è condizionato allo svolgimento di attività paralavorative, soprattutto se la condizionalità vincola tutto il nucleo familiare; ma prevede un percorso di implementazione delle proprie competenze, che tiene principalmente conto della storia e del profilo della persona, valorizzando le sue capacità, al fine di reinserirsi davvero nel contesto lavorativo.

Questo perché la povertà non è una colpa, non è un debito nei confronti della collettività che va “espiato”. La povertà è una conseguenza di un processo di redistribuzione del reddito e della ricchezza e di politiche economiche e sociali bene precise, per questo il RMG non prevede “una contropartita” per la prestazione erogata, se non quello di aiutare le persone a ritrovare un lavoro (vero). Il RMG, infine, non si rivolge soltanto ai nuclei familiari in povertà assoluta, ma anche ai working poor, e al problema dell’intermittenza lavorativa, un tema fondamentale soprattutto nel contesto di sviluppo dell’automatismo e dell’Industria 4.0, in cui la disoccupazione rischia di essere un dato sempre più strutturale del mercato del lavoro, come da molti analizzato.

Per questi motivi l’approvazione del REI non può interrompere una battaglia per l’approvazione di RMG nel nostro Paese, un percorso già avviato, e analizzato nella sua fattibilità anche dall’ISTAT, e poi sospeso in questi anni, ma che diverse associazioni (in particolare BIN Italia a Rete dei Numeri Pari) continuano a portare avanti.