Sand and Blood è un’opera prima di due giovani registi austriaci, Matthias Krepp e Angelika Spangel. Secondo la presentazione ufficiale il film “ ripercorre i fatti che hanno segnato la storia recente dell’Iraq e della Siria, visti dalla prospettiva delle persone giunte in Europa negli ultimi anni…”.  I registi hanno intervistato una ventina di rifugiati provenienti da Iraq e Siria attualmente stabilitisi a Vienna nei campi di raccolta per immigrati; hanno quindi selezionato un’ora e mezza di video inerenti le guerre che sconvolgono i due paesi e vi hanno montato sopra alcuni brani estrapolati dalle interviste realizzate coi rifugiati.

Il volto o il nome dei rifugiati non compaiono mai, le storie non seguono una narrazione temporale con un inizio e una fine, né allo spettatore è sempre chiaro quando cambia il protagonista del racconto o quando questo riprenda la parola. I video si susseguono senza che venga indicata la loro provenienza, nonostante gli autori dei filmati siano molti e profondamente diversi fra loro: dal governo siriano all’ISIS, dalle varie fazioni ribelli a riprese realizzate da giornalisti o da singole persone.

I commenti sovrapposti variano da racconti individuali a enunciazioni generali e generiche che possono essere scambiate per affermazioni di uno speaker ritenuto autore del filmato mostrato in quel momento.

Le due vicende storiche diverse fra loro se non altro per la differenza temporale – tra la guerra in Iraq del 2003 e quella scoppiata in Siria vi sono 8 anni di distanza – e per il contesto storico – l’Isis nel 2003 non esisteva – vengono affiancate con affermazioni, talvolta, molto generiche e semplicistiche.

Il filmato, nel dibattito che ne è seguito, è stato da più parti contestato e, forse non del tutto erroneamente, definito “un’insalata mista” da una docente universitaria che insegna a Roma “media e Islam”. Significative le risposte dei due giovani registi, che sono parsi alquanto sorpresi dalle critiche: nulla è inventato, tutto è vero, dai video alle testimonianza raccolte; non abbiamo avuto alcuna volontà di piegare a una tesi particolare la nostra opera; l’impatto emotivo è comunque forte.

Non credo sia utile dilungarsi sull’ovvia considerazione che ogni video e ogni testimonianza decontestualizzati o affiancati impropriamente possono assumere significati molto diversi e lontani dalla realtà. Confermo che nel filmato non vi era alcuna volontà di propagandare una tesi precostituita e che l’impatto emotivo era effettivamente forte, ma questo evidenzia un ulteriore rischio da sempre sperimentato nella comunicazione, in particolare in quella visiva: che attraverso l’emotività vengano trasmessi in modo subliminale contenuti lontani dalla realtà, senza che il destinatario della comunicazione sia in grado di sottoporli al vaglio della sua coscienza critica.

La genuina meraviglia mostrata dai due giovani registi di fronte alle critiche loro rivolte mi ha riportato al comportamento riscontrato spesso tra gli studenti universitari che frequentano il mio corso “Globalizzazione e politiche della salute”: atteggiamento acritico verso tutto quanto compare sul web, che viene considerato, per il solo fatto di esserci, vero e degno di fede; difficoltà di restituire una dimensione temporale e quindi di profondità storica a video e documenti che appaiono indistintamente uno sotto l’altro nella medesima schermata, dove tutto è appiattito, hic et nunc, “qui e ora”, anche quando i fatti rappresentati distano fra loro anni, decenni e talvolta secoli; difficoltà a cogliere la necessità di individuare le fonti, valutarne il differente livello di credibilità e confrontarle tra loro; mancanza di consapevolezza sul ruolo, non neutrale, giocato dai motori di ricerca nell’ordinare ed evidenziare le risposte alla ricerca effettuata sul web.

Preso atto che la rete – soprattutto per le giovani generazioni – ha ormai sostituito in gran parte tutto ciò che è cartaceo, è urgente una formazione all’uso critico del mondo digitale. L’impressione, assistendo ad alcune produzioni, quali quella qui citata, frutto del lavoro di giovani registi, è che forte e rapido sia il rischio di perdere quella che è stata una delle caratteristiche che ha differenziato la cultura europea da quella nordamericana: la ricerca continua della dimensione storica e del contesto socio culturale che accompagna ogni avvenimento.