A Mantova, nell’Ala Napoleonica di Palazzo Te, saranno aperte dal 30 Gennaio al 28 Febbraio, nell’ambito del progetto “Palazzo Te incontra il contemporaneo”, le mostre monografiche di tre artiste di comune provato valore e di singolare differenza: Sonia Costantini (Armonie per accordo, a cura di Federico Sardella), Gabriella Pauletti (Versus, a cura di Paolo Campiglio), e Lucia Pescador (Wundernachtkammer per Mantova, a cura di Gabriella Belli). Ciascuna mostra è corredata da uno svelto ma molto accurato catalogo delle edizioni Tre Lune di Mantova.

Parlo qui di {{Lucia Pescador}}, la più logisticamente appartata: ha scelto per sé non una sala di rappresentanza, ma una sorta di “sgabuzzino delle scope”, un ripostiglio stretto e oscuro, sulle cui pareti, nel cui spazio, mettere in scena, come in un “gabinetto magico”, i fantasmi della sua memoria, le citazioni affettuose e irridenti o semplicemente giocose che costituiscono la sua cifra fondamentale, che rispondono al suo piacere della congerie.

Dalla {Chambre en plein air} di una sua installazione del 2001 a questo luogo della notte, dell’evocazione, della meraviglia, dove la luce soffusa di un abat-jour ci farà scoprire, se sapremo fermarci e guardare, la salamandra di Palazzo Te, il coccodrillo, le ossa di balena, lo scheletro e i reperti naturali del Gabinetto Scientifico del cittadino Liceo Virgilio, le maschere vere e disegnate di un teatro amato, le fotografie – stampate su pellicola e assemblate in lunghe strisce orizzontali – di Mantova notturna, del Teatro Bibiena, di Palazzo Te, di strade e giardini della città, cui è dedicato l’omaggio di una parete. Mentre su quella di fondo emerge dall’oscurità un teatrino domestico: la cucina di Olimpia, la moglie di Braccio di ferro, in una grande fotografia, una “foto di scena”.

E per noi visitatori due sedie, “per fermarsi e sentire”: perché sentire è ‘accorgersi’ con i sensi, é “sperimentare… che succede qualcosa dentro di noi, come quando si sente il caldo e il freddo”, dice {{Ezio Raimondi}} a proposito della lettura. Due sedie, dunque, per godere di questa meditata congerie, di questa “operazione piena di sorprese e di mistero”, per la quale gli “spiriti stregati” – che evoca {{R.W. Emerson}} a proposito della biblioteca – “tornano a vivere, perché ciascuno di noi è vivo e dà loro vita”; in questo senso allora guardare è evocare: lo stanzino delle scope si trasforma nello spazio arcano dell’evocazione.

Due sedie, dicevamo, {{due sedie per “fermarsi e sentire”:}} e abbandonarsi al piccolo trauma dello spiazzamento che la citazione ci procura quando, come ci convince {{Giorgio Agamben}}, sia avulsa dal suo contesto storico; abbandonarsi al ritmo di quest’accumulo di immagini e goderne la suggestione notturna. Comprendendo insieme come della storia della pittura {{Lucia Pescador}} faccia tesoro riconvertendo al suo presente i frammenti offerti dalla memoria visiva, le immagini balenanti, i colori prediletti: che – decontestualizzati appunto – assumono una ‘autenticità’ nuova e intima.

La ‘camera delle meraviglie’ diminuita a ‘cameretta’, perde la presunzione scientifica della Wunderkammer cinquecentesca e, notturna come la si vuole, da luogo appartato diventa luogo incantato dell’appartenenza: di Lucia Pescador a se stessa, attraverso le adesioni, gli scarti, i tradimenti della tradizione, gli spaesamenti di tempo e di luogo.

Le citazioni che si accumulano e si accomodano in una quotidianità che sa diventare favola, gli “oggetti smarriti” ritrovati e resi diversamente autentici dall’operazione di straniamento, recuperano senso e sentimento nuovi: per l’artista e per noi, raimondiani lettori di questa Wunderkammer notturna, allestita per Mantova.