Napoli, mercoledì 20 Febbraio presso la Chiesa di San Giorgio martire in Piazza San Giorgio a Pianura si sono volti ii funerali di Pina Di Fraia. Alle 17,00 in Via Monti luogo dell’ omicidio concentramento per la Fiaccolata per Pina contro il femminicidio.{{Vincenzo Carnevale ha cancellato Giuseppina Di Fraia, schiacciandola e bruciandola. A Pianura, quartiere di Napoli.}}

Giuseppina è morta il 14 febbraio 2013, dopo tre giorni di atroce agonia, per le ustioni sull’ottanta per cento del corpo, le lesioni dell’investimento con l’auto, i calci e i pugni.

La vita è stata cancellata da un assassino e{{ la memoria rischia di essere cancellata in un tribunale,}} dove si riassumono continuità col passato e prospettive future: le solite attenuanti e poi gli sconti di pena .

Il prima e il dopo la morte violenta di una donna è affidato alla memoria ufficiale, che non sempre è quella di tutti e non sempre è quella rappresentata. E tuttavia quella rappresentazione guida l’agire pubblico e conduce alla riproduzione delle condizioni che accolgono e consentono il femminicidio.

Non è stata una fatale e inarginabile sequenza di azioni inconsulte, né si è trattato di un piano ben congegnato e impercettibile “ai normali”. Alcune testimoni riferiscono, pur non avendo compreso che lo stesso marito soccorritore era l’investitore, di aver insistito per chiamare un’ambulanza. Le stesse riferiscono di essere state dissuase da altri che ritenevano opportuno affidarla al marito. Questo ha permesso all’assassino di “perfezionare” il crimine a poche centinaia di metri, con una tanica di benzina.

Nella stragrande maggioranza dei casi l’assassino si cura poco di congegnare bene un piano, è data, infatti, una sorta di malleveria ambientale che da subito contribuisce a distorcere le intenzioni se non i fatti. Entra in ballo l’assunzione di una colpa culturale generalizzata che, di fatto, mitiga la responsabilità individuale e penale.

Ci si deve chiedere {{quando sarà mai cambiata la cultura del femminicidio}} se gli assassini, gli stupratori, i ricattatori saranno prima indicati come succubi di se stessi e delle loro vittime, delle suggestioni tribali e poi giudicati.

Ragionare sul linguaggio è importante, ma è del tutto inane lo sforzo di far assumere parole, per altro svuotate della loro portata complessiva, com’è stato per la parola “femminicidio”, {{se la comunicazione non riesce a liberarsi da parole come “uxoricidio”, finalmente cancellate dai codici, “delitto a sfondo passionale”, “delitto maturato nel mondo della prostituzione”. }} Uccidere, violentare una moglie è facile, anche grazie a categorie del pensiero che la indicano come proprietà. Uccidere, violentare donne che non sono mogli né madri è altrettanto facile, per di più con ancor minore gravità percepita pubblicamente.

{{Facile uccidere e schiavizzare le donne}}, un olocausto facile, che non s’incarna in un nemico solo, piuttosto in tanti complici che spesso piangono senza credere che un mondo e un paese senza femminicidio siano possibili e migliori.

L’ineluttabilità del femminicidio è un’idea velenosa, inoculata anche attraverso una falsa idea del contrasto, appunto eccessivamente “culturalizzato” della comunicazione che spesso esalta e addita il meccanismo per il quale le donne subiscono perché inconsapevoli complici di partner, oppure perché poco coraggiose. Gli spot ministeriali, e non solo, insistono sui lividi e su un mantra: “non subire, non ti ama”.
Nulla viene affiancato a questo messaggio, che ha un fondamento solo appunto per le non singles, nulla pubblicamente è diretto alle forze dell’ordine ancora largamente propense a “ricomporre le piccole controversie”(art. 1 del TU di pubblica sicurezza), nulla viene fatto per avvertire sulle false proposte di lavoro e sulla possibilità di uscire dal ricatto della prostituzione, offerta dal TU sull’immigrazione.

{{La cultura si costruisce}}: lo riconoscono quotidianamente leader politici e opinionisti, gli stessi che attendono (?) senza predisporre nulla per sconfiggere la sopraffazione e l’arbitrio nei confronti delle donne.

Nessun prodigio e nessun cambiamento automatico interverranno a superare la logica atavica della soppressione del genere femminile: si deve agire molto concretamente e facendo le cose giuste. Bisogna cominciare e da un luogo, una vittima, un assassino.
Bisogna cominciare da Giuseppina di Fraia, giudicando equamente Vincenzo Carnevale e i suoi complici, chiunque sapesse e non è intervenuto.
Equamente soprattutto nei confronti della vittima che, chiunque fosse, ha lasciato un buco nell’umanità, a forma di donna.