“I like good, strong words that mean something”[1]: libertà e silenzio in Little Women

“Amo le espressioni forti e genuine, che abbiano un significato”. Questa è una traduzione molto libera, e quasi letterale, della frase sopra citata. Si colloca fin da subito come espressione di un’indole forte e determinata, non disposta a scendere a compromessi. È una frase che, nel mondo contemporaneo, potrebbe essere udita nei discorsi di tutti i giorni, senza che questa susciti particolare indignazione o scandalo, neanche se si considerasse il sesso di chi parla. Forse, però, questa affermazione potrebbe cambiare nel momento in cui si viene a conoscenza del fatto che queste sono parole di una ragazza, più precisamente della “piccola donna” Josephine March, più comunemente nota come Jo.

Forse qualcuno, mosso principalmente dall’ipocrisia, risponderebbe che questo non cambia assolutamente niente: Jo sta semplicemente esprimendo i suoi pensieri e convinzioni in modo libero, proprio come oggi è permesso fare alle donne nella maggior parte del mondo. Altri, invece, potrebbero rivedersi maggiormente in quanto affermato da Meg, la sorella maggiore: “Bel modo di esprimersi!”[1]. Nonostante questi personaggi abbiano visto la luce nel 1868, data di pubblicazione della prima parte del romanzo Little Women ad opera della scrittrice americana Louisa May Alcott (1832-1888), seguito l’anno dopo dalla seconda parte (meglio nota in Italia con il titolo Piccole donne crescono), le voci che tentano di indurre le donne al silenzio non si sono ancora spente del tutto. Ancora oggi, infatti, la donna non è pienamente libera di esprimersi: è divisa sempre più tra le forze pressanti della società. Queste voci la spingono ad aderire ai ruoli stereotipati e imposti di moglie e madre, cercando di reprimere il suo desiderio di potersi esprimere liberamente e senza nessun limite.

Questi aspetti sono alla base delle dinamiche presenti all’apertura del romanzo, dove le quattro sorelle March, di età compresa tra gli 11 e i 16 anni, vengono colte nel delicato passaggio che dall’adolescenza le porterà all’età adulta. Sicuramente è uno dei momenti più gioiosi nella vita di una persona: è il momento in cui si definisce la personalità dell’individuo, e dove si comprende cosa si desidera realizzare nella propria vita. È anche, però, il momento in cui le pressioni che provengono dalla società si fanno più presenti, nel tentativo di eliminare o attenuare ogni tentativo di ribellione e di rendere la popolazione conforme agli schemi comportamentali già accettati e consolidati. Le sorelle March non vengono esonerate da questo processo: ognuna mostra reazioni differenti alle forze che dominano la società, non solo attraverso i comportamenti, ma soprattutto attraverso il loro modo di parlare. Questo è particolarmente evidente nella definizione delle sorelle maggiori: Meg è sempre colta nell’atto di sospirare, sospirare in qualunque momento. Sembra quasi non voler esternare pienamente i propri pensieri, rivelare troppo di sè. Al contrario, Jo grida e strepita per quasi tutta la durata del romanzo. Non è un’esagerazione: se si prende come riferimento il testo originale inglese, si nota infatti che i discorsi di Jo vengono resi nella maggior parte dei casi con verbi quali “cried” oppure “exclaimed”, rispettivamente “urlò” oppure “esclamò”; altre volte viene colta in momenti di riso.

Il contrasto tra le due sorelle è sicuramente forte: da una parte la pacata e controllata Meg e, dall’altra, l’irruenta Jo. Non si è sorpresi quando si legge dell’interesse di Meg per il precettore John Brooke, né della proposta di matrimonio che lei accetta, scegliendosi quindi un destino prettamente domestico. Da questo punto di vista Meg sembra incarnare appieno le qualità femminili  alla base del concetto di “True Womanhood”, cioè le caratteristiche che la donna ideale doveva possedere: come riferito da Barbara Welther nel suo saggio The Cult of True Womanhood: 1820-1850, queste possono essere riassunte in quattro virtù cardinali, cioè pietà, purezza, sottomissione e vita familiare. Solo questo avrebbe assicurato alla donna la felicità e il potere sociale; senza questo tutti i suoi pregi non valevano niente. Il destino di Meg sembra essere proprio questo: annullarsi sotto ogni aspetto, accettando passivamente il suo ruolo di moglie e di madre, privandosi anche del diritto di esprimersi. In realtà Meg riuscirà a dare una svolta a quello che fin dal principio si colloca come un matrimonio del tutto tradizionale: grazie ai consigli della madre riuscirà ad improntare il suo matrimonio all’insegna della parità. Il matrimonio come condivisione: marito e moglie hanno uguali diritti, ma soprattutto uguali doveri; questo non esclude la gestione dei figli, che subiscono quindi l’influenza benevola di entrambi i genitori, in egual misura.

Jo, al contrario, si colloca su un piano del tutto differente. Come precedentemente osservato, non è mai colta nell’atto di sussurrare, di nascondersi; si pone da subito come la voce più potente all’interno della famiglia, che si può definire matriarcale[2]. È la prima ad esordire all’apertura del romanzo, e per giunta con una lamentela, con la celebre frase: “Natale non sarà Natale senza regali”[3]. Fin dalle prime battute del romanzo Jo è sempre presente con la propria voce, che non esita a far udire nel tentativo di reclamare un posto tutto per sé all’interno della società in cui vive,  cercando di far valere il suo desiderio di indipendenza attraverso comportamenti prettamente maschili. Un altro aspetto che la contraddistingue è il rifiuto del matrimonio che lei vede come ostacolo nella realizzazione delle sue ambizioni, comprendendo che questo porrebbe fine alla sua libertà, in favore della sottomissione al marito. Un personaggio totalmente fuori dagli schemi del romanzo e, si può affermare, decisamente moderno.

Sarebbe bello poter affermare che Jo non debba affrontare nessuna difficoltà a causa di questo suo temperamento ribelle e volitivo, sempre pronto a sbottare se qualcosa la rende nervosa o la fa arrabbiare. In realtà, sarà proprio la voce di Jo e il suo desiderio di comunicare ad essere la causa dei momenti di tensione che si attraversano nel corso della vicenda. Molto presto Jo apprende che, molto spesso, non trincerarsi nel silenzio porta la donna alla rovina. Nel suo caso, la sua schiettezza le preclude quello che ormai desiderava da molto tempo: un viaggio in Europa come dama di compagnia di zia Carrol. Sono esemplari le parole dell’autrice nel descrivere questo momento:

“Se Jo avesse saputo che dal suo comportamento di quel giorno dipendeva parte della sua felicità futura, sarebbe diventata subito mite come un agnellino, ma purtroppo non ci è concesso leggere nel nostro destino né dentro la mente di chi ci vuole bene, (…). Jo rispose in modo da privarsi di qualche anno di gioia e ricevette una salutare lezione sull’opportunità di tenere a freno la lingua.

-A me i favori non piacciono,- dichiarò.- Mi opprimono e mi fanno sentire in debito: preferisco essere indipendente e cavarmela da sola”[4].

A causa di queste parole le sarà preferita Amy, che dimostra possedere le qualità di sottomissione e silenzio da lei tanto rifiutate.

Jo cerca in ogni modo di dare il suo contributo nel mondo e, allo stesso tempo, di far emergere la sua voce di donna. Il tentativo più evidente è il suo impegno nella scrittura. Dotata di grande talento, Jo si è costruita un mondo a sé stante nella soffitta, dove viene presa dall’estro creativo. Qui è libera di esprimere sé stessa, dedicandosi alle storie di passione e di omicidio da lei tanto gradite, non sempre consone per una ragazza. Il suo desiderio più grande sarebbe di fare della sua dote la sua professione. In realtà, si scoprirà che la società non incoraggia in nessun modo le donne che cercano di porsi allo stesso livello dell’uomo, condannandole al silenzio anche in un ambito (quello letterario) a cui era permesso loro dedicarsi. Se riescono ad ottenere considerazione, è solo perché ad operare a loro favore c’è un uomo. È esemplare la vicenda che riguarda la pubblicazione del suo primo racconto: decisa a cavarsela da sola grazie al valore della sua opera, si presenta sola al giornale, si intuisce sperando in un pagamento. La risposta che ottiene non è delle più confortanti: all’editore piacciono i suoi lavori, ma non era disposto a pagare in quanto esordiente; solo con il tempo e i miglioramenti avrebbe potuto ottenere un compenso. Sembra una valida motivazione: in realtà si ha quasi un senso di disagio quando si apprende che l’amico e vicino di casa Laurie, venuto a conoscenza di questo, le ha promesso di interessarsi alla questione, promettendole di farle avere pagamenti per tutti i suoi lavori futuri. Certo, dal racconto si ha l’impressione che, nella concitazione di Jo, questo fatto passi in secondo piano, ma resta il fatto che, per ottenere la considerazione meritata, anche Jo necessita della tutela di un uomo. Sembra quasi che la scrittura abbia un diverso valore a seconda del sesso dell’autore: se è un uomo, merita ogni riconoscimento; se è una donna, è ridotta al valore di mero passatempo casalingo. Ancora una volta si ripropone l’eco della rigida suddivisione in sfere: quella pubblica associata al lavoro, riservata all’uomo, e quella privata riservata alla donna e identificata con il lavoro domestico. I racconti di Jo, indipendentemente dal loro valore, derivano dalla sfera privata, e per questo vengono visti come inferiori agli occhi di chi opera nella sfera pubblica. Nascono dalla casa, ed è lì che devono rimanere. Se vengono ammessi nel mondo degli uomini, devono comunque rispettare questo standard: un esempio è il primo racconto pubblicatole a New York. Per riuscire a pubblicarlo è costretta a rivederlo interamente, rimuovendo le riflessioni e insegnamenti morali in favore dei passi romantici o a tinte forti. Tuttavia, anche in questo ambito Jo finirà vittima del controllo e della repressione maschile, sebbene in misura minore. Il secondo intervento riguarda proprio le tematiche da lei affrontate: a causa del giudizio sfavorevole del professor Bhaer sarà indotta a riconsiderare la sua opera e, dopo aver bruciato nella stufa mesi di lavoro, deciderà di adottare temi moraleggianti che possano veicolare insegnamenti, soprattutto ai ragazzi. Curiosamente, sarà proprio il professor Bhaer a divenire suo marito, forse perché è l’unico uomo con cui riesce ad instaurare un rapporto perfettamente egalitario, non come quello della sorella Meg, basato principalmente sull’amore. Jo lo basa sul lavoro, sull’aiuto reciproco, che la porterà a realizzare il suo sogno di aprire una scuola in cui, curiosamente, gli allievi sono principalmente ragazzi.

Libertà e silenzio: da sempre hanno segnato la vita delle donne in ogni epoca storica. In ogni periodo le donne hanno tentato di sottrarsi alla forza dominatrice dell’uomo, da sempre colpevole di aver creato e promulgato gli stereotipi tutt’oggi esistenti. Questo, però, ha costretto le donne al silenzio in ogni ambito, in quanto membri inferiori e destinati alla sfera domestica. Le “piccole donne” e sorelle maggiori Meg e Jo sono un esempio evidente di questo: Meg riuscirà solo in parte a guadagnarsi il diritto di esprimersi e di essere considerata alla pari del marito. Jo ci riuscirà in modo quasi totale: tranne qualche resistenza, grazie alla sua forza conserverà sempre le sue risate, i suoi borbottii e le sue grida. Che il personaggio di Jo sia un esempio e dia forza alle donne nella loro lotta quotidiana per fare udire la propria voce, nel tentare di sovrastare le grida maschili e della società intera. Altrimenti si conosce già il destino riservato a chi si rifiuta di combattere per farsi udire: come Beth, la terza sorella March, si è destinate a morire, rinchiuse nel mondo a cui gli uomini ci hanno destinate.

[1]    Louisa May Alcott, Little Women, [1868], New York: Norton Critical Edition, p. 36.

[2]    Louisa May Alcott, I quattro libri delle Piccole donne, 2006, Giulio Einaudi Editore, p. 43.

[3]    Il padre, infatti, è quasi totalmente assente nella prima parte del romanzo, in quanto impegnato come cappellano nella Guerra civile americana; tornerà solamente al termine di questo romanzo. La sua posizione non subisce variazioni nella seconda parte: viene ritratto come sempre chiuso nel suo studio, impegnato nella lettura. La gestione della casa viene lasciata totalmente in mano alla moglie e alle figlie.

[4]    Louisa May Alcott, I quattro libri delle Piccole donne, 2006, Giulio Einaudi Editore, p. 3.

[5]    Louisa May Alcott, I quattro libri delle Piccole donne, 2006, Giulio Einaudi Editore, p. 342.