… In questi ultimi vent’anni, (o anche di più), ho desiderato con intensità sempre maggiore di poter osservare i fatti della politica italiana e la sua drammatica involuzione dal punto di vista sociale, culturale, economico con il distacco che viene dal non esserne nativa. Non essere italiana mi darebbe la possibilità di pensare: “Interessante come in Italia, in pochi decenni, la sinistra si sia autodistrutta, pur essendo stato il paese europeo con il Partito Comunista più grande, capace di allontanarsi dalla “casa madre” sovietica e iniziare il dialogo con il mondo cattolico”. E anche: “Interessante che l’Italia abbia rapidamente tradito le aspirazione dei partiti socialisti europei, distruggendo il sogno di Lombardi e Pertini, e offerto la sponda, con l’era craxiana, per l’avvento di Berlusconi”.

Ma non vengo da un altro paese, come la Svezia, dove una donna di origine rom è stata eletta parlamentare europea grazie a donne e uomini che l’hanno votata in un partito che si chiama Feminist initiative. Nel paese dove devo restare, l’Italia, un partito così sembra una barzelletta, i tentativi per eleggere una donna alla presidenza della Repubblica sono stati vani, nonostante la candidatura di Emma Bonino fosse tra le più autorevoli a livello europeo, e il dibattito sull’uso del femminile nelle professioni, così come nel discorso corrente, genera ancora fastidio, opposizione e sovente hate speech.

Nella stessa giornata nella quale è nato il nuovo soggetto a sinistra, con foto di famiglia dove gli uomini sono quattro ma nessuna donna, ci sono invece a destra due donne, una delle quali – Giorgia Meloni – diventa leader di un partito che si chiama Fratelli d’Italia. Interessante ossimoro, mi farebbero notare le mie amiche e colleghe europee: dove sono le donne a sinistra, dopo decenni di femminismo cresciuto soprattutto nell’orizzonte della sinistra, nel nuovo soggetto? Le donne, posso rispondere loro, non compaiono purtroppo nemmeno nel nome che è stato: Liberi e uguali. Libertà e uguaglianza. Due tra i concetti più importanti dai quali i movimenti femministi nel mondo partono per abbattere la prima, fondamentale iniquità del pianeta: il giogo patriarcale che ingabbia le donne e anche gli uomini, generando sessismo, sofferenza, ingiustizia, violenza. Perché libertà e uguaglianza non funzionavano come nome per il nuovo soggetto?

Perché scegliere di escludere il femminile neutralizzandolo nel (presunto) neutro maschile? Liberi, libere e uguali era troppo lungo? La stessa obiezione che si fa quando si chiede il doppio cognome (materno e paterno), con reazioni scomposte sull’insopportabile, insuperabile problematica che insorgerebbe nel firmare i documenti avendo più di un cognome? Oppure l’altra obiezione: c’è ben altro a cui pensare, quello che conta è il programma, il contenuto, non ne facciamo una questione di parole, di forma.

Ma se invece si trattasse di una questione di genere, che ancora fatica nel profondo a emergere a sinistra? E se esplicitare femminile e maschile sin dal nome del partito rendesse chiaro che la sostanza e la forma sono in sintonia, dando veridicità e concretezza al progetto, al di là delle enunciazioni? Che delusione, che fatica. A destra, le donne leader ci sono ma per guidare i fratelli neutralizzano le sorelle (e quindi se stesse). A sinistra, i leader sono tutti maschi, che con molte parole includono le donne, salvo poi, nel nominare la “cosa”, il femminile scompaia.  Tutto molto interessante, a ben vedere, poter studiare e raccontare un paese così pieno di contraddizioni e spunti. Peccato che, però, non lo posso fare da lontano, e che devo stare qui. (4 dicembre 2017)