Sono passati decenni da quando collettivi, gruppi, associazioni di donne, consapevolmente autonome da ogni altra formazione neutra-maschile, si sono nominate come protagoniste della politica. Ma quanto di questo protagonismo è stato riconosciuto? O per lo meno riconosciuto come avremmo voluto noi?E qui mi viene in aiuto il libro di Agnes Heller “{{{La bellezza della persona buona}}}”.
_ La rappresentazione di sé e la rappresentazione che l’altro fa di noi sono percorsi paralleli o trovano punti di convergenza? E quando questo incontro-scontro avviene quale spostamento produce? Sicuramente porta dei cambiamenti sia sul piano culturale che su quello dei comportamenti, non ultimi quelli politici propri della democrazia rappresentativa.

Partiamo dall’auto-rappresentazione. Un soggetto singolo o plurale si racconta in funzione all’immagine che vuole dare di sé e questa immagine è spesso legata al desiderio di soddisfare dei bisogni. Ma il dirsi non è cosa facile perché ogni soggetto è espressione di più identità che sottendono una pluralità di interessi.
_ Non è un caso che molti collettivi femministi si nominavano e si nominano tuttora con il nome del giorno in cui si riuniscono o facendo riferimento al luogo, alla via dove si ritrovano.
_ Un modo pratico per trovare un facile sintesi del proprio stare assieme. Per un occhio esterno questo diventa però una identità opaca a meno che il gruppo non si proponga in iniziative concrete.
È con il fare che emergono con forza i nostri desideri tanto che chi ne viene coinvolto può capire chi siamo e cosa vogliamo. Solo così si crea un rapporto, una comunicazione, ma non solo: ci può essere anche rifiuto e conflitto, in ogni caso ogni soggetto emerge a visibilità. E’ infatti nella relazione, anche conflittuale, che prende forma quella identità che un soggetto singolo o plurale vuol fare emergere come dominante.

Pensiamo all’identità femminista. Una identità nata in situazioni collettive di tipo fusionale dove le singole soggettività trovavano solo la forza del noi. cancellando o riducendo ai minimi termini l’io che veniva così giocato, e spesso messo allo sbaraglio, nella situazioni private.
_ Alcune rafforzavano il senso di sé, costruendosi anche forti identità soggettive, mentre altre venivano indebolite con la conseguente uscita dalla scena pubblica.

Il lavoro che molte donne hanno dovuto fare sia a livello individuale che collettivo, per decodificare identità posticce che erano state loro fatte indossare attraverso ruoli sociali ossificati nei secoli, le ha allontanate da un impegno politico-culturale sulla rappresentanza.

Parlare oggi di rappresentanze senza sciogliere il nodo all’auto-rappresentazione diventa estremamente limitativo se non impossibile. Ed è su questo punto che emerge la contraddizione che vede in Italia donne con altissime professionalità a tutti i livelli ma assenti, o quasi, dalle cariche politiche istituzionali. Un fenomeno che dice quanto la democrazia rappresentativa oggi sia in crisi.
_ Forse a questo punto va tenuto presente un altro fattore, quello televisivo, che ha inserito una disparità insostenibile sul piano dell’auto-rappresentazione e sulla rappresentazione di chi è tenuto lontano dall’arena mediatica Molti soggetti si vedono così o cancellati o riproposti come se la loro immagine uscisse da uno specchio deformante.

Altre arene, dunque, devono essere scelte. Sia utilizzando i luoghi naturali delle relazioni sociali sia utilizzando le nuove tecnologie.
_ Miscelando con sapienza queste due possibilità si può pensare ad uno spiazzamento di chi ha fatto della propria auto-rappresentazione un dictat. Queste crepe nella democrazia hanno indebolito la politica. Ma quando l’astinenza si prolunga per troppo tempo il bisogno, il desiderio di partecipazione si fa sentire, diventa impellente, si fa parola e azione. Su questo i luoghi delle donne hanno continuato a tessere reti e costruire parole individuando nuovi bisogni e rinnovati interessi.

Troppi luoghi della politica, invece non sono riusciti a fare questo cioè
ad individuare quei bisogni, quegli interessi, quei desideri capaci di essere denominatore comune di ampi strati sociali. Se 20 anni fa si diceva che erano più i benestanti che i diseredati oggi succede il contrario. Ma quando questi cambiamenti sociali sono segnalati dagli istituti di ricerca è già troppo tardi. Erano i luoghi della politica che dovevano registrare le avvisaglie, percepirne i sintomi. Su questo i partiti hanno inciampato. Sono stati non di rado solo dei portavoce di autarchiche auto-rappresentazioni; espressione di interessi di parte, privati o lobbistici.

Spesso noi abbiamo parlato di come le nuove tecnologie hanno inciso o incidono sulle nostre personalità cioè sui nostri desideri, bisogni, esigenze che non riusciamo più a percepire in termini di qualità ma di quantità. Ecco allora che si diventa contenitori passivi, si perde l’uso della misura, cifra necessaria per passare dalla quantità alla qualità.
_ Forse, con l’obbligo auto-imposto di un devi o non devi si può individuare di nuovo il centro morale di un’etica della personalità. Un comportamento che partendo da una scelta individuale deve avere però la forza di una legge universale, quasi una legge di natura necessaria alla sopravvivenza della specie.

Oggi, più che mai l’uso della ragione decostruisce ogni certezza che va però ritrovata, altrimenti vagheremo nel vuoto siderale del non senso. E’ come se venissimo gettate nel mondo in una busta senza indirizzo –dice la Heller- così ognuna di noi è costretta a scrivere questo indirizzo se non si vuole perdere. Nella modernità e nella post-modernità la nostra vita viene lasciata esclusivamente nelle nostre mani: una fatica improba. Una responsabilità individuale enorme.

Una sfida però da accettare. Allora, come passare dall’io al noi, dal particolare all’universale, dall’auto-rappresentazione alla rappresentanza senza che i due termini si confondano o si limitino reciprocamente. Se l’ingegno ha trasformato i saperi scientifici in tecnologia per esaudire i nostri desideri incontenibili così la nostra creatività deve saper trasformare le forme della politica per ridare qualità ai nostri bisogni.