Chi sono le ragazze che hanno ballato, quasi una danza del ventre, a Roma in piazza della Repubblica, in apertura della manifestazione del 24 novembre? E “le donne rom di Cesare Lombroso” che hanno firmato lo striscione di solidarietà con Emilia, la donna che chiamò i soccorsi per Giovanna Reggiani?Le abbiamo viste direttamente o la loro immagine ci è stata rimandata, insieme con brevi notizie, dalle foto pubblicate su alcuni giornali e su internet (in particolare dal sito www.donnatv.it nel suo ervizio “dedicato a chi non c’era”). Ma la risposta a questi interrogativi, la possiamo trovare nel {{libro “Chejà Celen. Ragazze che ballano” di Vania Mancini}}, presente al corteo con le chejà (ragazze nubili) e con le romnìa (donne rom).

Il libro, scritto insieme ad alcune ragazze Rom – con il supporto delle fotografie di Tano D’Amico –, vuole essere “testimonianza di un percorso che ha coinvolto ragazze Rom, operatori sociali e insegnanti in un’esperienza positiva di inserimento” nel {{progetto di scolarizzazione}} portato avanti insieme all’Arci solidarietà Lazio in collaborazione con il Dipartimento alle politiche educative del Comune di Roma.

Ma raccontare questa esperienza che parte dalla formazione di un laboratorio di diritto “{{diritto all’espressione e diritto alla legalità}}” – e in questo contesto del gruppo di ballo – vuol dire anche “descrivere un mondo nascosto nelle periferie di Roma che pullula di vita, un mondo diverso all’interno del nostro, dove tradizioni, usi costumi sembrano al di fuori di ogni tempo…”.

Il libro diventa anche il racconto di {{una esperienza di vita}}, quella che ha portato Vania Mancini a lavorare da una decina d’anni fra i Rom, prima nella zona di Tor de’Cenci e poi nel campo di via Cesare Lombroso a Monte Mario: una scelta che – come ci fa vedere l’autrice stessa – affonda le sue radici nell’origine molisana della sua famiglia, in una regione dove “da più di 500 anni , c’è un alto insediamento di famiglie Rom” e dove , durante il fascismo, esisteva – ad Agnone – un campo di internamento dove venivano richiusi e maltrattati i Rom.

Lavorare in un progetto di scolarizzazione vuol dire {{lavorare su due fronti,}} “creare un ponte culturale tra il campo e le istituzioni, tessendo continuamente una ‘ragnatela’ tra tutti i soggetti presenti nel territorio per fare incontrare e conoscere le culture diverse” ma anche fare i conti con tutte le difficoltà del giorno per giorno, dentro e fuori il campo nomadi, dalla mancanza della casa e dei servizi alle violenze nei rapporti familiari.

{{Il gruppo di danza “Chejà celen”,}} nato come laboratorio per consentire alle ragazze rom di esprimere a scuola se stesse e le proprie capacità facendo ricorso ad una loro tradizione – quella musicale e della danza – molto viva , si è poi espresso in vari spettacoli, nelle scuole e nelle feste interculturali sia a Roma che in altre regioni. Ha anche partecipato al festival internazionale di musica romanì di Lanciano (CH).

{{Vania Mancini}}, {Chejà Celen. Ragazze che ballano.} Fotografie di Tano D’Amico. Edizioni Sensibili alle foglie soc. coop., 104 pagine, ISBN 978-88-89883-10-5