Dietro ogni rapporto tra datrice e prestatrice di lavoro domestico
eritrea si dipana un filo invisibile che connette il mercato del lavoro
contemporaneo alla passata esperienza coloniale. È questo il risultato
teorico che emerge dal libro di Sabrina Marchetti. {{ {Le ragazze di
Asmara} }}.: lo studio, basato su interviste in profondità con donne
eritree arrivate a Roma negli anni sessanta e settanta, illumina con
fluidità narrativa il nesso di continuità tra padrona bianca e serva
nera nel passato contesto coloniale e tra donne italiane e migranti
globali, oggi.

Ispirandosi al sociologo francese Pierre Bourdieu, Marchetti parla di
«capitale culturale postcoloniale» come di una risorsa formatasi
dapprima nel contesto coloniale e poi rifunzionalizzata dai soggetti
migranti una volta giunti in Italia. Le abilità domestiche delle donne
eritree, acquisite durante la giovinezza, sono le articolazioni di
questo capitale culturale in cui caratteristiche di genere e di classe
si combinano con la «razza».
_ Come spiega una delle intervistate: «In
Italia a quei tempi questo lavoro non era ben visto per il popolo
italiano. Allora gli è stato facile di chiedere, per pochi soldi, le
ragazze dall’Eritrea! “Le ragazze di Asmara sono brave, sono
intelligenti, sono pulite”: questo sapevano!».

Se quindi tale
habitus viene messo produttivamente al lavoro nel contesto italiano,
parallelamente viene utilizzato dalle domestiche migranti come risorsa
di microresistenza quotidiana: il sapere e le abilità che queste donne
hanno accumulato sotto l’influsso dell’eredità coloniale si
converte in una narrazione utile a «sopportare le difficoltà» di un
lavoro stigmatizzato come «sporco», degradante e servile.
_ Da questo
punto di vista le eritree parlano di un legame privilegiato con gli
italiani, basato su una relazione di affinità; una relazione che
recupera e idealizza la servitù e l’intimità domestica coloniali,
dove le eritree «sono molto responsabili e fanno tutto senza dire
niente». Questo è il prezzo da pagare per esser accettate nella
cultura italiana, enfatizzando le somiglianze con gli italiani: «Per
tanti di noi eritrei, specialmente quelli che siamo arrivati prima, per
noi è la seconda patria, l’Italia. È simile il carattere tra
italiani ed eritrei e quindi è come se fosse… ci sentiamo in
Asmara!».

La postcolonialità emerge in questo modo nella sua ambiguità
intrinseca: le autorappresentazioni delle domestiche migranti se da un
lato ne hanno facilitato l’ingresso nella società degli ex
colonizzatori, dall’altro le hanno relegate nei suoi strati più
bassi. Le intervistate sono state profondamente segnate da questa
ambivalenza, in cui essere eritree era al contempo strumento di
microresistenza e ragione di subordinazione.
Più in generale { {{Le ragazze di Asmara}} } descrive una dialettica tra
servo e padrone, deprivata tuttavia delle sue potenzialità di
trasformazione. Si tratta di uno studio che apre ad ulteriori ricerche
su come fattori diversi legati all’identità dei lavoratori
transnazionali (postcolonialità, religione, costumi nazionali, profili
sessuali) possano esser utilizzati nel comando del lavoro, ma anche, si
spera, per la sua emancipazione.

Sabrina Marchetti, postdottoranda all’Istituto Universitario Europeo
(Fiesole, FI) si occupa di genere, migrazione e di lavoro di
cura/domestico in un’ottica interdisciplinare. Ha recentemente
pubblicato {Paid domestic labour and postcoloniality. Narratives of
Eritrean and Afro-Surinamese women} (Utrecht University, 2010). Per la
collana Sessismoerazzismo è suo il saggio “Essere fuori luogo in
Olanda. Lavoratrici domestiche migranti fra regimi migratori e regimi
di
welfare”, in Isabella Peretti (a cura di) {Schengenland. Immigrazione:
politiche e culture in Europa} (2010).

– Sabrina marchetti
_ {le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale}
_
Collana sessismoerazzismo, pagine 191, € 12,00