Le organizzatrici sono 4 reti di donne arabe e 3 europee: Antico, Ife, Heya, Owsa, Owfi, Act e Wilpf. Si parla di alternative, non di prospettive, perchè le oltre 50 donne che vengono da tutto il mondo con viaggi alcuni davvero rocamboleschi sono convinte che sia venuta l’ora di smettere di fare nuovi progetti, che semplicemente questi ci siano già, e sia il momento di metterli in atto. Colpisce, nella possibilità altissima di trovarsi in una babele, il fatto
che invece della babele come luogo della confusione, dell’incomunicabilità e
della distanza, ci si trova in una babele dove certamente le lingue, le
geografie, le provenienze culturali sono diverse, compresi i linguaggi del
corpo, ma al di là di queste distanze il clima è di straordinaria
condivisione. Anche quando scattano le reazioni, e i conflitti.

Ma facciamo un passo indietro.

Siamo al Cairo, una città tremenda se non siete abituate ad un traffico
continuo e ad un rumore assurdo di clacson che ti trapana le orecchie, e che
smette solo nelle sale chiuse delle costruzioni, siano esse hotel o bar o
case o musei, dove comunque il baccano non ti molla mai nemmeno lì, perchè
il condizionamento è a palla, gli uomini parlano a voce più alta che in
Italia, fumano tutti in modo incredibile e fanno capannelli in ogni dove, in
mezzo alla strada come negli spazi chiusi. Sulla tavola svolazzano i fogli
degli appunti, e quindi siamo costrette spesso a chiedere che venga spenta
l’aria forzata. Siamo al terzo piano del Supreme Council of Culture, a metà
tra un museo, un ministero e un luogo dove si svolgono convegni.

Qui si sta svolgendo uno strano atto di creazione, qualcuna tra le presenti
direbbe: una tre giorni dall’ambiziosissimo titolo [A global
conference-women and 21 century – feminist alternatives->http://www.equalityiniraq.com/activities/124-a-global-conference-women-and-the-21-century-feminist-alternatives].

Le organizzatrici sono 4 reti di donne arabe e 3 europee: Antico, Ife, Heya, Owsa, Owfi, Act e Wilpf.

Quindi si parla di alternative, non di prospettive, perchè le oltre 50 donne
che vengono da tutto il mondo con viaggi alcuni davvero rocamboleschi sono
convinte che sia venuta l’ora di smettere di fare nuovi progetti, che
semplicemente questi ci siano già, e sia il momento di metterli in atto.

L’intreccio tra l’arabo e l’inglese, le due lingue del convegno, non rendono
le cose facili, ma lo sforzo è quello di capire, capirsi, e, sorpresa, anche
di discutere i nuovi significati da dare alle parole che vengono usate.

La {{figlia di Nawal Al Sadaawi}}, rossa di capelli e svelta di lingua si
arrabbia: non è importante lottare per una maggiore rappresentanza in politica,-dice- ma bensì perchè la casa sia un luogo più equo, sicuro e
pacifico per le donne. {{Il potere vero, per lei, è quello dentro le mura
domestiche}}.
_ E basta anche nell’uso dell’inganno patriarcale messo in atto
quando le donne stesse si dividono in giovani e vecchie o parlano di fase primaverile e autunnale della vita. Lo dice alzando la voce, quasi con rabbia, davanti alla madre 83 enne, che la guarda divertita. Sua madre, un monumento vivente del femminismo mondiale, che poco prima ha ricevuto due standing ovation dalla sala, e che ha presentato sia la figlia che l’uomo della sua vita, (che definisce un amico, oltre che compagno di vita), che è anche uno dei motivi per i quali i fondamentalisti egiziani le hanno giurato
la morte: non è sposata.

{{Nawaal}}, in abito nero sul quale porta una sgargiante giacca rossa, capelli bianchissimi che sfuggono da tutte le parti pur arrangiati in uno chignon, sorridente e generosa con chiunque le voglia scattare una foto, abbracciare, o solo sfiorare con la mano, tiene un discorso in arabo, salutando quello che definisce “il primo evento che si fa nel mio paese al quale mi invitano.
_ In Egitto nessuno pronuncia il mio nome, è come se non esistessi,e quando mi hano nominata è stato per cercare di distruggermi-scandisce-. Io piango
spesso, perchè nella mia vita ho sofferto molto, ma oggi ho pianto di gioia
pensando che sarei stata con voi”.

Vibrante, incredibilmente energica come solo le donne oltre gli 80 anni
sanno essere (per fortuna noi in Italia abbiamo esempi come Lidia Menapace e
Giancarla Codrignani solo per citarne due molto care e vicine) Nawal declina
le sue priorità politiche, e definisce il femminismo il vero umanismo, e il
pensiero politico che unifica tutte le grandi utopie: quella socialista,
quella pacifista, quella nonviolenta, quella anticapitalista. Il vero
obiettivo comune da raggiungere è quello della solidarietà tra le donne, una
solidarietà politica nella quale si esaltino le cose che ci uniscono e si
continui a lavorare su ciò che ci divide.

E’ chiara sulla {{questione del velo e della religione}}: ogni religione è un
luogo di schiavitù per le donne, nella storia antica come nell’oggi. E poi
un’altra, importane puntualizzazione, sollecitata anche dall’intervento
critico di Houzan Mahmoud, attivista e scrittrice curdo-iraniana nei
confronti della relazione della statunitense Miriam Cooke.

Nella sua relazione la nordamericana definiva che ‘femminista islamica’ una
attivista vissuta negli anni ’30: sia Houzan che Nawall sostengono con forza
che convalidare la divisione tra femministe declinate come occidentali,
musulmane, cristiane o altro è offrire strumenti di legittimazione al
movimento delle donne come il motore principale del cambiamento universale e
globale per tutta l’umanità.

“Quando ero molto piccola,-racconta Nawaal, e mi fu insegnato che le donne
per volere di Dio si dovevano considerare diverse e ineguali rispetto agli
uomini, scrissi una lettera a Dio, nella quele gli chiesi perchè a causa del
mio corpo dovessi avere meno diritti dei maschi. Non rispose, quindi
diventai femminista”.

Il femminismo deve parlare con la voce delle donne che lottano per il
cambiamento, per l’umanizzazione dell’intero pianeta, e per diritti umani
femminili come universali e imprescindibili.

{Universal rights are basic for democracy,anche women’s rights are the base
of them}”: è un confortante concetto,questo, sul quale il consenso è unanime,
e in tempi di relativismo culturale e politico,anche e soprattutto a
sinistra, sentirlo scandire da attiviste di tutto il mondo non è poco.

A questo proposito estremamente interessante è la provocatoria e interattiva relazione di {{Drude Dalerup}}: questa svedese scattante e simpatica fa saltare tutte sulla sedia con il suo power point sulla rappresentanza politica e l’annoso problema delle quote, controverse, amate e odiate, ma delle quali tocca comunque parlare.
_ Nel 1997, due anni dopo l’assise di Pechino, il
paese nel quale la rappresentanza politica era più alta nel mondo era la
Svezia, con il 48% di donne nel parlamento. Oggi, nel 2010, il paese con il
più alto numero di donne in politica è il Ruanda, con il 56%,mentre la
Svezia, buona seconda, vanta solo un 45%.
_ La domanda di fondo è {{se le quote,
da sole, garantiscano una democrazia di genere}}: la risposta è che nel mondo globale non bastano solo i numeri, che pure contano, perchè se le donne che rappresentano il genere femminile sono come Condoliza Rice o Margareth Thathcer il cambiamento con buona evidenza non c’è.

“Non voto una donna perchè è una donna, dice Nawaal: voto una donna o un uomo intelligente”.

E Drude Dalerup sfata anche quello che chiama ‘il mito originario’: che le donne non votino le donne. Non è questo il problema principale, né quello che i club maschili e patriarcali siano forti e indistruttibili, sostiene: {{il vero punto è che gli uomini non votano le donne}}, e che quando c’è da
puntare su un essere umano per rappresentare gli interessi collettivi gli
uomini non pensano ad una donna come candidata, e quindi nemmeno le donne si
autorizzano a farlo.

E se è vero che “{free choice is really freedom}”, la possibilità di scegliere
liberamente è libertà, il problema da cui partire è che “ the so called free
market is non really free”,{{ il cosidetto libero mercato non è davvero
libero}}, e che in questo mercato regolato dalle logiche del capitale e del
neoliberismo non può esserci una scelta davvero libera, non solo per le
donne, ma per ogni essere umano.

Dopo un esordio così ricco, del quale ho narrato solo una piccola parte, a domani per l’aggiornamento.