Parole come integrazione e multiculturalità sono tornate sulla scena mediatica, perché la ministra Kienge le usa spesso nei suoi itinerari e apparizioni televisive. Lei dice di volere una società multiculturale e una perfetta integrazione degli emigrati. Non ci si può limitare al fascino delle parole e sorvolare sia sui significati sia sui contenuti.Integrarsi come? Rispetto a che cosa? La multiculturalità è tale perché sul suolo italiano ci sono, ci saranno, cittadini/e di una varietà infinita di origini nazionali diverse? Oppure, vuol dire che lo Stato deve far posto alle diverse culture di provenienza, senza interferire? Ma le culture di provenienza sono tali e quali, sia per i migranti giunti da noi adulti ,sia per i loro figli nati e/o cresciuti sul suolo italiano? Per culture cosa s’intende? Norme, valori comunitari, riti religiosi, costumi, ecc.?

Un giovane deputato del Pd di origini marocchine, ha chiesto che alla mensa della Camera si contempli cibo adatto ai musulmani. Un po’ come accade nelle mense delle scuole senza tanti problemi. Poi ha chiesto anche la presenza di un imam accanto al prete cattolico. E’ un praticante e osservante musulmano e pertanto reclama il rispetto della sua posizione cultural-religiosa.

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Adele Cambria}}, grande penna che ha anche scritto un bel libro intitolato “{Istanbul, il doppio viaggio}” (ed. Donzelli, 2012), in un articolo ( La Repubblica, venerdì 9 agosto, 2013), racconta che le sue amiche scrittrici turche sono molto allarmate, perché temono che la politica di Erdogan cancelli Ataturk. Rispetto a che cosa? Ataturk, dicono le amiche di Adele Cambria, operò dei cambiamenti enormi rispetto alla vita delle donne. Un’altra amica racconta che ha visto, durante le recenti manifestazioni di piazza, fondamentalisti dell’AKp, il partito di Erdogan, accoltellare i giovani al grido di Allah è grande. E la polizia stava a guardare.

Sappiamo che Morsi, deposto dai militari in Egitto, vicino ai Fratelli Musulmani, aveva imposto restrizioni in nome della legge coranica, soprattutto a danno delle donne.
In Pakistan continuano gli attacchi punitivi alle scuole, dove studiano le bambine.

Le culture, per motivazioni politiche e non, oscillano continuamente tra il polo del cambiamento evolutivo e il polo della tradizione intransigente. {{Le conquiste non sono tali per sempre.}}

Ma in alcuni Paesi a tradizione islamica, come nel Magreb, le donne hanno fondato delle associazioni femministe islamiche per chiedere dei cambiamenti, o difendere i punti di arrivo; come nel Marocco con il nuovo diritto di famiglia.

{{Amina Sbou }} anni 19, nota come Amina Tyler, è una giovane che è stata incarcerata in Tunisia per aver scritto “Femen” sul muro del cimitero di Kairouan, città sacra all’Islam. Lei, tunisina, fa parte del movimento fondato a Kiev, in Ucraina nel 2008 che utilizza {{la pratica del seno nudo }} nelle manifestazioni.

Esporre il seno in una foto postata su Facebook come aveva fatto alcuni mesi prima, è {{un atto intollerabile per la cultura islamica}}. Se poi ci si aggiunge un libro nella mano destra, nell’altra la sigaretta, e sotto la scritta “il mio corpo mi appartiene e non è l’onore di nessuno, al diavolo la vostra morale”, si ottiene il massimo della provocazione.

Nelle manifestazioni femministe in Italia uno slogan diceva: “il corpo è mio e me lo gestisco io”. Era stata anche quella una solenne provocazione e affermazione di libertà, in un Paese che conosce e venera il corpo verginale della Madonna offerto al volere dello Spirito Santo; e che ha incastrato le donne nel destino del materno.

E’ immaginabile in Italia, nell’anno in corso, una ribellione simile a quella di Amina da parte di ragazze “seconda generazione”? Dove per “seconda generazione” s’intende giovani nati e cresciuti in Italia, o in Italia giunti bambini ma figli di emigranti?

I migranti arrivano con il loro bagaglio culturale caricato sul carro della speranza di una vita migliore. Nella terra del sogno avvertono subito l’urto con un ambiente diverso e spesso ostile. {{La nostalgia per il mondo dell’origine si mescola alle difficoltà reali}} e spinge a enfatizzare valori, rituali religiosi, comportamentali e normativi delle comunità di appartenenza.

Nella terra dell’emigrazione {{si rinserrano le fila}} anche per sentire nella propria pelle e nel proprio pensiero, la continuità con il mondo lasciato temporaneamente o per sempre. Le comunità parentali e religiose, hanno il compito di limitare i confini identitari rispetto a quel fuori che sono gli autoctoni accettanti o ostili. E’ compito delle donne, del loro corpo che genera e nutre, rendere visibili quei confini con i comportamenti e l’abbigliamento. E’ compito degli uomini imporre, sorvegliare e punire coloro che contestano. E’ {{il ruolo ritenuto naturale delle donne}} assicurare, con l’integrità del corpo, l’onore delle famiglie.

Gli uomini possono “integrarsi” rispetto all’abbigliamento, assumendo quello europeo. Le donne di certe etnie e religioni (per es. l’Islam), devono invece esibire il confine, la differenza, anche con il loro abbigliamento, anche con il comportamento pudico.

Quando si tratta del cibo puro o impuro, come il maiale e il vino per i musulmani, non è certo difficile variare l’alimentazione nelle mense scolastiche e parlamentari. Ma quando sono le donne a dover rappresentare il valore della dicotomia puro/impuro con il loro comportamento e abbigliamento? Se non addirittura con il corpo ferito dalle mutilazioni genitali?

Le culture sono sottoposte all’evoluzione per via dei contatti con altre culture. E, dunque,{{ la parola “multiculturalismo” }} è adatta al punto di partenza, d’innesto di una cultura in un contesto altro al momento dell’arrivo, perché in seguito in qualche modo avverrà una sorta di ibridazione.

Anche perché le{{ “seconde generazioni”}} si collocano necessariamente a cavallo di due culture, quella dei genitori e quella del Paese di nascita e/o di crescita.

Come mai invece sono rare le contestazioni venute alla luce, delle giovani donne alle loro famiglie? Qualche anno fa nel corso di un’intervista a una professoressa di un istituto professionale, appresi che accadeva che alla fine dell’anno scolastico qualche giovane si confidasse chiedendo aiuto: non volendo obbedire ai genitori, ai fratelli, alla comunità e raggiungere durante l’estate il Paese di origine per un matrimonio combinato.

Durante questa estate rovente mi è accaduto di ascoltare un sindaco Pd raccontare, in un sit in antirazziale e di solidarietà alla Kienge, le numerose e belle iniziative per l’”integrazione” nelle scuole ecc., ma senza un cenno alle differenze di genere.

Quanti sanno, o vogliono sapere che, per esempio, {{la realtà è fatta di ragazzi/e autoctoni e di origini straniere}} che in classe stanno insieme, meno durante la ricreazione, per niente per la strada?

Mi piace anche pensare che prima o poi la ministra si accorga che il suo frequente uso della parola persona equivale a dire uomo intendendo anche la donna. Come sostiene il filosofo {{Roberto Esposito}} dire persona significa negare il corpo, l’essere femmina e maschio creando e supportando norme apparentemente neutre.