Domenica romana assolata e affollata quella del 1 giugno che ha visto l’incontro, nella Casa internazionale delle donne, di più generazioni femminili su invito dell’Udi, in occasione del Settantesimo della Resistenza, presenti tre “madri della Repubblica” – Lidia Menapace, Marisa Ombra, Vera Michelin Salomon – e Laura Boldrini Presidente della Camera dei Deputati e delle Deputate; non sarebbe male introdurre la doppia citazione anche se la presenza femminile attuale è al 30%! Sempre meglio, ha commentato {{Laura Boldrini}}, del 15% del Parlamento Usa. “Abbiamo fatto molto strada” ha detto “non tutta. Molte in questa sala, me compresa, si sentono perfettamente in grado di competere con gli uomini sotto ogni aspetto, tuttavia anche se non sono mai stata affezionata alle quote di genere, specie se definite quote rosa, le considero un male minore rispetto alla maturazione della nostra società”.

{{Francesca Koch}}, presidente del Consorzio Casa internazionale delle donne, dopo aver ricordato la campagna on-line con [astag {“le donne resistono”},->http://www.casainternazionaledelledonne.org/index.php/it/progetti/ledonneresistono] ha introdotto i temi della libertà e della democrazia ereditati dalla Resistenza e della gratitudine e della riconoscenza verso chi ha saputo concepire tali pensieri e sentimenti in piena dittatura e opporsi a chi opprimeva la popolazione e agiva contro l’umanità. Ha ringraziato, chiedendo il permesso di farlo ‘con affetto’ le tre ‘madri’ e le tante come loro, note o sconosciute, che “ci hanno consegnato un’idea di politica che non espelle corpi e cuori” e ci hanno insegnato a resistere e a puntare sul futuro.

“Le donne ci sono, ci sono sempre, ci sono ovunque in tutte le situazioni” ha sottolineato{{ Boldrini}}, nel riferirsi anche ad esperienze vissute come portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Ha citato le cifre della Resistenza al femminile fornitele dall’Anpi – 35.000 partigiane combattenti; 4600 arrestate, più di 2000 torturate, 1070 cadute in combattimento, oltre alle cifre spaventose delle deportazioni e delle stragi – e ha ricordato che l’Anpi stessa “si è interrogata sulla mancata rielaborazione, ammettendo di non aver capito fino in fondo il ruolo avuto dalle donne”.

Nel ribadire la necessità di alimentare i temi della Resistenza, costitutivi della nostra Repubblica, cui le donne hanno tanto contribuito, la Presidente della Camera ha parlato della necessità “di creare figure di riferimento che possano interloquire con i territori e nelle istituzioni” per conservarne la memoria, nelle generazioni.
Ha anche citato {{Carla Capponi}}, medaglia d’oro al valor militare, esponente dei Gap (Gruppi di azione patriottica) e partecipe il 23 marzo del 1944 all’azione di Via Rasella contro una colonna di soldati tedeschi cui fece seguito, per rappresaglia, l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Deputata del Pci, Carla Capponi, scomparsa nel 2000, ha lasciato il suo testamento politico nell’autobiografia {Cuore di donna } (il Saggiatore, 2000).

Con un gesto molto significativo, Laura Boldrini ha concluso leggendo una frase della prima donna intervenuta alla Consulta Nazionale: {{Anna (Angela) Maria Guidi }} {{Cingolani }} (cattolica del Movimento nazionale pro suffragio femminile, co-fondatrice del Comitato nazionale per il lavoro e la cooperazione femminile e dell’Associazione nazionale delle professioniste ed artiste, madre costituente, prima deputata (D.
C.) a reggere un sottosegretariato ministeriale, infine Sindaca e Medaglia d’oro per l’attività politica):

“Colleghi Consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna che per la prima volta parla in quest’aula. Non un applauso dunque per la mia persona ma per me quale rappresentante delle donne italiane che ora, per la prima volta, partecipano alla vita politica del paese (…) Ardisco pensare, pur parlando col cuore di democratica cristiana, di poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di donne; credo proprio di di interpretare il pensiero di tutte noi Consultrici invitandovi a considerarci non come rappresentati del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e cavalleria di altri tempi, ma del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con vioi, con voi ha sofferto, a resistito, ha combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse ma talvolta simili alle vostre e che ora con voi lotta per una democrazia che si alibertà politica, giustiza sociale, elevazione morale (…) è mia convinzione che se non ci fossero stati questi 20 anni di mezzo (ndr. Fascismo), la partecipazione della donna alla vita politica avrebbe già una storia.” ( ‘{Le donne e la Costituzione}’, 22-23.5.1988, Camera dei Deputati)

Concetti che furono ripresi da {{Nadia Gallico Spano }} nella prima celebrazione dell’8 marzo a Montecitorio, anticipata da quella del 1943, a Torino, organizzata dai Gruppi di Difesa della donna e da quella “del 1944 nelle fabbriche dell’ancora occupata Italia del Nord con brevi fermate delle macchine, rapide riunioni, distribuzione di volantini.” ( “{Il contributo delle donne alla lotta di liberazione}”, 6.4.1974, Regione Piemonte).

Il lungo e faticoso percorso che ha portato le donne al voto dopo una serie d’insuccessi (es. il ‘suffragio universale’ della Repubblica Romana del 1849; il voto amministrativo due volte bloccato da Crispi; il suffragio universale nella brevissima città-stato fondata da Gabriele D’Annunzio a Fiume durante la sua Reggenza Italiana del Carnaro del 1920; il voto amministrativo sotto il Fascismo ottenuto nel 1925 e abolito nel 1926) ha contato un episodio che {{Laura Boldrini}} ha rivelato con plausibile orgoglio marchigiano: “la decina di maestre che nel 1906 ottennero l’iscrizione nelle liste elettorali di Ancona, finché la Cassazione tolse loro la titolarità di voto.”

Il ricevere a casa, a fine guerra, la scheda per le elezioni amministrative del Regno d’Italia, fu per le Italiane un’emozione fortissima oltre che un evento memorabile, come sottolineato dall’astigiana{{ Marisa Ombra}}, vice Presidente nazionale dell’ANPI, pilastro dell’Udi e dei suoi Archivi nazionali, nominata Ufficiale della Repubblica e autrice di {Libere sempre. Una ragazza della Resistenza a una ragazza di oggi} (Einaudi, 2012).

Marisa Ombra, partecipe dei Gruppi di Difesa della donna, ha iniziato la sua attività di ‘staffetta’ a 18 anni; quando si è presentata, le è stato chiesto se volesse fare lavoro politico o lavoro di supporto. “Non sapevo bene di cosa parlassero, perciò ho risposto ‘tutte e due’!” L’ovazione che ha risposto a questa confidenza, si è ripetuta più volte nel corso del convegno quando le intervenute offrivano squarci di vita privata, di sentimenti intimi con una semplicità e serenità incredibile per chi ascoltava vicende impegnative e tragiche come quelle. Marisa Ombra ha messo al centro l’insospettabile formazione politica, diffusa, che le donne ‘semplici’ come la trentina di donne di Agliano contattate dai Gruppi di Difesa, erano in grado di tradurre in domande cui lei stessa faticava a rispondere e ancora oggi di estrema attualità: Cosa sono i partiti? Perché ci sono? Come si riconoscono? Cosa significa votare? Donne sopravvissute alle devastazioni della guerra, alla fame, alle malattie, spesso analfabete, avevano saputo cogliere l’essenza della Resistenza e vi contribuivano generosamente, partecipando ai Gruppi formati da donne di età, estrazione, fede, pensiero politico diverso, per far fronte alle mille incombenze della Resistenza, tenere i collegamenti, tessere una rete di sostegno pagata anche violenze e con la vita.
Nulla era minimale nel fare ‘la staffetta’, attività quasi precipua delle donne, e in tante, in troppe, a guerra finita, sono state, insieme ai Gruppi, completamene misconosciute e cancellate, come i portati teorici femminili nell’antifascismo, le idealità che hanno spinto tante donne prima nella Resistenza e poi a partecipare in massa al referendum istituzionale, a sostenere le Consultrici in cui si sentivano veramente rappresentate e seguire la Costituente; nulla sarebbe potuto avvenire se le donne avessero realmente aderito al modello fascista in cui erano, nella maggioranza, cresciute. Si deve loro, oggi, il riconoscimento di un bisogno irrinunciabile anche se inespresso alla libertà e la capacità di avere, da giovanissime, saputo guardare e vedere le sofferenze del loro mondo. Si deve loro uno sguardo diverso e distinto dalla narrazione ufficiale che parla e si rappresenta sempre al maschile e le inghiotte in un silenzio astorico e sessista, facilitato dall’innata modestia femminile, dall’urgenza di voltar pagina per dimenticare gli orrori e le fatiche e il sangue della guerra; dalle pressanti incombenze del ritorno dei reduci, dalla conta dei morti e dei dispersi, e della ricostruzione: dall’autocensura basata sul non riconoscimento del proprio valore che è un portato peculiare della subalternità, tale da annullare tante ‘madri’ della rinascita del Paese e della vita democratica eliminate anche dai libri di scuola.

“La Resistenza morale e la Resistenza politica sono state troppo spesso declinate solo come Resistenza armata e solo al maschile” ha ribadito {{Vittoria Tola}}, Responsabile nazionale Udi, che ha ricordato il basilare e ventennale impegno di Anna Bravo di ricostruzione della memoria collettiva con gli Archivi dell’Udi, scrigno esemplare.

A rompere il silenzio, riportando le donne “resistenti e resilienti” a una nuova storia, è stato lo sguardo nuovo e rivoluzionario con cui le politiche delle donne degli anni Settanta hanno guardato al mondo indagando l’oltre e il diverso, scoprendo il bisogno e il rispetto di genealogie femminili per ridefinire l’identità e riscrivere la storiografia alla luce del genere, dando cioè spazio alla molteplicità e alla pluralità dei soggetti. Ne ha parlato {{Cecilia d’Elia}}, Consulente del Presidente della Regione per le politiche di genere, sottolineando il valore aggiunto che il recuperato apporto femminile ha dato alla verità della Resistenza, ineludibile per la costruzione di una democrazia compiuta e di solida memoria non sessista per il Paese.

Di quell’esperienza, nelle giovani partigiane l’idealità si mescolava al senso di una nuova libertà personale, alla rottura delle regole per le esigenze della clandestinità e degli spostamenti delle ‘staffette’ e la consapevolezza del pericolo non eliminava la gioia dell’esserci e del fare, l’avventura di una partecipazione in cui spesso l’intuizione, l’improvvisazione, persino all’ingenuità, poteva salvare la vita.

Anche lei giovanissima e anche lei piemontese, di Novara,{{ Lidia Menapace }} ha sorriso ricordando il brevetto di “partigiano combattente” con “congedo illimitato” che le è stato consegnato dopo la guerra.
Il suo impegno nella Resistenza e poi nella Repubblica è sempre stato caratterizzato dal rifiuto di usare delle armi, “inizialmente dettato dalla paura di farmi male, poi dalla consapevolezza di non voler ferire e uccidere nessuno, di voler rispettare anche il nemico nella sua umanità.”

Saldamente ancorate a politiche di libertà, laicità, democrazia, ripudio della guerra che la grande pacifista{{ Berta Von Suttner}} (Premio Nobel per la pace,1905), espresse nel “{Giù le armi, fuori la guerra dalla storia}” (1889), scritto durante i venti di guerra tra Austria e Russia, possono dirsi impersonate da Lidia Menapace che in tutta la sua lunga esperienza politica, nella Resistenza e nella Repubblica, ha sempre fatto da punto di riferimento per i principi ispirati alla pace fattiva, da perseguire attraverso la diplomazia; principi che con la sua partecipazione alle istituzioni e ai movimenti sono tracimati nelle tante realtà femminili, l’Udi e altri gruppi donne e movimenti di cui è partecipe e/o ispiratrice. Parole scritte con gesso bianco sulle ‘manine’ delle Donne in Nero e rilanciate dalle Reti delle donne contro la guerra, nelle loro tante varianti e specificità; sua la proposta di una ‘convenzione’ in un momento difficile delle relazioni tra i femminismi.
{{
“Fuori la guerra dalla storia ma anche fuori la guerra dalla storiografia”}} ha affermato Menapace, tra gli applausi, in una Casa internazionale delle donne di cui ha partecipato all’iter costitutivo, ricoprendo anche una delle prime co-presidenze dell’Affi. Riprendendo il tema della partecipazione basilare e diffusa, ben oltre il visibile, delle donne alla Resistenza, ha ricordato le parole di Sandro Pertini, “il guerrigliero è un pesce che nuota nel popolo” non potendo esistere una Resistenza senza il popolo di cui le donne erano la parte maggioritaria, protagoniste di una storia grande costruita di giorno in giorno, percorrendo lunghe distanze a piedi o in bicicletta anche per procurarsi il preziosissimo sale, e sempre affrontando il nemico in un ‘modo diverso’.

Ne ha fornito un esempio citando la sua amica ‘Nicoletta’ incaricata di sorvegliare un prigioniero tedesco il quale, liberato e in servizio nelle carceri di Torino, quando a sua volta l’ebbe prigioniera, nella notte le mise vicino una tazza di cioccolata. Un gesto impensabile e muto, ma iscritto nella consapevolezza che, seppure ostili, entrambi riconoscevano la rispettiva umanità. Nel suo ultimo libro “Io partigiana. La mia resistenza” (Manni, 2014), si leggono storie non scontate ma è chiara anche l’accusa “che se gli ideali della Resistenza trovarono un forte seguito nella Costituzione, furono poi traditi nella storia reale dell’Italia.”

Come quelle tre ‘madri’, nell’apparenza dolci e fragili, hanno potuto superare l’insoffribile e raccontarlo con estremo pudore, con la parsimonia e la prudenza di {{Vera Michelin Salomon}}?
Nata a Carema (Torino) da famiglia in cui la madre e il padre erano entrambi ufficiali dell’esercito della Salvezza, Vera Michelin Salomon fu introdotta a Roma, dall’amica {{Enrica Filippini-Lera,}} negli ambienti antifascisti e fece la Resistenza non armata nel Comitato studentesco di agitazione che distribuiva materiale antifascista e antinazista davanti alle scuole all’università e boicottava lezioni ed esami. Insieme ad alcuni compagni della sezione clandestina del Pc, le due amiche furono arrestate dalle SS (14 febbraio 1944), ma solo Vera fu trattenuta nelle tristemente famose celle degli interrogatori a Via Tasso per poi raggiungere Regina Coeli ed essere processata e condannata, insieme a Enrica, dal Tribunale Militare Tedesco, a tre anni di carcere duro in Germania. Prima della partenza, fu testimone oculare della selezione per le Fosse Ardeatine in cui fu trucidato anche uno dei ragazzi della loro sezione che pure era stato giudicato innocente, Paolo Petrucci.
Raggiunta Stadelheim (Monaco), in camion e poi in carro bestiame, le due deportate finirono a Frauen Zuchthaus di Aichach (Alta Baviera) dove furono liberate l’anno dopo dagli Americani (29 aprile 1945).

Come hanno potuto resistere? “Vivendo giorno per giorno” è la risposta di Vera. Le due amiche aderirono all’ANED, di cui oggi Vera presiede la sezione romana, associazione che “contribuisce a tenere vivo il ricordo delle responsabilità del fascismo e del nazismo nel disastro della guerra e nella persecuzione degli innocenti e onora la memoria delle migliaia di donne e uomini italiani che hanno combattuto e pagato, spesso con la vita, la dignità democratica del nostro Paese.” Ma, come ha sottolineato, “raramente viene consultata” questa terza, ma non ultima ‘madre’, che ha fornito ulteriori elementi di riflessione nel segnalare, con estrema parsimonia e precisione, che molta verità sta in “ciò che non si dice”, nelle omissioni su quanto avveniva “fuori e dentro i campi di sterminio”, sulle divisioni, sulle graduatorie, sull’estremo “dolore di un mondo di cui di solito non si affronta la complessità.”

Il convegno romano, terminato con la proiezione del film “Staffette” di {{Paola Sangiovanni}} (2006), e promossoe dalla Casa internazionale delle donne, dall’Udi, dal Museo storico della Liberazione – Via Tasso, dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, con il patrocinio della Regione Lazio e di Roma Capitale, è stato {{[il primo di quattro incontri previsti a giugno nella Casa internazionale delle donne->http://www.casainternazionaledelledonne.org/userfiles/programma_giugno_ultimo.pdf]}}, con presentazioni librarie, la mostra “Donne resistenti nella città prigioniera” con la proiezione di “Le donne e la Resistenza” di Liliana Cavani, e una rassegna di documentari sempre sul tema della Resistenza (info: www.casainternazionaledelledonne.org).
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immagine da}[ evelinademagistris.it->http://www.evelinademagistris.it/2011/04/23/la-resistenza-delle-donne/]