Un’occasione d’approfondimento e di scambio L’identità dentro, incontro promosso dall’Associazione Paese delle donne nella Casa internazionale delle donne (14 ottobre), e patrocinato da V.i.s.e.s. – Onlus: Volontariato per lo sviluppo economico e sociale (Roma) e dal Centro studi Albert Schweitzer – Centro culturale evangelico (Trieste).
Giuseppina Rajko, Vice Presidente della Regione Istria (Croazia), ha sottolineato il valore di un’iniziativa che uscendo dagli schemi ha preso spunto dagli straordinari personaggi femminili di Fulvio Tomizza, raccolti nel libro curato da Irene Visintini e Isabella Flego (Le figure femminili nella narrativa di Fulvio Tomizza, Comunità italiana ‘Fulvio Tomizza’ di Umago ed Edit, Fiume, 2013), per parlare di pace e convivenza nelle diversità; valori che hanno ispirato la vita l’opera dello scrittore istriano e sulle donne, concrete e letterarie, di quella terra travagliata in cui l’Esodo e le sue lacerazioni sono un tassello ineludibile della storia locale, italiana ed europea.
Donne i cui vissuti e il cui protagonismo aiuta a conoscere meglio il contesto geo-politico di una terra di confine, problematica ma vitale come solo quelle similari possono essere state e/o essere.
La Vice Presidente Rajko ha parlato dell’importanza della letteratura ‘di frontiera’ di Tomizza e del protagonismo che le Istriane hanno sempre avuto e hanno nella famiglia e nella società; dopo di lei, ribadendo quanto la letteratura possa fare nello scambio e nella comprensione reciproca, è intervenuta Marianna Jelicich Buic, responsabile della Cultura della Giunta dell’Unione Italiana/Italijanska Unija in rappresentanza del gruppo nazionale italiano in Istria, Fiume, Dalmazia, l’unica minoranza italiana all’estero in Slovenia e Croazia.
L’Istria, bilingue (italiano-sloveno), ed è una delle zone d’Europa dove l’uso consueto dei dialetti contribuisce a mantenere vive alcune tradizioni; un’inquadratura geo-politica e una rivisitazione del femminile nel passato e nel presente è stata fatta, in apertura, dalla Prof.ra Giusy Criscione, ideatrice e curatrice della mostra (con catalogo), La donna in Istria e in Dalmazia nelle immagini e nelle storie (Roma, 2005), promossa dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd-Roma), e patrocinata dall’Associazione Comunità di Lussinpiccolo (Mali Lošinj), dall’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata e dall’Associazione delle Comunità istriane.
Mostra in sette sezioni (Donna e il mare, Donna e madre, Donne al lavoro, Donne illustri, L’esodo, Costume e costumi, Ritratti e tipi), con ricco materiale cartaceo e fotografico di vari Istituti (es. Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – Fototeca, Musei Civici di Storia, Arte e Tradizioni popolari di Trieste) e di privati: es. Fondazione Scaramangà di Altomonte (Ts), varie Collezioni triestine (es. Neera Hreglich, Mario Froglia, Rosanna Turcinovich Giuricin) e romane (es. Giovanna Stuparich Criscione).
Criscione ha evidenziato il ruolo, nel sociale e nel privato, delle donne di quelle terre descrivendone i costumi, gli ambienti e i lavori domestici e i tanti mestieri oggi scomparsi: le Sessolotte mondavano con una piccola pala ricurva (la sessola), le merci coloniali (caffè, gomma arabica, incenso, pepe, ecc.), giunte nel ‘porto franco’ di Trieste aperto sotto l’Impero Austro-Ungarico e passato al Regno d’Italia; le Venderigole vendevano insalata nei mercati; le Mandriane vendevano latte, uova e ortaggi; le Breschizze (contadine slave del Carso), i prodotti dei loro orti e frutteti; le Pancogole (dal latino panis e coquere), vendevano la domenica, davanti alle chiese, pani bislunghi (pan de biga), fatti in casa secondo una tradizione citata già negli Statuti comunali triestini (XIV sec.) che imponevano “l’uso di farina del Comune e cottura dal fornaio” (da Liliana Bamboschek, Catalogo); le Salinere iniziavano da piccole la durissima vita nelle saline dove le donne portavano ampi cappelli di paglia e trasportavano sulla testa enormi cesti di sale (il mandracchio), sovente scandendo il tempo con delle apposite canzoni.
Lavoro duro era anche quello delle Tabacchine nelle manifatture (principali) di Rovigno (Manifattura Tabacchi Orientali) e Zara (Manifattura di Fiume). “La possibilità di un sicuro guadagno era stato il seme dell’emancipazione della donna in una società strutturata rigidamente da secoli secondo categorie precise: contadini, pescatori, artigiani. A un secolo dal ‘fischio’ che le chiamava al lavoro, la ‘manifattura’ di Rovigno fu trasferita a Canfanaro, nell’Istria interna, contribuendo al tramonto di un mondo ricco di vicende e aneddoti di autentiche colonne, le donne, della vita istriana.” (da Rosanna Turcinovich Giuricin, Catalogo).
Molte le attività ricordate legate al mare, alla pesca e al remo come testimoniano le fotografie di gruppo: es. bagnanti a Sagasignine (1914); socie dell’Associazione “Carità e Lavoro” (Lussimpiccolo, 1914) in piccole barche (caicio).
Giusy Criscione ha accennato alla venerazione istriana per Sant’Eufemia (Calcedonia, 290), titolare, dal IV secolo, della basilica di Parenzo e il cui nome è comune tra le Istriane. Agiografia vuole che il suo sarcofago, scomparso da Costantinopoli nel periodo iconoclasta (IX secolo), sia ricomparso “come una nave di pietra bianca” davanti a Rovigno di cui divenne la patrona, sostituendo S. Giorgio.
Criscione ha in ultimo sottolineato la peculiarità e l’importanza della tradizione letteraria istriana e dalmata, lei stessa nipote, per via materna, di Giovanni Domenico (Giani) Stuparich (1891-1961), figlio di una triestina e di un istriano di Lussino; giornalista e scrittore nato in una Trieste austro-ungarica, Medaglia d’oro al Valor Militare nella Grande Guerra (1918), esponente dell’intellettualità antifascista, salvato (con la moglie e la madre), per intervento cittadino e vescovile dalla Risiera di San Saba (1944), lo scrittore, appartenente al Comitato di Liberazione Nazionale, fu poi Sopraintendente ai monumenti e fondatore del Circolo della Cultura e delle Arti.
La parte centrale dell’incontro romano è stata dedicata al libro su Tomizza curato da Irene Visintini e Isabella Flego.
Visentini, impegnata in corsi universitari di “Letteratura italiana con particolare riguardo agli autori istriani” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Pola (Diperatimento di Italianistica), e, con l’Università Popolare di Trieste, su progetti rivolti alla minoranza italiana dell’Istria, Fiume e Dalmazia, è Vice Presidente dell’Associazione “Dante Alighieri” (Ts); giornalista e scrittrice, ha pubblicato, tra gli altri, il carteggio di Livia Veneziani Svevo [1980], La forza della fragilità. La scrittura femminile nell’area istro-quarnerina: aspetti, sviluppi critici e prospettive [Edit, 2004]; suoi contributi nella Storia della letteratura italiana dell’Istria e del Quarnero nel Secondo Novecento [Edit, 2008].
Visentini ha esposto le ragioni e i criteri del Progetto di Ricerca e Studio su Tomizza, sostenuto dal Mae (Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana) per il tramite dell’Unione Italiana, che ha impegnato il gruppo di lavoro per quattro anni. Avendo conosciuto di persona Tomizza e apprezzato le sue opere, la relatrice ne ha ricordato la sensibilità, il rispetto per il femminile e la nota frase: “Da La ragazza di Petrovia a Franziska le donne mi permettono di esprimere la parte migliore del nostro animo. Non riusciremo mai a riscattarci da tutte le sofferenze e umiliazioni che abbiamo loro inflitto.”
Di vivida intelligenza, spirito analitico e puntuale analisi dei mutamenti storici e politici, Tomizza “è stato capace” ha detto Visintini, “di scompaginare schemi codificati e barriere di separatezza, di identificarsi con la frontiera, di dissolverla e di prospettare ante litteram le identità regionali nella dimensione della convivenza europea, raccontando l’Europa dei popoli e delle culture.” Egli ha tramutato “in creatività letteraria la pena di vedere il suo villaggio natale, Giurizzani/Juricani di Umago (parrocchia di Materada), compreso nella zona B del Territorio Libero di Trieste, passare alla Jugoslavia di Tito (1952)”.
I temi della struggente nostalgia, della separazione e della lontananza gli ispirarono la Trilogia istriana (1963), ma appena mutate le condizioni storiche, lui pensò al ritorno e la comunità italiana gli intitolò la propria sede sociale e un piccolo teatro essendo lui anche un drammaturgo: es. Vera Verk è un dramma ambientato in un villaggio del Carso istriano, nel 1930, uscito postumo (2007).
Il tortuoso percorso di vita ha alimentato quello letterario e Tomizza, partito dal verismo ottocentesco, dall’epica contadina, scrisse pagine introspettive, con analisi psicologica, ricerca identitaria; un percorso che con La miglior vita ottenne il Premio Strega (1977).
Tutto il mondo di Tomizza, reale de onirico, ruotava intorno alla moglie Miriam (La città di Miriam), presenza costante, suo sostegno e archetipo che ne improntò le figure femminili.
Nei 17 contributi del libro, le co-autrici “analizzano l’opera omnia dell’autore dal punto di vista di tali figure.” L’opera di Tomizza va dal 1960 al 1999 “Ci sono le donne legate alla civiltà contadina istriana, inserite nel mondo rurale in cui egli stesso e nato, poi ci sono le donne travolte dalla guerra e dall’esodo, ma nche figure femminili più modrne, appartenenti al mondo triestino”.
L’inedita scelta di proporre le figure femminili “nella dimensione autonoma, valida dal punto di vista documentario, storico e sociologico” ha concluso Visintini, “ha proposto il nostro lavoro, almeno in parte, come una testimonianza di una lontana civiltà, come quella istriana, ma anche dell’evolversi, del mutare della situazione tra donne e uomini. (…) Tomizza ha sempre percepito le donne come fondamentali punti di riferimento del proprio mondo interiore e anche come cardini della storia e della società. (…) Egli proietta nelle donne valori, sogni, desideri o evidenzia con ricognizioni, talvolta impietose, doppie identità e incertezze, dubbi e contraddizioni, impulsi e interrogativi, rilevando anche le pulsioni sottese al loro rapporto con l’uomo. (…) La nostra Ricerca e Studio può dunque inserirsi nell’ampio dibattito teorico e politico ancor oggi aperto sul relativismo culturale, sul concetto di pari opportunità non sempre realizzate, su problemi di identità, sulle disuguaglianze e sulle discriminazioni esistenti”.
A sua volta Isabella Flego, istriana di Arsia (centro minerario), impegnata a propagare la scrittura creativa e di ricerca, con all’attivo molti racconti lunghi, un saggio su Capodistria del ‘700, e uno su Girolamo Gravisi sparso in dotte carte (1° Premio ‘Frontiera), varie raccolte poetiche ( Oltre le pupille, Mate masie), Presidente dell’Associazione Pari Opportunità/Poem (bilingue), di Capodistria, e Deputata al primo Parlamento democratico della Slovenia al seggio per la Comunità italiana, due volte Vice Sindaca di Capodistria, ha sottolineato come la scelta del gruppo di lavoro ‘transfrontaliero’, su tre paesi confinanti (Italia, Croazia, Slovenia), per il libro su Tomizza (Irene Visintini di Trieste, Amalia Petronio di Pirano, Cristina Sodomaco di Umago, Claudia Voncina di Gorizia e lei di Capodistria), lei l’abbia fatta “nello spirito da lui propagato attraverso un’attività letteraria ma innanzitutto civile.”
“Tomizza è stato uno dei più acuti e originali osservatori delle vicende aspre e tormentate di tale territorio, dove una dura opposizione aveva separato allora gli animi, nell’esasperazione degli opposti nazionalismi e dei fantasmi ideologici, a cui l’uomo e lo scrittore si era sentito del tutto estraneo” ha sottolineato la relatrice, “Evitando di accentuare tali barriere, steccati o confini, ha preferito cercare l’effetto contrario a beneficio del dialogo tra i popoli e le culture, nel solco di una consapevolezza, vissuta coscientemente, che l’Istria fin da sempre era stata di fatto una comunità plurietnica.”
“In quella terra avara e dolce” ha proseguito, “Tomizza ha trovato la sofferenza delle donne istriane, espressione della piccola quotidianità delle azioni, dell’angoscia e dell’ansia. Con i loro volti e caratteri, la fedeltà ai luoghi è riuscito a destare il mondo sulle assurde serrature della ‘Sto’ che hanno vuotato l’Istria. Ma non solo, attraverso i personaggi femminili ha realizzato pure la verità dentro di lui, che equivale a equilibrio, armonia, amore per il prossimo, superamento del male e del dolore. A loro ha consegnato l’immagine di sé, marito, amante, figlio e una pervicace disinvoltura nell’ammettere le debolezze del maschio.”
E ancora: “In senso letterario alcuni personaggi femminili sono la sua forma femminile e sono espressione di un’emotività che si identifica con la natura stessa delle donne (…) Tomizza è un ottimo interprete della propria opera. La libera, come libera se stesso, di ogni peso inutile, per lasciare il posto ai personaggi e alla sua coscienza di scrittore. Noi nella valorizzazione delle protagoniste dei suoi libri, abbiamo cercato anche di verificare quanto attento Tomizza fosse stato nella scoperta e difesa dei diritti delle donne. (…) In più, attraverso le variegate figure femminili dei suoi romanzi, prende il massimo risalto la gamma complessa della narrativa tomizziana, la sua progressiva maturazione umana e culturale che si accompagna alla rappresentazione dei personaggi in una dimensione autonoma.”
Una delle personagge esemplificate è Paolina Carli Rubbi in l’Ereditiera Veneziana: “una vera figlia dell’illuminismo veneziano che non cede alle convenzioni borghesi e attinge forza da dentro se stessa per poter fare le proprie scelte da libera cittadina. In lei troviamo l’emancipazione individuale, raggiunta in solitudine con tenacia e prudenza in un ambiente resistente alla donna soggetto.”
Altra protagonista, Cecilia, in L’Abate Roys e il fatto innominabile, è del tutto rispondente alla frase di Veronica Franco, celebre cortigiana del Cinquecento veneziano, tra le prime a difendere il proprio sesso:
“Le donne erano costrette a mangiare con l’altrui bocca, a dormire con gli occhi altrui, a muoversi secondo l’altrui desiderio senza quindi avere in sè l’allegria del piacere e dell’amore.”
Terzo ad intervenire “in merito al prezioso volume proposto all’attenzione”, il dr. Dario Fiorensoli, già collaboratore della V.i.s.e.s. – Onlus in Istria e che, in veste di Caposede Rai a Trieste (1983-’88), strinse con Fulvio Tomizza legami di lavoro e d’amicizia.
Dopo averne ricordato “la prorompente vivacità, la ricchezza dei suoi riferimenti, la vastità della sua cultura non chiusa in se stessa e sempre pronta ad ampliamenti per cogliere il senso del presente, quand’anche diverso dal proprio vissuto” il relatore ha sottolineato come “il libro ci riporti al passato, come se fosse il presente, per la vivezza delle rappresentazioni e per la capacità delle co-autrici di seguire i mutamenti e le emozioni di un uomo, scavando nei fatti significativi della sua vita. Lo stesso avviene per i personaggi femminili che rappresentano l’oggetto principale dell’opera e che s’inseriscono nel quadro attualissimo e nel continuo dibattito sui diritti delle donne e sulle diversità.”
“Il volume di cui parliamo” ha proseguito Fiorensoli “è redatto da saggiste che hanno saputo descrivere, analizzare, approfondire il mondo che Tomizza ha portato dentro di sè come uomo e romanziere, di artista testimone di tempi anche drammatici che non possono essere dimenticati. Opera d’arte a più mani, queste pagine colgono momenti, aspirazioni, passioni, delusioni delle generazioni vissute in Istria, testimoni di sradicamenti e di esili, di sempre rinnovate aspirazioni alla pace, di mutamenti storici, di speranze che si sono ripresentate a ogni generazione. Le speranze non finiscono mai, lo sappiamo.”
Ripercorsi brevemente gli incipit dei cinque capitoli, il relatore ha raccomandato l’avvicinamento ad un autore di statura europea e “a un libro pregevole da non collocare nell’armadio ma da diffondere per meglio conoscere e capire la nostra storia nei momenti sereni e in quelli drammatici.”
Soffermandosi sull’ultimo capolavoro di Tomizza, Il sogno dalmata, Fiorensoli ha ricordato “che ancora una volta esprime l’estenuante sensazione della sua doppia e nessuna appartenenza ma che attenua la sofferenza con un bilancio esistenziale non negativo cui, come sottolineato a Irene Visentini, cooperano le donne della sua famiglia che lo hanno reso figlio, padre, nonno.”
A conclusione di un lungo pomeriggio affollato di pensieri, curiosità e sorprese come solo lo scambio vero può dare, le due attrici Alba Bartoli Ungaro e Maria Sandrelli hanno commosso l’uditorio con la performance ‘Luci e ombre’ ispirata ad alcune tra le più drammatiche figure femminili di Fulvio Tomizza.