“La foresta africana è piena di mistero. Pare addentrarsi nei meandri di un antico arazzo, scolorito e annerito qua e là dal tempo ma meravigliosamente ricco di sfumature verdi. Andavo al safari lontano miglia e miglia da qualsiasi bianco. Amavo gli indigeni e loro avevano fiducia in me. Quando andai in Kenya la prima volta, prima della guerra del 1914, i rapporti tra bianchi e neri erano ottimi. Mi trovavo spesso sola, ma non chiudevo mai a chiave la mia porta” racconta Karen Blixen.

Della intraprendente e intrepida baronessa danese sappiamo molto anche grazie al film “La mia Africa” di Sydney Pollack. Lei è Meryl Streep, lui Robert Redford.

Nella storia delle donne che decisero di abbandonare i loro Paesi per esplorare altri continenti, merita un posto d’onore Isabelle Eberhardt. Cosa attirava questa giovane e bellissima donna di origini russe, nata però in Svizzera, verso la misteriosa e insondabile Africa?

Nomadi si nasce? Secondo Isabelle sì. “Già da bambina – racconta – io guardavo con desiderio la strada”. Strada che la conduce lontano lontano, come recitano le fiabe, tra pericoli e disavventure, tra scoperte e sconfitte. Strade mai abbandonate da Isabelle fino alla sua morte. Era assetata di assoluto e scelse di perdersi e ritrovarsi tra le dune del deserto.

“Sì, amo il Sahara – confessò – di un amore oscuro, profondo, inspiegabile ma nello stesso tempo reale e indistruttibile”.

Attratta dal mistero e dall’ignoto si spogliò immediatamente dei suoi vestiti occidentali, fumava hashish, imparò l’arabo e abbracciò la fede musulmana.

Il destino volle che morisse, ad appena 27 anni, in Algeria, travolta nel sonno da un’inondazione. Lì, nella sua casetta, c’erano solo un letto per amare e un tavolo per scrivere.

E si affaccia di colpo alla memoria Vita Sackville West – a cui
l’autrice, Virginia Wolf, dedica lo stupefacente “Orlando”. Annotava nei suoi taccuini la bellezza e i misteri della Persia. Ma Vita visitò anche Egitto e India. A Bagdad fu ospite di Gertrude Bell anch’essa esploratrice e autrice di libri di viaggio.

E che dire dell’austriaca Isa Pfeiffer? Si è avventurata, sola e senza soldi tra gli Indiani del Brasile, ha doppiato il tempestoso Capo Horn, ha traversato il Pacifico, ha risalito il Gange da Calcutta a Dehli e ha percorso l’India a dorso di cammello prima di affrontare le terre brucianti dell’Asia Centrale. Ma non basta: si è spinta anche in California, in Perù, nelle Ande e in Amazzonia prima di risalire verso Panama, il Mississipi, la Nuova Inghilterra e infine l’Europa. Ma il suo sguardo risentiva del suo carattere austero e le cronache dei suoi viaggi mettono in luce gli aspetti negativi delle popolazioni piuttosto che quelli positivi. Si salvarono dal suo giudizio severo soltanto i selvaggi del Borneo per l’atteggiamento casto delle donne: abbassavano gli occhi al primo sguardo!

All’opposto era Alexandra David Néel. Cantante dell’Opera di Hanoi, interpretava Carmen, Manon, Traviata. All’improvviso, ma improvviso non è perché certi desideri si impossessano prima, molto prima, di noi, sono lì già da tanto, così basta solo aprire loro la porta! Alexandra, raccontavamo, all’età di 43 anni, abbandona la carriera e diventa la prima donna a varcare il Tibet. Suo padre, tra il serio e il faceto, dirà: “Mia figlia ha la pelle bianca ma la sua anima è gialla”.

Altre donne ebbero voglia di un “altrove” lontano e apparentemente irraggiungibile. Isabella Bird, giovane inglese stanca della buona società, si innamora non di un uomo ma del deserto e lo attraversa. Aveva un cavallo di nome Birdie. L’accusarono perché lo montava con pantaloni da uomo. Effettivamente lei li indossava, sì, ma sopra portava una veste.

Elefanti… vacche… muli… cavalli… non importa il mezzo di trasporto! L’importante, per Isabella, era vedere con i propri occhi, vivere davvero, più che immaginarlo, un “altrove”! Così affrontò le tempeste di neve nel Kurdistan e inondazioni e l’irruenza dei torrenti tibetani, attraversò la Persia e l’Armenia, la Corea e la Cina. A Honolulu ascoltò il battito del cratere per un’intera notte. Che importa se durante un viaggio si frattura un braccio?! Guarirà e ritornerà ad esplorare il mondo. E, anche dopo essere rientrata in Europa, a settant’anni, la voglia di viaggiare non l’abbandona tanto che partirà per il Marocco, suo ultimo viaggio. Lo affronterà a dorso di un cavallo. Si racconta che per montarlo e discendere avesse, data l’età, bisogno di una scala. E via verso nuove avventure!