Vi scrivo per significarvi tutto il mio disprezzo di donna, docente e
persona, per aver osato banalmente e violentemente ridurre a inerti
contenitori di seme, a “madri-per-forza”, a macchine da riproduzione delle
persone, delle donne, degli individui singoli, pensanti, dignitosi, liberi
di scegliere e irripetibili, umiliando e offendendo l’umanità intera e la
vostra stessa capacità (troppo esigua, ahimé!) di ragionare.In questo momento sono moltissime le persone indignate e sgomente che, di
fronte alle vostre nauseanti e inconcepibili dichiarazioni sul ruolo sociale
e pubblico delle donne e sul loro apporto (insurrogabile e insostituibile!)
al mondo del lavoro e allo sviluppo, vi stanno ricordando che esiste un
articolo della Costituzione, il n° 37, da voi impudentemente violato e
calpestato, che recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a
parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore…”.

A me non preme solo rammentarvi l’infrazione giuridica commessa, ma mettervi
di fronte alla violenza estrema, al razzismo profondo, alla brutalità
disumana e alla stoltezza di cui avete dato prova, ignobilmente e
insolentemente discriminando le vostre lavoratrici, di cui non siete degni.

Non solo. Non siete degni neppure di fregiarvi del titolo di “lavoratori” o
di “imprenditori”, perché un vero lavoratore, un vero imprenditore è uno che
sa che il lavoro non è solo una rogna più o meno ben remunerata, uno
“stipendio” utile alla sussitenza ovvero utile a comprarsi le calze senza
tendere la mano al marito-padrone, ma è uno che sa bene e che crede
fermamente che il termine “lavoro” riassume e sussume passione, orgoglio,
realizzazione esistenziale, studio, fatica, curiosità intellettuale,
capacità e volontà di tessere relazioni umane, appartenenza a un gruppo,
partecipazione democratica, entusiasmo, competenza e sfida ai propri limiti,
professionalità, esperienza, senso di responsabilità, soddisfazione per quel
che si è stati capaci di essere e di diventare, una soddisfazione e un vanto
che costituiscono, per un eventuale figlio, un dono assai più prezioso che
il gingillo acquistato con lo “stipendio secondario” della mamma…

Vi scrivo per significarvi tutto il mio disprezzo di donna, docente e
persona, per aver osato banalmente e violentemente ridurre a inerti
contenitori di seme, a “madri-per-forza”, a macchine da riproduzione delle
persone, delle donne, degli individui singoli, pensanti, dignitosi, liberi
di scegliere e irripetibili, umiliando e offendendo l’umanità intera e la
vostra stessa capacità (troppo esigua, ahimé!) di ragionare, nonché le
vostre mogli e le vostre figlie, che immagino non avrete mandato a scuola e
non manderete all’università, visto che il loro “destino”, secondo la vostra
riduzionistica e cavernicola visione del mondo, della famiglia e della vita,
sarebbe (sarà) quello di figliare in silenzio e di prendersi cura della
prole!

Davanti alle vostre aberranti affermazioni arrossisco anche per voi, che non
ne siete stati e non ne siete capaci, e che siete protetti e avallati, come
è evidente, da un clima politico e istituzionale che va nella direzione
della mortificazione dell’intelligenza e della cultura, del pluralismo e
della dignità, e che promuove prostituzione corporale e ideologica,
appiattimento servile, volgarità, insipienza e indecenza.

Vi prevengo, tuttavia, che quella parte del paese ancora e sempre libera e
ligia alle leggi, a quelle scritte e a quelle non scritte ma parimenti
vincolanti al rispetto dei diritti delle donne e degli uomini che si
professano e che sono UGUALI, non vi lascerà normalizzare e normativizzare
l’ignoranza e la sperequazione, non vi lascerà calpestare secoli di
emancipazione dolorosa e laboriosa dai vincoli della bestiale violenza
maschile, una violenza che è viltà, esclusione, paura del confronto,
invidia, frustrazione penosa.

Le donne che avete umiliato sono mie sorelle, sono io, sono le vostre
figlie, che forse madri non vorranno mai diventare ma che vorranno
esprimersi, perfezionare e conquistare se stesse nel e sul Lavoro, siamo
noi, il paese evoluto e consapevole, colto e produttivo, quello che merita
di vincere questa oscena battaglia che avete dichiarato non solo alla
civiltà ma, soprattutto, alla felicità cui ciascuno, uomo o donna, ha
diritto a tendere.

Prof.ssa Marcella Ràiola (Napoli)