In un nuovo rapporto Amnesty International denuncia come
le autorita’ della Colombia non siano riuscite a affrontare il problema
della mancanza di giustizia per le donne e ragazze che hanno subito
violenza sessuale durante il lungo conflitto armato del paese.‘In Colombia, le donne e le ragazze sono spesso trattate come trofei di
guerra. Vengono stuprate e sono soggette ad altri abusi sessuali da tutte
le parti in conflitto, per ridurle al silenzio e punirle’ – ha dichiarato
Susan Lee, direttrice del programma Americhe di Amnesty International.

‘Da quando il presidente Santos e’ entrato in carica nel 2010, il governo
ha preso impegni pubblici per affrontare la crisi dei diritti umani, ma si
fanno ancora attendere concreti passi avanti per assicurare alla giustizia
i responsabili di violazioni dei diritti umani, come la violenza sessuale
contro le donne’.

Il rapporto di Amnesty International, intitolato ‘[Questo è ciò che
pretendiamo: giustizia! L’impunità per la violenza sessuale contro le
donne nel conflitto armato in Colombia->http://www.amnesty.org/en/library/asset/AMR23/018/2011/en/d4396a83-c078-46f0-96ff-94f6d667b6bc/amr230182011en.pdf]’, mostra come i diritti alla
verita’, alla giustizia e al risarcimento di coloro che hanno subito
violenza sessuale continuino a essere negati dalle autorita’.

La mancanza di statistiche ufficiali affidabili e la paura di denunciare i
reati rendono molto difficile valutare la reale dimensione del problema. _ I
dati disponibili non fanno comprendere in modo chiaro quanti casi di
violenza sessuale contro le donne e le ragazze possano essere collegati
alla guerra.

Nel 2010 l’Istituto nazionale di medicina legale e scienza forense ha
condotto 20.142 esami su casi sospetti di violenza sessuale, rispetto ai
12.732 del 2000. Tuttavia, solo 109 degli oltre 20.000 casi sono stati
classificati come riferiti alla guerra, mettendo in evidenza
l’invisibilita’ di tali crimini.

Anche quando le donne trovano il coraggio per denunciare un caso di stupro
o di violenza sessuale, le indagini vengono raramente condotte in modi
efficace.

Tra gli ostacoli alla giustizia, Amnesty International elenca la carenza
storica di volonta’ politica per combattere l’impunita’, le insufficienti
misure di protezione per testimoni e vittime, la scarsa formazione degli
ufficiali giudiziari sulle questioni di genere e l’assenza, nella
legislazione nazionale, di una definizione di stupro come crimine di
diritto internazionale.

Le donne native vittime di violenza sessuale vanno incontro a ulteriori
barriere, tra cui la mancanza di traduttori, la difficolta’ di spostarsi
dalle zone interne verso luoghi in cui possano ricevere assistenza
ufficiale e, infine, la forte presenza di combattenti nelle aree in cui
vivono.

‘Le autorita’ colombiane devono avviare un piano d’azione per porre fine
alla violenza sessuale, che comprenda misure per combattere la
discriminazione contro le donne e le ragazze e per porre fine
all’impunita’, che assicura che i responsabili di tali crimini non sono
giudicati’ – ha aggiunto Susan Lee.

Le forze di sicurezza colombiane, i gruppi paramilitari e quelli della
guerriglia prendono di mira le donne e le ragazze per sfruttarle come
schiave sessuali e per vendicarsi contro gli avversari.

La violenza sessuale, sottolinea Amnesty International nel suo rapporto,
semina il terrore nelle comunita’ e costringe intere famiglie ad
abbandonare le loro case, lasciando che le loro terre vengano occupate.

Donne e ragazze provenienti da comunita’ agricole native e di origini
africane, quelle allontanate a forza dai combattimenti e quelle che vivono
in condizioni di poverta’ sono facili obiettivi della violenza sessuale. I
difensori dei diritti umani delle donne e le loro famiglie sono oggetto di
minacce e intimidazioni.

Amnesty International ha incontrato molte vittime di stupro, alcune delle
quali avevano cercato di presentare denuncia alle autorita’.

Carolina (nome di fantasia) era una rappresentante di comunita’ in un
paese del dipartimento di Caldas, nel nord-ovest della Colombia. Quando,
nel 2007, suo figlio venne violentato da un ragazzo legato ai
paramilitari, si decise a denunciare l’accaduto.

I paramilitari provarono a convincere Carolina a ritirare la denuncia.
Quando rifiuto’, la minacciarono e la costrinsero a guardarli mentre
mutilavano alcune loro vittime. Nel maggio 2007, Carolina fu rapita e
stuprata da otto paramilitari e rimase incinta. Quando il comandante dei
paramilitari lo scopri’, ordino’ ai suoi uomini di picchiarla. Carolina
perse il bambino.

Nel giugno 2007, il programma di protezione dell’ufficio del Procuratore
generale fece trasferire Carolina in un’altra citta’. Le minacce
continuarono e la donna cambio’ nuovamente residenza. Venne anche chiamata
a testimoniare nella citta’ dove il crimine ebbe luogo e dove vivevano
ancora le persone che aveva denunciato.

Carolina rimase nel programma di protezione per un anno. Ora e’ senza
protezione.

Nel settembre 2008, su pressione delle Organizzazioni non governative per
i diritti delle donne, l’inchiesta fu trasferita alla Sezione per i
diritti umani della Procura generale di Bogota’. Carolina non e’ mai stata
chiamata a testimoniare. Un nuovo pubblico ministero, entrato in carica
nell’agosto 2010, avrebbe recentemente iniziato a esaminare il caso.

Amnesty International chiede alle autorita’ colombiane di sviluppare una
strategia complessiva, in consultazione con le organizzazioni locali, per
assicurare protezione, indagini e perseguimento delle violenze contro le
donne legate alla guerra e per garantire i risarcimenti alle vittime.

‘Le autorita’ colombiane devono fare azioni concrete per assicurare alla
giustizia i responsabili dei crimini di violenza sessuale, molti dei quali
sono anche crimini di guerra o crimini contro l’umanita’. Se continueranno
a non farlo, dovra’ intervenire la Corte penale internazionale’ – ha
concluso Lee.