Gravissima l’apologia di reato, vieppiù se di provenienza istituzionale, come nel caso dell’On. Stracquadanio, per cui “prostituirsi per fare carriera è legittimo”.L’affermazione ha il significato di suggerire che sarebbe legittimo
corrompere soggetti con funzioni pubbliche, anche, attraverso prestazioni
sessuali per ottenere posti di rilevanza nell’organigramma politico, o
addirittura che gli stessi soggetti pubblici possano pretendere la
prestazione sessuale come “mazzetta” per la concessione di una collocazione
lavorativa o in carica elettiva ( vedi vigente legge elettorale).

L’incompatibilità tra la carica di deputato e il rendersi responsabili di un
tale invito a delinquere è talmente manifesta, che ci domandiamo a quali
principi si ispirino coloro che ancora non hanno sollevato la questione.

Se ne sta facendo sulla stampa e tra i politici un improprio dibattito sui
costumi femminili e l’equa spartizione tra donne ed uomini del titolo di
“escort” intellettuale o sessuale. È del tutto fuorviante concentrarsi sulla
vecchia questione dell’incoerenza e la corruttibilità di uomini e donne
inclusi in uno dei sistemi più corrotti dell’occidente.

La libertà di usare “male” il proprio corpo o la propria materia grigia, non
è mai stata per noi una questione riguardante lo Stato: lo Stato Etico, al
quale molti anelano, è costituzionalmente imprevedibile, attualmente.

La vera questione è che se tra le protezioni approntate dai corrotti nel
potere, ricatti e prebende sono possibili senza che i cittadini possano
difendesi, e le leggi ancora rappresentano un ostacolo.

E la legge, evidentemente, è diventata un vero ingombro per la politica, e
decostruirla, banalizzarla è spesso compito di insignificanti e improbabili
ideologi, che, come lo Stracquadanio, attraverso lo scandalo si rinsaldano
in posti guadagnati in modo ambiguo.

Magari in Italia non si va in galera per corruzione, ma ormai i politici non
vogliono neanche più rischiare di andarci.

La scelta dell’argomento “prostituzione” è il solito furbo espediente per
evitare l’evidenza, e cioè che chi detiene i poteri pubblici ed economici,
corrompe e ricatta e vuole poterlo fare impunemente.

C’è consapevolezza e gradimento nell’esprimere la connivenza pubblica nella
corruzione, e tuttavia ricattare e corrompere sono ancora reati.

C’è un’ultima irritante furbizia nell’apologia criminale espressa con quel
“è legittimo prostituirsi per fare carriera”, ed è insita nel disporre della
chiave di lettura “pubblica” imperniata sulla sostituzione del paradigma
della legalità con quello (sotterraneamente ma potentemente condiviso) della
moralità imposta alle donne.

Che le donne siano libere di prostituirsi, non è più in discussione, quello
che è in discussione è che gli uomini debbano adattarsi alla legge che
postula ed afferma “che lo sfruttamento della prostituzione è reato”.

È in discussione che finalmente ci si debba tutti adattare al principio che
il merito non può essere sostituito con un qualsiasi favore o pagamento. Se
non è così nella pratica, la legge, per quanto imperfetta, impone che lo
sia.

Il fatto che l’On. abbia parlato di prestazioni sessuali e non di
“legittimità del passaggio di denaro o scambio di beni pubblici” (alla quale
evidente mira il pretestuoso e decennale dibattito interno alla politica),
costituisce in se un’altra evidenza sottintesa e condivisa che nessuno, di
fatto, vuol sollevare: “il corpo femminile è a disposizione, il denaro
pubblico non ancora del tutto impunemente”.

Legalmente non è legittimo disporre né dell’uno né dell’altro, come
dimostrano molte sentenze.

I dirigenti dell’impresa di pulizie dell’aeroporto di Capodichino, che
chiedevano prestazioni sessuali in cambio del posto di lavoro, sono stati
condannati.

La legge è uguale per tutti e, come sempre, per negarlo nulla di meglio che
scegliere il corpo delle donne come teatro della guerra tra privilegi nel
potere ed interessi dei cittadini.

Per l’UDI di Napoli Stefania Cantatore

Per la Camera delle donne Rosa Schiavo e Simona
Ricciardelli