Alla complessità fisica, psicologica e relazionale del generare abbiamo dato le uniche risposte possibili: autodeterminazione, scelta informata e assunzione di responsabilità. In questi anni, nell’UDI, da Congresso a Congresso, sul tema “generare” c’è stato un “impegno nazionale”, qualche volta un vero e proprio “gruppo”, o qualche cosa di più (il Comitato Quando decidiamo noi, di cui già a Pesaro dicemmo i limiti operativi, ma anche i meriti quanto a elaborazione ed approfondimenti), infine anche qualche cosa di diverso, come le giovani donne che hanno animato la sede nazionale con incontri, seminari, discutendo ed elaborando sul corpo fertile delle donne e che anche oggi hanno qualche cosa da dirci. Di questo “impegno nazionale” sono stata partecipe, insieme con Ileana Alesso, insieme con molte altre donne del territorio, UDI o vicino all’UDI, oltre che, in primis, con la delegata nazionale.

Non vi è stata sul tema del generare una campagna o un’azione specifica che andasse oltre i tempi e i modi di un’iniziativa, di un convegno, di un seminario, ma certamente non è mancata la voce e l’azione nazionale, non sporadica, anzi continuativa, monitorante i momenti e le questioni pressanti che di volta in volta si sono presentate.

Voglio dire che la politica nazionale dell’UDI su questo tema, in questi anni, prima e dopo la presentazione a Roma, nel 2005, della Piattaforma Generare oggi fra precarietà e futuro, è stata scandita da decine e decine di comunicati stampa, lettere ai giornali, documenti, Seminari e incontri nazionali (Roma, Febbraio 2004, Seminario sulla legge 40; Roma gennaio 2006 audizione sui Consultori alla Commissione affari sociali della Camera, Milano, Luglio 2008, Seminario nazionale del Comitato quando decidiamo noi; Roma, gennaio 2008, Conferenza stampa al Senato sulla legge 194; Roma, ottobre 2009, Seminario- dibattito del Comitato quando decidiamo noi). Intanto le battaglie legali , di cui ci riferisce Ileana Alesso.

La diversificazione regionale della sanità, ma, soprattutto la sua aziendalizzazione, hanno talvolta innescato il cortocircuito per cui a istanze di fondo e di principio è seguita la delocalizzazione delle controparti (Asl, direttori generali, primari ecc.) che ha un po’ disperso l’iniziativa che volevamo portare avanti (vedi la questione della consultabilità degli elenchi dei medici obiettori rispetto alla 194, vedi la diffida da mandare alle Regioni sulle inadempienze rispetto all’assistenza al puerperio).

Bisognerà che nel futuro si proceda anche all’inverso, ricreando e promuovendo attenzione e mobilitazione locale e da esse fare leva per azioni nazionali. A Modena abbiamo fatto un’estenuante battaglia (ancora in corso) contro i “pregatori” davanti al Policlinico, appartenenti all’associazione Papa Giovanni XXIII. Certo volevamo innanzi tutto toglierli di lì, ma il significato vero consiste nel pretendere che, attorno e per conto della legge 194, in rete con le istituzioni, per giunta usufruendo di risorse che la 194 destina alla prevenzione, non vi siano associazioni oltranziste che definiscono assassina la legge, oltre che le donne ed i medici. Questo a Modena come in tutta Italia.

Ciò riguarda il principio di cittadinanza delle donne, che, dal 50E50 ovunque si decide, anima con diversa consapevolezza, il nostro stare nel mondo, Innanzi tutto verificando se per caso risorse nostre in quanto pubbliche, non vengano utilizzate contro di noi.

Alle donne di questo Congresso e alle donne dell’UDI che all’indomani di esso, dovranno individuare il rinnovato strumento operativo su questo importantissimo tema, voglio ricordare alcune parole forti che ci hanno accompagnato, direi anche sostenuto nel duro impatto che tutte noi in questi anni cupi, abbiamo avuto sul tema della sessualità, della salute e dell’integrità del corpo delle donne.

Quando abbiamo detto generare oggi abbiamo posto al centro la donna che genera, quella che il partito dell’embrione mette sullo sfondo, quella che decide e si assume responsabilità, quando abbiamo detto precarietà e futuro indicato l’intreccio fra le scelte di maternità e la precarietà di vita e di lavoro che le giovani donne hanno davanti.

Ricordo benissimo il momento in cui è scaturito lo slogan “la precarietà rende sterili,” ero al telefono con Pina, c’erano appena state le manifestazioni promosse da Usciamo dal silenzio in difesa della legge 194 e una delle cose che più mi aveva colpite nelle manifestazioni era la presenza di tanti cartelli sul lavoro e sulla precarietà, ciò coincideva con quanto dicevano le ragazze che partecipavano agli incontri e alle iniziative nella sede nazionale.
_ Ciò coincideva perfettamente con quanto potevamo verificare a Modena, come credo ovunque, soltanto ascoltando una donna giovane per pochi minuti. Precarietà e lavoro.

E invece gli invadenti e pervadenti moniti dei santoni dell’embrione: le donne vogliono fare figli quando pare a loro, ma sanno che così rischiano la sterilità?
_ Irridendo una verità difficile da sopportare per le donne: la paura di passare davvero dalla contraccezione alla sterilità, a causa però, principalmente, delle difficoltà quasi insormontabili che un eventuale progetto di maternità presenta loro.

Dunque il lavoro e la precarietà al centro di quel pensiero che parte dai corpi e arriva alle vite.

Voglio tutto, hanno detto le giovani donne che si sono confrontate una settimana fa nell’anteprima sul lavoro, nel senso che non vogliono, non possono scegliere fra lavorare, amare, fare figli, avere un po’ di tempo per sè e per il mondo.

Dobbiamo partire da questo traguardo concettuale, dal quale non torneremo indietro: non si tratta di tutele alla maternità, ma dell’esercizio di quei diritti, alla salute, al lavoro, che le donne esercitano come cittadine e che non debbono perdere se diventano madri. Se sono riconosciuti seri ed inalienabili diritti alle donne, con la piena cittadinanza che una democrazia paritaria comporta, si riconoscono anche tutti i diritti delle madri. Mentre non è vero il contrario.

Dunque niente tutela della maternità, ma riconoscimento del valore sociale della maternità e della responsabilità sociale che ne consegue.
Sui cosiddetti “sostegni” alle cosiddette “maternità difficili”, ci vogliono leggi complessive ed organiche, altro che i pochi e confusi concetti inseriti nella 194. Leggi che tengano conto che ogni maternità, non solo quella che non verrà portata a termine, può essere molto difficile se le donne sanno che non potranno, se diventano madri, mantenere o trovare non solo il lavoro, ma anche pezzi della propria vita .

Nessuna legge, però, e tante volte ce lo siamo già dette, potrà sostituire la contrattazione fra uomo e donna, personale e collettiva. La condivisione della cura, del lavoro domestico, di manutenzione, come dice Pina, è alla base di una nuova idea di emancipazione che dovremo assumerci e far assumere là dove riusciremo.

Alla complessità fisica, psicologica e relazionale del generare abbiamo dato le uniche risposte possibili: autodeterminazione, scelta informata e assunzione di responsabilità.

Dobbiamo però sapere che tutto è su un piano inclinato e che siamo scivolate stiamo ancora scivolando, inesorabilmente, verso una minore laicità attorno al corpo delle donne. Sulle tematiche di inizio vita, così come su quelle di fine vita, l’integralismo cattolico e i poteri forti che rappresenta, pesano sulle scelte politiche del nostro paese e le condizionano.

La 194 non si tocca, ma poi vi sono le linee guida regionali, il vero strumento di modifica strisciante della legge , e quando si riesce a neutralizzare i peggioramenti previsti dalle linee guida (come in Emilia Romagna) allora arrivano i protocolli locali. Sempre in quella direzione, sempre a virare verso la cultura cosiddetta “pro life”.
_ L’assistente sociale al primo colloquio, così la donna è già un caso umano da aiutare, solo perchè chiede un’interruzione di gravidanza, il numero degli aborti cosiddetti “evitati”, come parametro di valutazione per un buon funzionamento dei consultori. Dissuasione, pressioni .

Ancora una volta non ce la faremo con le sole leggi, dobbiamo anche entrare numerose nelle direzioni sanitarie, nei consigli regionali, nelle giunte, e diventare Presidenti di Regione. Soprattutto ridare voce collettiva e mobilitazione alla nostra protesta, che però deve vedere le giovani donne protagoniste. Sono loro infatti che hanno il problema reale.

Dunque credo che dovremo ridare slancio e incisività alla nostra azione locale e nazionale. Leggo sulle pagine dei giornali di ieri l’allarme per un dato che conosciamo bene. L’allegra e disinvolta obiezione di coscienza prevista dalla legge 194, sta facendo saltare la legge stessa, come volevasi dimostrare. Non a caso da alcuni anni la definiamo “astensione facoltativa da prestazione di lavoro” e la indichiamo come il vero cavallo di Troia messo dentro alla legge per bloccarla.

Qualche donna giurista, leggo, prepara il ricorso contro l’interpretazione della legge che consente siffatto tipo di obiezione; riparte la benemerita via giudiziaria. Mobilitiamoci allora, insieme con altre donne ed altre associazioni, su questa precisa questione. Ecco, io vedo soprattutto così il concetto di rete con cui in questi tempi ci stiamo confrontando. Non tanto una realtà fissa e regolata nella sua quotidianità, quanto una presenza che si attivi all’occorrenza, su azioni ed obiettivi precisi, creando una formidabile forza d’urto delle donne.