Lunedì 5 maggio 2014,  alla Libreria Erasmo di Livorno  abbiamo presentato

Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro, curato da Sandra Burchi e Teresa Di Martino; prefazione di Federica Giardini (Iacobelli editore)

Ne abbiamo parlato con Sandra Burchi, una delle curatrici, Maria Pia Lessi e Antonella Faucci, autrici di due dei saggi contenuti nel libro.

 

Ecco  l’articolo comparso su  Ogni Sette

 

21 maggio 2014Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoroUn volume presentato dall’associazione Evelina De Magistris Lo scorso 5 maggio, l’associazione  Evelina De Magistris ha presentato il libro“Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro”, edito da Iacobelli. Ne hanno discusso Sandra Burchi, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Pisa, che lo ha curato insieme a Teresa Di Martino; Antonella Faucci, e Maria Pia Lessi, due tra le autrici, avvocate, studiose di diritto e entrambe “Eveline”.

Una polifonia di voci – Claudia Bruno, Diversamente occupate, Elena Doria, Jules Falquet, Antonella Faucci, Eleonora Forenza, Alessandra Gissi, Florence Jany-Catrice, Maria Pia Lessi, Giordana Masotto, Dominique Méda, Annalisa Murgia, Pina Nuzzo, Carole Pateman, Marina Piazza, Maria Pia Pizzolante, Ina Praetorius, Anna Simone, con un’introduzione di Federica Giardini – rispetto a un tema tanto fondamentale quanto vario: quello del lavoro, termine a cui oggi sempre più spesso  avviciniamo quello di non-lavoro. Un tema sostanzialmente assente, a lungo, dal discorso pubblico, almeno fino a qualche tempo fa, sul quale oggi si appuntano interventi spesso dettati dall’emergenza  e che pare non intendano affrontarne i nodi, le implicazioni, il rapporto con le forme di vita e con l’esperienza umana nel suo modificarsi. Assume grande importanza, allora, la riflessione delle donne, di alcune donne, che sono dentro alla cultura ed alla pratica politica del femminismo, che intende decostruire i paradigmi dominanti; per aprire spazi alle parole e alle pratiche di una nuova cittadinanza e di una nuova politica.

Le curatrici Sandra Burchi e Teresa De Martino scrivono che occorre  “considerare la posizione di una donna come la posizione da cui pensare una giustizia per tutti, ovvero le forme delle relazioni pensate su grande scala”, e sottolineano il bisogno di fare un po’ di ordine sul tema. Cosa non facile: limitiamoci a qualche spunto. Si tratta di pensieri e pratiche, nel loro intrecciarsi inscindibile: un fare bene comune, nelle parole di Giardini citate da Lessi. Ecco il rapporto tra cittadinanza e lavoro e il rapporto tra diritto-diritti e lavoro: i diritti generativi di cui parla Maria Pia Lessi, per cui la giustizia che è un farsi pratico, oltre che teorico (ricordando la lezione di Simone Weil, Non credere di avere dei diritti). E Lessi racconta la “pratica” della Difesa civica: non diritti ipostatizzati, ma vissuti nello scambio di saperi ed esperienze tra abitanti della città e amministrazione.

Il rapporto tra lavoro e Costituzione, “primo il lavoro, legato alla dignità della persona”, come scrive  Antonella Faucci. E un interessante ricordo delle parole di Amintore Fanfani, giovane deputato democristiano, alla Assemblea Costituente, nel 1947, rispetto all’articolo 1 della nostra Costituzione : “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”: “Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale”. E, ora che ci penso, non è un caso che, nell’articolo 1, coesistano i termini “lavoro” e “sovranità”.

Sempre Faucci dice: “giochiamoci la Carta europea”. Negli anni, ho imparato dalle parole di Maria Pia e di Antonella quanto possa essere generativo il diritto europeo per poter dare risposta ai vuoti e/o alle contraddizioni in quello nazionale. Una sorta di “approfittare dell’assenza” – utilizzo un’espressione  della comunità filosofica femminile Diotima –  in senso generativo, appunto, che la dice lunga su tanto sguaiato dibattito pubblico di oggi, troppo spesso stretto tra l’antieuropeismo becero e l’inchino – foriero di rovina, come quello della Costa Concordia – al diktat dell’Europa dei poteri forti, delle banche, della finanza, che sta mettendo in discussione persino quelle forme di agibilità del diritto di cui parlavamo dianzi. E  la Costituzione torna,  perché  non si può parlare di lavoro senza parlare di diritto, di giustizia, di vita, di libertà.

Il lavoro frammentato, le vite frammentate: il tempo del lavoro e il tempo del non-lavoro, stretti in un groviglio; fonti di reddito diverse, frastagliate, incerte. Modi nuovi di affrontare nodi, come il reddito di autodeterminazione.

Ricordo il bel dialogo tra Sandra Burchi e Claudia Bruni su “lavorare a casa”: connessioni e sconnessioni, intrecci, domesticità, radicamento, chiusura/apertura, “qui dentro/qui fuori”. Lo leggevo e pensavo che noi più che cinquantenni abbiamo visto la crisi del modello maschile di “bread winner” e adesso vediamo la trasformazione del nesso tra lavoro ed essere “là fuori”. Condizioni di lavoro, scrive Burchi, che un tempo sarebbero state definite “atipiche” e che sono invece diventate caratterizzanti per il momento presente.

Il bisogno, oltre che il desiderio, di non farsi mangiare la vita, le vite: il “corpo a corpo” con il lavoro, quello che si ha e quello che non si ha, va letto anche in questo senso.

Un libro molto ricco, che dà molto, anche in termini di fiducia e combattività. Quindi, per chiudere, non intendo attardarmi sulle scellerate “politiche” del lavoro degli ultimi anni, tra cui l’ultima legge. Non voglio parlare delle continue vergogne a cui assistiamo, non ultima la vera e propria censura nei confronti di chi la pensa diversamente. Non voglio parlare delle scelte sciagurate come l’inserimento in Costituzione dell’obbligo di pareggio di bilancio.

Voglio chiudere con una lettura. Un brano scritto nel 2006.

Apparve su AdA – teoria femminista, e tra le autrici c’era Angela Putino: “Oggi, all’interno del mondo neoliberista “consumiamo”, come tutti, libertà, ma la libertà di cui vogliamo parlare è quella espressa in una frase di Simone Weil che sostiene, appunto, semplicemente, che la liberta è il sentimento che se ne ha. E, in particolare, quando sentiamo che interrompiamo, dentro e fuori di noi questa nuova consorteria di opinioni, quando coltiviamo un rischio di pensare smettendo di mettere al centro opinioni contingenti, cercando invece quel nocciolo duro di necessità, quando siamo resistenti per logica […] allora noi sappiamo di avere un sentimento ben preciso della libertà, non barattabile con nessuna libertà neoliberista. […] Pensare nel rischio di pensare, com’ è stato per le donne dell’inizio Novecento e per buona parte del femminismo che anche ad esse si ispirava […] Si tratta di pensare la situazione attuale – il sito in cui siamo tutti, uomini e donne – pensare ciò che ci accade, non fermarci a capire solo come funziona […]”.

Paola Meneganti

 Ed ecco gli appunti di  Paola Meneganti che ci restituiscono i contenuti fondamentali dell’incontro:

“Interrompere l’urgenza”: un pensiero non emergenziale sul lavoro.

 

Sandra Burchi. Sono colpita da voi Eveline, perché c’è tanta qualità di relazione tra di voi. E sono contenta che apprezziate questo libro, che è un libro “di servizio”: la questione lavoro è talmente cambiata, che è al centro di un nuovo ritrovarsi femminile. È una urgenza, nella sua complicazione, che ha prodotto politica.

Dà voce a gruppi di giovani donne, molto agguerrite, molto pensanti.

Si è trattato di raccogliere una polifonia di voci e di temi, che abbiamo voluto organizzare.  “mettere ordine”, per dare senso.

Forse non abbiamo una teoria così forte, ma abbiamo molti pensieri: le discipline (a partire da un posizionamento femminista), poi il pensiero dell’esperienza.

Il tema della cittadinanza: quale cittadinanza. Nel femminismo, il tema del lavoro ha avuto uno svilupparsi complicato. Rifiuto del modello di lavoro maschile; riflessione sul tipo di rapporto che le donne hanno con il lavoro: c’è coesistenza di posizioni diverse. Rimane forse da fare un passo in profondità.

Le autrici appartengono a diverse generazioni: un po’ di “nuovo mondo” (segnalo il saggio di Elena Doria sul nuovo mutualismo).

C’è  il desiderio di interrompere quel lutto che, negli ultimi anni, ha coinvolto un lavoro che non c’è più: interrompere l’urgenza.

Anna Simone: gli ultimi venti anni sono stati un interregno (un non ancora e un non più).

Irene Strazzeri: nel libro, un filo è la questione del reddito, che percorre molti interventi. Ne parla Ina Praetorius: un reddito post patriarcale. Ne parla Carol Pateman: inutile avere un contratto, se non possiedo le condizioni per farlo valere (è la tematica del “di fatto”).ne parlano le più giovani: si pone una specie di rivoluzione intorno a questo tema, come fu per le lotte per il suffragio universale.

La questione del reddito non costituisce una sorta di “toppa” per il divario tra lavoro e cittadinanza, ma è il principio di una nuova organizzazione. Un elemento di oltre. Come altri lo sono: tra casa e lavoro, non c’è più contrapposizione. Si tratta di un nuovo principio? Il reddito di autodeterminazione: un’economia che si produce. Viviamo la fase di un capitalismo ferocissimo, in fase di brutale ristrutturazione.

Occorre provare a rintracciare le inclinazioni in avanti (come il contributo delle Diversamente occupate  sulla maternità come diritto universale , ciò che non produce ma genera).

La questione della ricchezza: questa povertà rende tutti più vulnerabili: è un terreno di ricatto. Un ricomporsi dell’economia molto a ridosso della vita. Per noi donne, la vita pubblica è sempre stata a ridosso della nostra vita. Indagare quanto di quella nominazione può diventare parola buona.

Ha detto Antonella Picchio durante un incontro: queste cose le sappiamo; ci manca la politica. Credo invece che ce l’abbiamo: è una politica infiltrativa. Jules Falquet, nel suo saggio, parla di “attacco al sistema”, di “lotte” e  di un “pensiero capace di formulare alternative”. Dobbiamo continuare a colmare il vuoto che c’è stato tra emancipazione e femminismo sul tema del lavoro (A. Nannicini: ci vuole un lessico sul lavoro).

Ricordo che, nel corso di tante interviste a donne precarie che feci 15 anni fa non veniva detta la parola sfruttamento, bensì investimento (la voglia di affermare qualcosa). Oggi siamo alla schiavizzazione. E tra le giovani dei collettivi emerge questo discorso: almeno io non gli do tutto quello che ho.

Rimettere insieme i paini del ragionamento: parlare di imperialismo, di capitalismo, e del partire da sé. È un ri-inizio. Il piano della materialità, caro alle nostre maestre, come Carla Lonzi. E il lavoro è un tema un po’ “storto”: la parola lavoro,  un conflitto lo porta con sé. 

 

Antonella Faucci. È stato molto difficile mettere insieme questo paesaggio. Mi piace la definizione “un libro di servizio”, per un fine comune.

Partire dalla Costituzione: un passo avanti, per guardare indietro.

La Repubblica è “fondata sul lavoro”, non sull’impiego. Spiegò il senso di questa accezione Amintore Fanfani, giovane deputato democristiano, alla Assemblea Costituente, nel 1947, rispetto all’articolo 1 della nostra Costituzione : “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”: “Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul. privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale”. Fondata sul lavoro, non sul privilegio.

Vittorio Foa ebbe a scrivere, dopo la legge 300 del 1970 (che approvava lo Statuto dei lavoratori) che la Costituzione era finalmente entrata nelle fabbriche.

Oggi si parla di flexecurity, flessibilità+sicurezza, con un netto vantaggio della prima. Assistiamo ad una destrutturazione profonda del diritto del lavoro. Zagrebelsky, in un libro, parla della “solitudine dell’art. 1”: “La Costituzione pone il lavoro a fondamento, come principio di ciò che segue e ne dipende; dal lavoro, le politiche economiche; dalle politiche economiche, l’economia. Oggi, assistiamo a un mondo che, rispetto a questa sequenza, è rovesciato: dall’economia dipendono le politiche economiche; da queste i diritti e i doveri del lavoro […] il lavoro, da ‘principale’, è diventato ‘conseguenziale’”.

Abbiamo provato a trovare, nel diritto europeo, fonti per costruire una rete di tutele rispetto al diritto interno.  Ma oggi c’è uno scivolamento di prospettiva anche in Europa. Per il diritto a lavorare, che comunque non è la stessa cosa di “diritto al lavoro”, il richiamo è, sempre più spesso, alla trattativa individuale.

Christine Lagarde, direttora generale del FMI, ha recentemente dichiarato: «Il vostro è uno dei Paesi della zona euro che incoraggiano meno la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Un cambiamento di rotta, a parte ogni considerazione di progresso sociale, potrebbe avere effetti benefici sulla produzione di reddito aggiuntivo e, quindi, sull’uscita da un periodo di stagnazione». Le cifre le danno ragione: nella fascia d’età tra i 14 e i 65 anni, il 64% degli uomini lavora, contro il 46% delle donne.

Pensiamo alla lotta delle donne di Taranto, mogli di operai e operaie esse stesse,  contro l’ILVA, “per – come scrivono – la dignità del lavoro, per la salute, per l’ambiente”; a quella delle donne dell’OMSA. Ma ci sono anche le storie positive: “Variazioni”, una srl di sette donne, che si sono messe insieme per fornire strategie per il work-life balance. 

Conoscenze e politiche le abbiamo: il libro è utile per fare rete.

 

Maria Pia Lessi. Questo è il terzo incontro che, quest’anno,  “Evelina” dedica ai temi del lavoro: segno di un’attenzione forte. Sentiamo forte la condizione di fare parte di scambi: anche questo è diritto generativo. La pratica è di stare radicate nel contesto: radice nel senso di radicalità, radice come ciò che consente di far germinare e fiorire, gettando via le foglie morte.

Parto dal mio ambiente di lavoro (sono avvocata): in tribunale esiste una incredibile precarietà. Coesistono giudici onorari, stagisti, personale di ruolo. I compensi per chi è precario sono ridicoli.

Il lavoro non è una merce che si acquista. L’accesso al lavoro fuori casa, dice Eleonora Forenza nel libro, ha un grande “valore storico […] nel processo di soggettivazione politica”.

Al di là del corrispettivo, ci deve comunque essere il “senso” del lavoro. Invece, assistiamo a eventi come Expo2015, con il suo “doppio livello” di offerta di lavoro: precari (stagisti, contratti a termine da una parte) e volontari (10.000). questo in una manifestazione che costa milioni di euro. Oppure, il caso delle assunzioni alle Poste: non per concorso, ma su presentazione di curricula, arbitrariamente scelti, e a tempo determinato.

Nel libro indico alcune piste. “In questo quadro mi chiedo se e come il diritto di avere dei diritti di Hannah Arendt possa coniugarsi col non credere di avere dei diritti di Simone Weil in pratiche diverse che generino giustizia” (p. 64). Non vogliamo stare nel lutto, né nella contraddizione lavoro-salute. Eleonora Forenza parla di un reddito di autodeterminazione come condizione di scelta – uscita dalla subordinazione, foriera di insubordinazione.  L’autonomia come declinazione feconda dell’insubordinazione.

Sul lavoro come bene comune hanno lavorato Ugo Mattei, A. Maddalena, Federica Giardini, e segnalo la delibera del Comune di Napoli sull’utilizzo dei beni comuni.

Ancora Forenza: “Il problema enorme che abbiamo di fronte è l’assenza di conflitto (di conflitto che produca nuove soggettivazioni politiche e di soggettività che producano conflitto) nella passivizzazione di massa”.