vi segnaliamo quanto scritto da Sara Sesti

 Jocelyn Bell attualmente insegna all’Università di Oxford, ha contribuito alla fondazione dell’Athena Swan programme, per migliorare l’inclusione delle donne nel mondo universitario. Il denaro finanzierà borse di dottorato per le persone meno rappresentate in ambito accademico: «Io ero in minoranza ed ero una dottoranda. Migliorare la diversità nella fisica può portare molte cose positive».
Jocelyn Bell quando da studente scoprì le stelle pulsar nel 1967 

Una notizia straordinaria per la storia delle donne di scienza. Riceverà un premio finanziato dai miliardari della Silicon Valley l’astrofisica Jocelyn Bell che scoprì le stelle pulsar nel 1967 quando era una studentessa a Cambridge, ma fu scippata del Nobel, assegnato al relatore della sua tesi.

Il risarcimento è arrivato dopo quasi mezzo secolo: 3 milioni di dollari. Tanto, ma anche lo scippo che aveva subito non era da poco perché l’Accademia di Stoccolma decise di conferire il Nobel per la fisica al suo professore al suo posto: lei era soltanto una studentessa, giovane e per di più donna.

Ora in America le hanno assegnato lo «Special Breakthrough Prize», un premio che in passato è andato a tipi come Stephen Hawking. Si tratta del riconoscimento più «danaroso» della scienza moderna e le verrà conferito a novembre, nel corso di un gala affollato di celebrità hollywoodiane.

«Sono rimasta assolutamente senza parole», ha reagito Jocelyn alla notizia, «e chiunque mi conosce sa che non sono mai senza parole. Non era mai entrato neppure nei miei sogni più bizzarri”

Nata nel 1943 in Irlanda del Nord, Jocelyn era arrivata all’università di Cambridge «abbastanza per caso», per completare un dottorato di ricerca. E mentre nel 1967 esaminava i dati provenienti da un radiotelescopio che aveva aiutato a costruire, si accorse di un segnale insolito, onde radio che pulsavano a intervalli regolari. «Era un segnale molto piccolo», ha raccontato al Guardian, «occupava solo una parte su centomila dei cinque chilometri di dati che avevo. Ma me ne sono accorta perché ero molto attenta, molto precisa, a causa della “sindrome dell’impostore”». Ossia quando qualcuno dubita delle proprie capacità e teme che prima o poi sarà smascherato.

Jocelyn temeva infatti che sarebbe stata cacciata da Cambridge: forse perché essere una ragazza scienziata negli anni Sessanta non era cosa facile. «Ma avevo deciso che finché non mi avessero sbattuto fuori, avrei lavorato duro. Così, quando sarebbe arrivato il momento, avrei avuto la coscienza a posto: avevo fatto del mio meglio».

Non era un’interferenza
E sicuramente ci era riuscita. Ma quando Jocelyn telefonò al suo professore, Antony Hewish, per comunicare la scoperta, lui tagliò corto: «È un’interferenza radio artificiale, è di origine umana». A quell’epoca, infatti, i radiotelescopi erano intasati di segnali provenienti da stazioni radio pirata. Però il professore aveva torto e la ragazza aveva ragione.

Lei raccolse ulteriori dati e rilevò tre diversi impulsi radio da diverse parti della galassia. All’inizio diede al segnale il nome in codice LGM: ossia “Little Green Men”, “omini verdi”, cioè gli alieni. Ma non si trattava di extraterrestri, bensì di stelle pulsar, che quando ruotano su se stesse emettono onde radio che si diffondono nello spazio come da un faro cosmico.

Nel 1974 alla scoperta venne assegnato il premio Nobel per la Fisica, ma il riconoscimento toccò, non senza polemiche, al professor Hewish anziché alla sua allieva. «È accaduto perché ero soltanto una studentessa», commenta oggi Jocelyn. Che donerà i 3 milioni del premio americano per finanziare gli studi scientifici delle ragazze: la causa per cui si è battuta per il resto della sua vita.

da Londra, Luigi Ippolito

Per saperne di più sulle altre scienziate scippate dal Nobel: Sara Sesti e Liliana Moro, “Scienziate nel tempo. 100 biografie”, pag. 230, 16 €, Ledizioni, Milano 2018.
Disponibile o prenotabile nei bookshop online, su Amazon e nelle librerie.

Sara Sesti è Matematica, ricercatrice su ” Donne e scienza” vive a Milano , collabora con l’ Università delle donne di Milano