Il 22 gennaio a L’Aquila vi sarà il processo per diffamazione contro alcune donne che hanno assunto iniziative di sensibilizzazione contro una cultura che vede le vittime di stupro trasformate sistematicamente in imputate.  Non è certamente un problema nuovo quello delle donne che diventano ‘offender’ e sono costrette a dimostrare la violenza subita.   Tina Lagostena Bassi  nel 1975 difese Fiorella, ragazza di 18 anni di Latina, che denunciò, per violenza carnale, un gruppo di quattro uomini. Durante il processo:

-si dipinse Fiorella come una ragazza “di facili costumi” (se non lo fosse stata, non avrebbe subito violenza);

-si sostenne che la violenza era stata da lei provocata;

-si ritenne che, in mancanza della dimostrazione di avvenuta violenza fisica o di ribellione, Fiorella dovesse essere stata consenziente;

-la vittima fu trasformata in imputata tanto che l’avvocata Tina Lagostena Bassi non chiese giustizia solo per la sua cliente, ma per tutte le donne violentate, costrette a patire in tribunale un prolungamento della violenza già subita (la c.d violenza indiretta).

 Si vogliono riportare qui,  le parole pronunciate dai legali delle parti

Avv. Angelo Palmieri:“Lei non dice che le hanno fatto violenza e non può dirlo, perché non ci sono i segni.”

Avv. Giorgio Zeppieri: La violenza c’è sempre stata […] Non la subiamo noi uomini? Non la subiamo noi anche da parte delle nostre mogli? …Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire: Abbiamo parità di diritto …Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente.

Avv. Tina Lagostena Bassi: Credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Per donne intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. […] perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna … Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza.” 

Nei successivi quarant’ anni le cose non sono molto cambiate!!

Oggi, secondo la norma codicistica ex art. 609-bis c.p., presupposto necessario della violenza sessuale è che l’atto sessuale sia associato al costringimento che può aversi tramite violenza fisica sulla persona o sulle cose, minaccia, intesa come violenza morale, e abuso di autorità.

Questo significa che la disciplina normativa dei delitti sessuali, oltre alla mancanza del consenso della vittima richiede il ricorso a una serie di mezzi di costrizione del soggetto passivo.

La giurisprudenza – che si è evoluta sulla base del principio consensualistico,  secondo il quale un rapporto sessuale richiede il consenso di entrambe le parti – non è comunque obbligata a seguire questo orientamento; di qui alcune celebri sentenze dove si è continuato a seguire “il modello vincolato” e il consenso della donna è stato presunto sulla base della “reputazione “ della vittima, dove sono stati considerati “seduttivi”persino i comportamenti di una bambina.

Solo alcuni mesi fa c’è chi ha pensato che una violenza sessuale commessa contro una donna ubriaca non debba ritenersi violenza, che ballare o accettare avances autorizzi a parlare di rapporto amoroso consensuale o di atto sessuale consenziente finito male.

Che fare?

Chiediamo innanzi tutto una modifica dell’art. 609-bis c.p. dove alla costrizione si sostituisca il “consenso”.

Chiediamo un nuovo diritto penale sessuale dove il consenso della vittima diventi l’elemento centrale dei reati sessuali, un principio che le donne californiane hanno sintetizzato bene con lo slogan – poi diventato il titolo della legge sui reati sessuali – “Yes means Yes” solo un Sì significa Sì (e.. aggiungiamo noi, un No significa un No)..

Chiediamo che si preveda sempre l’assunzione anticipata della testimonianza della donna vittima di violenza ( incidente probatorio) in modo da farla testimoniare subito e non dopo mesi se non anni e magari davanti allo stupratore o che in aula si possa chiedere “Signora, cosa indossava? Aveva le mutande?” oppure “Signora non sarà mica di primo pelo lei ?”


DA OSSERVATORIO REPRESSIONE  

Il 22 gennaio a L’Aquila, tre femministe saranno processate per aver difeso uno spazio di donne dall’ingresso di Antonio Valentini, difensore di Francesco Tuccia, ex militare stupratore e quasi assassino di “Rosa”.

Nel Novembre 2015, l’associazione “Ilaria Rambaldi Onlus” invita a partecipare l’Avvocato Antonio Valentini ad un convegno su Commissione Grandi Rischi, organizzato presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, un luogo simbolico per la libertà delle donne. Molte donne si mobilitano e alla fine la Casa delle donne di Roma segnala all’organizzazione del convegno che Valentini non può varcare quella soglia, perché indesiderato.

Ma l’avvocato non ci sta e querela, manu militari, 3 donne, colpevoli di aver diffuso la lettera di una compagna del MFPR dell’Aquila, in cui si denunciava: il securitarismo emergenziale con cui lo Stato nascose le sue responsabilità sulla mancata prevenzione del terremoto e degli affari delle cricche; la persistente militarizzazione del territorio con cui favorì la desertificazione della città e l’atteggiamento predatorio di chi, in virtù di quella divisa, si sentiva padrone delle sue strade e in diritto di stuprare in nome dello Stato; il pesante clima di ostilità nei confronti di Rosa e della solidarietà femminista; il clima di un ignobile processo per stupro, scandito in aula dalla condotta provocatoria del penalista, tutta tesa a screditare la parte lesa, a negare l’evidenza della violenza, a colpevolizzare la ragazza stuprata e quasi uccisa e a vittimizzare il suo carnefice (https://ciriguardatutte.noblogs.org/la-campagna-di-solidarieta/)

Coi nostri corpi e le nostre voci abbiamo accompagnato Rosa, che con coraggio affrontava il girone infernale di un processo per stupro!

Con delle mails abbiamo respinto dalla Casa Internazionale delle donne di Roma il degno avvocato del suo stupratore!

Su mandato della Procura dell’Aquila, costui è entrato in casa nostra con i carabinieri, sequestrando pc, telefoni e altro materiale informatico.

E adesso il processo per diffamazione, per cercare di zittirci, dividerci, cancellare con una sanzione la memoria storica della lotta femminista in Italia.

Ma noi non dimentichiamo le atrocità commesse sul corpo di Rosa da un militare impiegato nell’operazione “strade sicure”

Non dimentichiamo la doppia violenza esercitata sulla nostra pelle di donne dalle parole dell’avvocato Valentini: “Tra i due ragazzi vi fu consenso esplicito”, “se i pantaloni erano slacciati non ci fu violenza”, “il fisting è una pura invenzione” ecc.

Il 12/02/2012 Rosa venne stuprata e lasciata in una pozza di sangue a morire sulla neve. Lo stupratore, Francesco Tuccia, era in compagnia di 2 altri commilitoni e della fidanzata minorenne di uno di loro, ma costoro non vennero neanche indagati. Da quella notte, fino al suo arresto il 23 febbraio, Tuccia ha continuato a prestare servizio nel 33/o reggimento Artiglieria Acqui. Rosa invece è stata oggetto di minacce fin dentro l’ospedale da parte di una ragazza non identificata. Fu la ASL di L’Aquila a chiedere il piantonamento del reparto dopo quell’episodio. Alle prime udienze per stupro, le compagne, le donne arrivate da tutta Italia percepirono netta la sensazione che a L’Aquila lo stupratore si trovasse in un ambiente amico: qui c’erano i suoi commilitoni, anche a presidiare il Tribunale dalla solidarietà delle donne.

Pochi giorni dopo la sentenza di primo grado, Simona Giannangeli, legale del Centro Antiviolenza dell’Aquila, trovò sul parabrezza della sua auto un biglietto di minacce: “Ti passerà la voglia di difendere le donne…. Stai attenta e guardati sempre le spalle, da questo momento questo posto non è più sicuro per te”. Il senso del messaggio era chiaro: colpire la solidarietà femminista!

Colpire la solidarietà femminista è ciò che oggi lo Stato, che non ha mai chiesto scusa a Rosa, vuole fare, processando 3 di noi per condannare tutte al silenzio.

Ma noi non accettiamo l’ingiusta repressione di questo Stato, né la vendetta di questo avvocato, perché abbiamo fatto ciò che era giusto e necessario fare – difendere i nostri corpi, le nostre vite i nostri spazi – e continueremo a farlo:

Il 22 gennaio 2018 alle ore 9, davanti al tribunale di L’Aquila saremo in presidio e numerose, perché ci riguarda tutte la violenza di un uomo, che in virtù della sua toga, continua ad invadere e a condizionare la vita e la libertà delle donne.

MFPR-AQ