Monumento alla memoria dello sterminio di Rom e Sinti, inaugurato nel 2018

Lanciano è un piccolo comune in provincia di Chieti che non raggiunge i 40.000 abitanti ma è un centro economicamente importante, che va fiero di ben due miracoli eucaristici: il primo data al 720/730, quando l’Abruzzo apparteneva all’Impero d’Oriente e dal mare Adriatico giungevano su imbarcazioni di fortuna profugh* in fuga dalle sanguinose lotte iconoclastiche, sotto Leone III, l’Isaurico. Tra loro, monaci basiliani, uno dei quali, con dubbi sulla transustanzione, fu protagonista dell’evento; il secondo, datato al 1273, si riferisce a pratiche stregoniche (già sotto Inquisizione, dal 1225), di due donne, l’una ordinando e l’altra eseguendo il fallito tentativo di bruciare un’ostia consacrata, diventata sacra reliquia di carne e sangue.

Lanciano ha molte altre tradizioni che lo rendono un posto speciale da quando fu capoluogo dei Frentani, municipio romano, “città” in età federiciana con il maggior mercato fieristico della Val di Sangro durante uno dei quali, nel lontano Cinquecento, fu vittima di tratta l’undicenne Angela Greca, futura cortigiana romana, poi nella corte papale come moglie del Conte Ercole Rangone, cameriere privato di papa Leone X, infine stella del pentitismo controriformista.

Nell’attualità, Lanciano è Medaglia d’oro al valor militare per i nove mesi di fiera resistenza al nazi-fascismo, durante i quali subì atroci rappresaglie e massicci bombardamenti tedeschi, perdendo 500 vite.

Tuttavia non è questo che rende Lanciano seconda, nel mondo, a Berlino; è il monumento alla memoria dello sterminio di Rom e Sinti, inaugurato nel 2018, a ricordo del genocidio (Samudaripen, tutti morti), di oltre mezzo milione di Rom e Sinti.

“Un riconoscimento che anzi giunge con troppo ritardo; Shoah e Porrajmos sono parte di uno stesso progetto disumano” scrive la senatrice a vita Liliana Segre nel messaggio letto, nella cerimonia commemorativa del 4 ottobre dal senatore Luigi Manconi, presidente dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – Unar (Ansa, 5 ottobre 2019; video di Serena Giannico in “Il Messaggero.it”).

Il monumento, in pietra chiara della Majella, dello scultore abruzzese Tonino Santeusanio, rappresenta una nomade in cammino che stringe al petto, con il braccio sinistro, un’infante, e con il destro si libera la gonna impigliata nel fil di ferro; accanto ha una ruota, simbolo del viaggio continuo, del lungo e inarrestabile procedere di un popolo che, dall’India, si è sparso nel mondo, raggiungendo l’Italia, a Ielsi (ancora oggi un piccolo centro del Molise, provincia di Campobasso), nel XV secolo.

L’opera è stata realizzata, nel 2018, grazie all’impegno di Santino Spinelli – artista, musicista, docente universitario e ambasciatore della cultura Roma nel mondo – che ha promosso una raccolta fondi.

Il luogo prescelto è emblematico: il Parco delle Memorie, al Samudaripen (tutti morti), davanti a Villa Sorge, ex campo di internamento e di smistamento per i lager nazi-fascisti: 20.000 solo in Germania fra il 1933 e il 1945 e che contarono una cifra complessiva di 11 milioni di vittime.

Anche nei lager c’era l’area nomade.

In Germania, a Ravensbrück, in provincia di Brandeburgo, a circa novanta chilometri da Berlino, bambine e donne Rom e Sinti, condivisero con le Gagé (non nomadi) uno speciale campo di concentramento e di sterminio, inizialmente destinato da Heinrich Himmler alle sole oppositrici politiche tedesche, aperto il 15 maggio 1939.

In quel mondo chiuso da dune erbose intorno a un lago che inghiottì tremende prove e quasi tutta la documentazione nazista all’arrivo liberatorio dei Russi – che non si esentarono dall’atavico “far bottino” dei corpi femminili durante le guerre, seppure in quello stato! – soffrirono e quasi tutte morirono, in sei anni, in 130.000, fra adulte e bambine, provenienti da venti paesi, d’ogni appartenenza, etnìa e fede.

Ravensbrück contò 31 sotto-campi, un lager maschile (1941), capannoni industriali per lavori forzati.

Vi si addestrarono le Aufseherinnen, efferate sorveglianti naziste. Alla schiavitù, anche sessuale, s’aggiunse la sperimentazione medica specifica sulla fertilità, la gestazione, il parto che avveniva in ambienti corredati di forno per neonat*.

Sotto la “tenda rossa” per donne-cavie, a Ravensbrück, fu scritto un capitolo tragico della storia sessuata del mondo che oggi, con etiche non discriminatorie e linguaggi non sessisti, riscatta e denuncia, contrasta le violenze di genere, ricostruisce genealogie femminili cancellate, fonda memoria, valore e libertà per le generazioni odierne e future; storia sincrona e insita nell’individuazione e definizione dei diritti umani, inscindibile da essi e, di molti, matrice; quella di Ravensbrück è stata narrata, dalle sopravvissute, a figlie e nipoti. Superando il terrore che provoca l’oblìo, il silenzio, il desiderio di cancellazione, le sopravvissute si sono rintracciate e, avendo cura dell’oggi e del domani, hanno creato un coordinamento, poi ufficializzato, che ha lasciato memorie, organizzato eventi divulgativi e didattici, e reso museo il luogo perché non si ripetano torture, lutti, disumanizzazioni, uccisioni della personalità (in merito, l’analisi della funzione e dei metodi attuati nel lager è offerta da Hannah Arendt in Le origini del totalitarismo, Einaudi, 2009).

Tra le narrazioni: Il cielo sopra l’inferno. La drammatica storia vera di Ravensbrück il campo di concentramento nazista per sole donne, di Sarah Helm, Newton Compton, 2015; I bordelli di Himmler, di B. Alakus, K. Kniefacz, R. Vorberg (Mimesis ed., 2012): Hitler, legalizzando la schiavitù sessuale nel lager e vietandola fuori d’essi, permise il rastrellamentodi donne accusate di prostituzione, vittime di ogni tipo d’odio, sfruttamento, vendetta e calunnia, nomadi Rom e Sinti comprese.

 

Ancora, le unicità non sono finite, perché Lanciano ospita il primo e il più importante concorso – Concorso Artistico Internazionale “Amico Rom” – promosso dalla popolazione romanì comprendente Rom, Sinti, Kale, Manoiches e Romanichals, organizzato dall’Associazione Thèm Romano Onlus-Lanciano – I.R.U (sede nazionale della Romani Union Internazionale, Organismo che rappresenta i Rom all’ONU).

 

La cerimonia di premiazione si è svolta il 4 ottobre, nell’ambito delle tre giornate (da 4 al 7 ottobre) dedicate all’intercultura con cui il Comune, in collaborazione con l’Unione delle Comunità Romanès in Italia (Ucri), ha celebrato il 76° anniversario della citata rivolta lancianese al nazi-fascismo.

Tra gli enti e le associazioni, locali e nazionali, aderenti alla tre giorni: Regione Abruzzo, Anpi-Lanciano, Thèm Romano-Lanciano, Logos Cultura-Pescara e Cooperativa Il Geco-Isernia.

Il programma del giorno 4 ha previsto, alle ore 10,00, al Parco delle Memorie, la cerimonia per il primo anniversario dell’inaugurazione del primo Monumento in Italia al Samudaripen (genocidio) dei Rom e dei Sinti nella Seconda Guerra Mondiale; alle ore 14,00, presso l’Associazione Thèm Romano Onlus (V. S. M. Maggiore 12), il convegno nazionale “Rom, Sinti e Caminanti, un percorso culturale tra memoria e attualità” in collaborazione con UNAR-Presidenza del Consiglio dei Ministri e FORMEZ; relatori il dott. prof. Luca Bravi e il dott. prof. Santino Spinelli.

Alle ore 21, presso il Teatro Comunale Fedele Fenaroli, a Lanciano (Ch), la premiazione della XXVIma edizione del Concorso, presentata dal suo ideatore: Santino Spinelli, anima di moltissime iniziative e per il quale da più parti è giunta la richiesta di nominarlo Senatore, per il suo impegno pluridecennale a favore della cultura e della lingua romanì, articolata in molti dialetti.

La presentazione infatti è stata fatta in romanì, inglese ed italiano.

 

Molte le sezioni, dalla scrittura alle arti visive. Le diverse le premiazioni hanno coinvolto esponenti della cultura, del giornalismo e delle arti di molti Paesi, tra cui Serbia, Croazia, Slovenia, Ungheria, Romania, Spagna, Germania, Italia, Finlandia, Stati Uniti e Gran Bretagna.

“Vincitore assoluto” del concorso è stato lo scrittore rom finlandese Veijo Baltzar; il “Premio Phralipè 2019” è andato a Pino Nicotri (Milano), Luca Vitone (Germania) e Don Marco Lai (Cagliari); il “Premio alla Carriera”, a Hristo Kyuchukov (Germania), docente universitario autore di libri scientifici; il “Premio Eccellenza Romani” all’avvocato e scrittore Bejram Haliti (Serbia) e alla stilista di alta moda Concetta Sarachella (Italia, Isernia); il “Premio Poesia” alla scrittrice dei Marsi, Maria Assunta Oddi, per “Fanciulla Gitana”.

Sono seguite tre gradazioni di premi per 13 categorie, di cui riportiamo i primi premi:

Poesia in Lingua Romanì, Olah Lidia “Suni” (Ungheria); Poesie in lingue Italiana, Inglese, Francese e Spagnola, Giovanni di Guglielmo (Italia, Chieti); Racconto breve inedito, Daniela Lucatti (Italia, Pisa); Racconto o romanzo inedito, Alija Krasnici (Serbia); Disegno, Tania Magy (Francia); Fotografia, Irene Iorno (Italia, Perugia); Pittura, scultura, e Raccolta di poesie, e Racconto inedito (tre categorie), Veijo Baltzar (Finlandia); Monografia edita, Bajram Haliti (Serbia); Musica, Mihai Neascu (Romania); Video/Film, Maria Cristina Marroni (per il Comune di Teramo) e Giulia Di Rocco; Scuole, Scuola Secondaria di Castel Frentano (Ch).

Sono stati anche assegnati molti Diplomi d’Onore.

Al Comitato d’onore internazionale partecipano esponenti del mondo del giornalismo, della cultura, dell’arte e della politica, tra i quali il giornalista e filmmaker Orhan Galijus.

 

La Redazione si complimenta con Irene Iorno, nostra collaboratrice e fotografa, per il Premio ricevuto.

Irene Iorno collabora con associazioni ed enti nel sociale; è autrice di Terra Barbara e, insieme a Francesca Manzini, s’impegna nel progetto “Pap-Occhio”, Percorso per altre prospettive nel linguaggio visivo.

Nel suo lavoro, dalle fotografie ai videoclip, c’è sempre una profonda attenzione al femminile e alle tematiche sociali:

Il mio lavoro è raccontare, attraverso la scrittura, le illustrazioni e la scultura ciò che incontro, leggo o vedo; ho sempre con me la macchina fotografica e ogni scatto è una pagina di diario, una piccola narrazione che rielaboro. Le fotografie premiate fanno parte di un più ampio reportage che ho donato all’archivio fotografico dell’associazione “Il Paese delle Donne” e per questo il riconoscimento mi è ancora più caro. Oggi abito a Perugia, ma sono nata a Roma. Le mie prime esperienze di fotografia sociale le ho fatte nei movimenti delle donne, nelle manifestazioni per i diritti umani e l’ambiente; frequentando la Casa Internazionale delle donne alla Lungara. Luoghi e momenti che mi hanno insegnato e formato.”