Ingannevole, ideologico, autoritario.
Sono queste le tre parole scelte, non a caso, dal Comitato che sta
raccogliendo migliaia di adesioni di intellettuali e di cittadini e
cittadine comuni al sito www.autodeterminazione.it contro un progetto di
legge su ‘Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, consenso
informato e disposizioni anticipate di trattamento’Il [progetto di legge->http://autodeterminazione.nobavaglio.it/testo_bio_doc.doc] è slittato di qualche
giorno nelle discussione parlamentare ma che incombe sulle nostre teste
nella gigantesca confusione del governo e del suo premier, che oltre ad
essere ormai da troppo tempo fuori ogni controllo accumula anche grottesche
esternazioni, tra cui spicca quella secondo la quale sui ‘temi etici e
scuole cattoliche il governo terrà conto delle indicazioni della gerarchia
ecclesiastica’, che detto da lui certo suona alquanto surreale.

Senza mezzi termini l’[appello->http://autodeterminazione.nobavaglio.it/] dice che se il testo delle Disposizioni fosse
approvato nella forma attuale le persone vedrebbero gravemente limitati i
propri diritti e sarebbero espropriate della possibilità di governare
liberamente la propria vita e il diritto all’autodeterminazione, definito
fondamentale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 438 del 2008,
sarebbe cancellato.

Chi ha pensato l’appello non si limita a chiedere firme,
ma ha messo anche a disposizione un [documento analitico di valutazione del
progetto di legge->http://autodeterminazione.nobavaglio.it/testo_bio_doc.doc], già inviato ai parlamentari e rintracciabile sul sito: un
modo importante per condividere saperi e riflessioni su un argomento, come
in particolare il fine vita, che in Italia si fatica a discutere.

Quando, nel settembre 2009, un gruppo di donne, al quale partecipò anche
Mina Welby, su invito della rivista Marea e di Erminia Emprin Gilardini si
riunì a discutere di [Corpo indocile->http://www.radiodelledonne.org/2009/09/27/il-corpo-indocile-nascere-e-morire-tra-scelta-e-divieto/] e di autodeterminazione nelle scelte
della vita e del fine vita, redigendo poi il numero della rivista dedicato a
questo tema, l’intuizione era stata evidentemente quella giusta: in Italia,
dopo la pesante sconfitta subìta con l’approvazione della legge 40 sulla
fecondazione medicalmente assistita, era in atto un pericolosissimo attacco
alla visione laica della libertà di disporre del proprio corpo, che aveva
come primo atto la revisione in senso restrittivo della legge 194
sull’interruzione di gravidanza per poi passare, dopo il caso Welby ed
Englaro, alla blindatura sui temi del fine vita.

Nella sua riflessione [Emprin Gilardini->http://www.radiodelledonne.org/2009/09/27/speciale-corpo-indocile-che-cose-il-corpo-indocile/] (audio) scriveva: “Quando si parla di
umanizzazione della medicina si pensa generalmente alla fragilità della
persona malata nella sua qualità di assistita/o, consegnando chi esercita la
professione medica a una dimensione sovrumana, alla quale si richiede non
solo un sapere, ma la conoscenza del senso stesso dell’esistenza umana, di
un lasciare o non lasciare nascere, vivere e morire che trascende uomini e
donne fatti di carne, sangue, muscoli, ossa, storia e cultura, compreso il
medico. Si costruisce così una figura dalla quale ci si attende che detenga
e sia nello stesso tempo responsabile della competenza legittima su questi
temi”.

In questo progetto di legge l’alleanza terapeutica tra paziente e medico è
sostanzialmente vanificata da un testo che pone ripetutamente il medico di
fronte al rischio di responsabilità penali: il medico, quindi, sarà indotto
a tenere comportamenti ‘difensivi’, dettati dall’esigenza di porsi al riparo
da responsabilità, piuttosto che orientati all’autentico ‘bene del
paziente’.

Il consenso informato della persona è sostanzialmente
cancellato: alla persona vengono imposti comportamenti e sottratte
possibilità di decisione, si introduce un ‘obbligo di vivere’ in contrasto
con la libertà di scelta del soggetto interessato, del suo ‘potere di
disporre del proprio corpo’ ([Corte costituzionale, sentenza n. 471 del
1990->http://www.giurcost.org/decisioni/1990/0471s-90.html]).

Le dichiarazioni anticipate di trattamento altro non sono che una
inutile macchina burocratica: inutile, perché prive di ogni valore giuridico
vincolante e perché viene escluso che la persona possa esprimere la propria
volontà proprio in relazione ai trattamenti sanitari che più possono
incidere sulla sopravvivenza, come l’alimentazione e l’idratazione forzata.

Non è un caso che proprio i movimenti delle donne abbiamo sempre messo in
primo piano non solo la necessità di partire dal corpo anche e soprattutto
se si parla di vita e di morte, ma anche abbiano perseguito, quando si è
percorso il cammino legislativo, la strada normativa più aperta e inclusiva
possibile.

I movimenti delle donne non hanno mai chiesto leggi escludenti, né per la
regolamentazione dell’interruzione della gravidanza, né per la procreazione
assistita. Il principio è sempre stato quello di permettere, laddove ce ne
fosse il bisogno, che il soggetto femminile potesse accedere a dei servizi.

Anche sulla questione del fine vita le richieste sono sempre state ispirate
a questo principio; Peppino Englaro ha sempre detto di volere seguire il
desiderio della figlia nel non essere tenuta in vita artificialmente, e mai
ha sostenuto che questa fosse l’unica visione e scelta possibile.

E’ in gioco troppo della storia del pensiero e alla pratica laica per stare
alla finestra a vedere come va a finire.